Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 4 marzo 2019, n. 6244.
La massima estrapolata:
La risoluzione per inadempimento esclude il diritto dell’appaltatore al corrispettivo per le opere eseguite in difformita’ dal contratto, ma non per tutte le altre. L’eccezione di inadempimento, formulata in considerazione di alcuni vizi ed incompletezze dei lavori, opera nei limiti del corrispondente importo, sicche’ non esclude che per il residuo il committente, una volta effettuata la parziale compensazione tra i reciproci crediti delle parti, sia tenuto a corrispondere il corrispettivo dovuto per i lavori esenti da vizi, ed i relativi interessi di mora. Peraltro l’esercizio dell’eccezione di inadempimento deve comunque rispettare il canone generale della buona fede; in particolare, spetta al giudice di merito accertare se la spesa occorrente per l’eliminazione delle difformita’ riscontrate nell’opera sia proporzionata a quella che il committente rifiuta di corrispondere all’appaltatore o il cui pagamento subordina all’eliminazione dei vizi
Ordinanza 4 marzo 2019, n. 6244
Data udienza 14 dicembre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3417/2015 proposto da:
(OMISSIS) e (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) e rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) SNC, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) e domiciliata presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 1748/2014 della “CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 28/10/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14/12/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 17.12.2003 la societa’ (OMISSIS) Snc conveniva in giudizio innanzi il Tribunale di Palermo (OMISSIS) e (OMISSIS) per sentirli condannare al pagamento della somma di Euro 24.170,01 a titolo di saldo dei lavori di ristrutturazione eseguiti dall’attrice all’interno di un immobile di proprieta’ dei convenuti, deducendo trattarsi di opere non previste dall’originario accordo. Si costituivano i convenuti resistendo alla domanda e spiegando a loro volta riconvenzionale per l’accertamento dell’inadempimento dell’appaltatrice e il risarcimento del danno derivante dai vizi riscontrati nelle opere eseguite dall’attrice, quantificato in Euro 36.000,00.
Con sentenza n. 4567/2009 il Tribunale di Palermo rigettava la domanda principale ed accoglieva la riconvenzionale, dichiarando l’inadempimento dell’attrice ed escludendo qualsiasi diritto di questa a maggiori compensi. Condannava inoltre l’attrice al risarcimento del danno, limitando la somma dovuta a tale titolo ad Euro 5.081,74 oltre interessi dalla domanda.
Interponeva appello l’appaltatrice e spiegavano appello incidentale i committenti. La Corte di Appello di Palermo, con la sentenza oggi impugnata n. 1748/2014 riteneva inammissibile l’appello incidentale per genericita’ ed accoglieva in parte quello principale, riconoscendo all’appaltatrice il diritto al compenso per le opere eseguite in conformita’ del contratto e condannando i committenti al pagamento del saldo, al netto dei vizi riscontrati nell’opera, determinato in Euro 9.172,47.
Propongono ricorso per la cassazione di detta sentenza (OMISSIS) e (OMISSIS) affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso la societa’ (OMISSIS) Snc spiegando ricorso incidentale affidato a sua volta a tre motivi. I ricorrenti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, i ricorrenti principali lamentano la violazione ed errata applicazione degli articoli 1460, 1453, 1455, 1667 e 1668 c.c., nonche’ l’insufficiente e contraddittoria motivazione, perche’ la Corte di Appello avrebbe errato nel riconoscere all’appaltatrice il diritto al saldo delle opere eseguite. Ad avviso dei ricorrenti infatti, posto il principio generale inadimplenti non est adimplendum, nulla sarebbe da loro dovuto una volta accertato l’inadempimento dell’appaltatrice.
La doglianza e’ infondata.
In materia di appalto vige il principio per cui la risoluzione per inadempimento esclude il diritto dell’appaltatore al corrispettivo per le opere eseguite in difformita’ dal contratto, ma non per tutte le altre. Infatti “l’eccezione di inadempimento, formulata in considerazione di alcuni vizi ed incompletezze dei lavori, opera nei limiti del corrispondente importo, sicche’ non esclude che per il residuo il committente, una volta effettuata la parziale compensazione tra i reciproci crediti delle parti, sia tenuto a corrispondere il corrispettivo dovuto per i lavori esenti da vizi, ed i relativi interessi di mora” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5869 del 13/03/2007, Rv. 596269). Peraltro l’esercizio dell’eccezione di inadempimento deve comunque rispettare il canone generale della buona fede; in particolare, spetta al giudice di merito accertare se la spesa occorrente per l’eliminazione delle difformita’ riscontrate nell’opera sia proporzionata a quella che il committente rifiuta di corrispondere all’appaltatore o il cui pagamento subordina all’eliminazione dei vizi (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 26365 del 26/11/2013, Rv. 628952; cfr. anche Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 21315 del 14/09/2017, Rv. 645426).
La Corte territoriale ha quindi pronunciato in conformita’ all’orientamento tracciato da questa Corte.
Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, perche’ la Corte di Appello li ha condannati al pagamento della complessiva somma di Euro 9.172,47 di cui Euro 82,83 per saldo della sorte ed Euro 9.089,64 per imposta sul valore aggiunto, condizionando la debenza di tale seconda posta all’emissione della fattura da parte dell’appaltatore, senza pero’ considerare che il contratto era stato pattuito per un corrispettivo a corpo e non a misura. Ad avviso dei ricorrenti, quindi, l’imposta sul valore aggiunto era inclusa nel prezzo pattuito tra le parti.
La doglianza e’ inammissibile in quanto il ricorso e’ soggetto, ratione temporis, all’articolo 360 c.p.c., comma 1 n. 5, nel testo in vigore a seguito della novella di cui al Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, convertito in L. n. 134 del 2012). Il vizio di motivazione deve essere quindi interpretato “… alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimita’ sulla motivazione. Pertanto, e’ denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).
Tale anomalia non si riscontra nella specie.
E’ inoltre opportuno precisare che l’imposta sul valore aggiunto e’ un costo fiscale che esula dal corrispettivo e si aggiunge ad esso. La previsione, nel contratto, di un corrispettivo a corpo o a misura costituisce una semplice modalita’ di determinazione del prezzo e non comporta l’inclusione dell’imposta predetta nell’ambito della somma pattuita, a meno che cio’ non sia espressamente previsto dal contratto; cosa che, nella fattispecie, i ricorrenti neanche deducono.
Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione ed errata applicazione dell’articolo 342 c.p.c., nonche’ l’insufficienza e contraddittorieta’ della motivazione, perche’ la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere generico, e quindi inammissibile, l’appello incidentale. Ad avviso dei ricorrenti, infatti, detto gravame faceva riferimento alle osservazioni che il consulente tecnico di parte aveva mosso all’operato del C.Testo Unico e quindi era da ritenere specifico.
La censura e’ inammissibile per diversi, ma concorrenti, profili. In primo luogo, essa si risolve in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790).
Inoltre, essa difetta di specificita’ perche’ i ricorrenti si limitano, nell’esposizione del motivo, a rinviare al contenuto della C.T.U., senza tuttavia trascriverne le parti ritenute salienti.
Infine, nella parte in cui attinge la motivazione, la doglianza e’ inammissibile per gli stessi motivi gia’ esposti in riferimento al secondo motivo del ricorso principale.
Con il primo motivo del ricorso incidentale, la societa’ (OMISSIS) Snc lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5, perche’ la Corte di Appello avrebbe errato nel non considerare che, trattandosi di contratto pattuito a corpo e non a misura, il corrispettivo era comunque dovuto per intero dai committenti.
Con il secondo motivo, la ricorrente incidentale lamenta la violazione degli articoli 1665 e 1667 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3 e l’omesso esame e la mancanza e contraddittorieta’ assoluta di motivazione su un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5, perche’ la Corte territoriale non avrebbe valorizzato la circostanza che i lavori erano stati completati dall’appaltatore ed accettati dai committenti.
Le due doglianze, che per la loro connessione possono essere trattate congiuntamente, sono inammissibili.
In primo luogo non si ravvisa alcun profilo di omesso esame, posto che la Corte di Appello affronta diffusamente la questione, sia sotto il profilo della natura del contratto, sia con riferimento alla modalita’ di determinazione del corrispettivo a corpo prescelta in concreto dalle parti, sia in relazione all’esecuzione delle opere commissionate all’appaltatore. All’esito di tale valutazione, comunque insindacabile in questa sede perche’ attinente al merito della controversia, la Corte territoriale ha determinato gli importi rispettivamente dovuti, dall’appaltatrice per il risarcimento del danno derivante dai vizi riscontrati in parte delle opere eseguite, e dai committenti per il saldo delle lavorazioni eseguite dall’appaltatrice in conformita’ del contratto e della regola dell’arte. Come gia’ precisato in relazione al primo motivo del ricorso principale, la valutazione della Corte palermitana e’ coerente con l’orientamento di questa Corte, onde le censure in esame sono anche inammissibili ai sensi di quanto previsto dall’articolo 360-bis c.p.c., n. 1.
Con il terzo motivo, la ricorrente incidentale lamenta la violazione dell’articolo 91 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, perche’ la Corte di Appello avrebbe errato nel disporre la compensazione delle spese del doppio grado, posto che l’impugnazione principale era stata accolta.
La censura e’ infondata, posto che l’appello principale e’ stato accolto solo in parte, onde il governo delle spese operato dal giudice di merito non confligge con il divieto di accollo a carico della parte totalmente vittoriosa.
In definitiva, tanto il ricorso principale che quello incidentale vanno rigettati.
In ragione della reciproca soccombenza, le spese del presente giudizio sono compensate interamente tra le parti.
Poiche’ il ricorso per cassazione e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato va dichiarata, ai sensi del Testo Unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, la sussistenza dei presupposti per l’obbligo di versamento da parte del ricorrente principale e di quello incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale, compensando per intero tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale e di quello incidentale l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.
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