Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 14 maggio 2019, n. 12707
La massima estrapolata:
La querela di falso proposta avverso una scrittura privata è limitata a contestare la provenienza materiale dell’atto dal soggetto che ne abbia effettuato la sottoscrizione e non pure ad impugnare la veridicità di quanto dichiarato. (Nella fattispecie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva dichiarato inammissibile la querela di falso, proposta soltanto in appello, volta a far accertare l’inesistenza dell’operazione risultante da una fattura o a dimostrarne la sua realizzazione ad un prezzo diverso da quello ivi indicato).
Ordinanza 14 maggio 2019, n. 12707
Data udienza 19 settembre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2861-2017 proposto da:
(OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SPA, in persona dell’Amministratore Delegato Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 342/2016 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 25/02/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/09/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.
FATTI DI CAUSA
1. (OMISSIS) ricorre, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Bologna n. 342/16, del 25 febbraio 2016, che – rigettando il gravame dallo stesso esperito avverso la sentenza del Tribunale di Bologna n. 4445/10, del 30 settembre 2009 – confermava la reiezione dell’opposizione, proposta ex articolo 645 c.p.c. dall’odierno ricorrente, contro il decreto che gli ingiungeva il pagamento di Euro 31.933,26 in favore della societa’ (OMISSIS) S.p.a., oggi (OMISSIS) S.p.a.
2. Riferisce, in punto di fatto, il ricorrente che il suddetto provvedimento monitorio veniva emesso in favore della societa’ (OMISSIS) per avere egli garantito un’operazione di locazione finanziaria, relativa alla fornitura di macchinari da cucina per ristorante, da destinarsi alla societa’ (OMISSIS) S.r.l.
Il (OMISSIS), infatti, aveva sottoscritto una fideiussione in bianco, dinanzi a testimoni e al presunto legale rappresentante della societa’ fornitrice, (OMISSIS) S.r.l., tale (OMISSIS), precisando, tuttavia, al momento della firma, di non volere e non poter garantire una cifra superiore a Lire 50.000.000. Infatti, non essendo stato il prezzo della fornitura ancora determinato, il (OMISSIS) dichiarava che, ove lo stesso fosse stato superiore all’importo che egli intendeva garantire, il foglio da lui firmato in bianco avrebbe dovuto essere strappato.
Riferisce, inoltre, il ricorrente di non aver saputo piu’ nulla dal (OMISSIS), sebbene costui – al momento della firma della fideiussione – gli avesse assicurato che si sarebbe informato, con gli altri soci della societa’ fornitrice, circa la possibilita’ che il prezzo della fornitura fosse effettivamente contenuto nella misura suindicata.
In seguito, tuttavia, il (OMISSIS) apprendeva che la societa’ fornitrice aveva concesso in locazione, alla societa’ utilizzatrice, macchinari da cucina per il valore altissimo, di Lire 208.381200, come da fattura n. (OMISSIS), indicante ben ventiquattro beni, quantunque il contratto di locazione facesse riferimento a tre soltanto.
Su tali basi, dunque, il (OMISSIS)’ si opponeva al provvedimento monitorio, sostenendo la non regolarita’ della fattura “de qua”, l’eccessivita’ del prezzo della locazione, la carenza di messa in mora, il recesso per giusta causa, la nullita’ del contratto di leasing, anche per indeterminatezza dell’oggetto, la violazione dell’articolo 1474 c.c., l’insussistenza del credito azionato, la violazione degli obblighi contrattuali, i limiti dell’atto di fideiussione, essendo stato lo stesso rilasciato senza data certa e senza che il suo contenuto risultasse previamente determinato o determinabile.
Respinta l’opposizione, avverso tale decisione esperiva gravame il (OMISSIS)’, che veniva, tuttavia, rigettato dalla Corte felsinea.
Nel corso del giudizio di secondo grado il (OMISSIS) depositava documentazione attestante la pendenza, a carico della (OMISSIS) e di alcuni dirigenti della (OMISSIS), sede di Avezzano, di un procedimento penale per i delitti di cui all’articolo 640 e articolo 61 c.p., comma 1, n. 7), nonche’ Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articoli 2, 5, e 8.
Inoltre, per quanto qui ancora di interesse, all’udienza del 27 maggio 2014, l’allora appellante proponeva querela di falso, ex articoli 355 e 221 c.p.c., affinche’ fosse accertata: 1) la falsita’ ideologica del contratto di leasing, giacche’ recante importi del tutto sproporzionati rispetto al reale; 2) la falsita’ oggettiva e ideologica della fattura n. (OMISSIS), giacche’ utilizzata per operazioni inesistenti in relazione agli stessi beni oggetto del contratto fraudolento; 3) la falsita’ del documento di fideiussione sottoscritto in bianco ed abusivamente riempito da altri, senza autorizzazione del sottoscrivente.
Il gravame esperito veniva, pero’, respinto dalla Corte di Appello di Bologna.
3. Avverso la sentenza della Corte felsinea ricorre per cassazione il (OMISSIS), sulla base di quattro motivi.
3.1. Con il primo motivo – proposto ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – si ipotizza violazione e falsa applicazione degli articoli 221, 355 e 34 c.p.c., avendo la Corte di Appello omesso di considerare che la querela di falso, anche quando proposta incidentalmente, costituisce un’azione a se’, caratterizzata da autonomia ed attribuita alla competenza per materia del tribunale.
Ci si duole, in sostanza, che il giudice d’appello non ha proceduto a compiere la sola indagine preliminare volta ad accertare l’esistenza, o meno, dei presupposti che giustificano l’introduzione del giudizio di falso, addentrandosi, invece, a compiere una valutazione di merito sulla rilevanza della falsita’, in particolare motivando l’inammissibilita’ della querela in ragione della presunta novita’ delle domande proposte. In questo modo, pertanto, la Corte territoriale avrebbe confuso le regole sull’ammissibilita’ della domanda in appello con quelle sulla ammissibilita’ della querela di falso.
3.2. Con il secondo motivo – proposto, congiuntamente, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5) – si ipotizza l’omesso esame circa alcuni fatti decisivi per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, ed esattamente la circostanza che l’allora appellante ebbe a denunciare un riempimento abusivo della polizza fideiussoria avvenuto “absque pactis” e non “contra pacta”, donde la violazione e falsa applicazione anche dell’articolo 221 c.p.c., oltre che la violazione di legge costituzionalmente rilevante afferente l’inesistenza (sotto l’aspetto materiale e grafico) della motivazione della sentenza impugnata.
Si censura la sentenza impugnata, come detto, laddove ha ritenuto che quello denunciato dal (OMISSIS) sia stato un riempimento abusivo avvenuto “contra pacta” (e non “absque pactis”), la cui prova e’, pertanto, ammissibile con ogni mezzo, e non con la querela di falso. Si rileva, per contro, come le parti, nel caso di specie, non avessero ancora raggiunto un accordo preciso, specie con riguardo al prezzo della fornitura, tanto lo stesso (OMISSIS) chiedeva, ove l’importo da garantire fosse risultato superiore a Lire 50.000.000, che il foglio da lui firmato in bianco fosse strappato. Il riempimento del foglio, dunque, sarebbe avvenuto senza che l’autore di siffatta operazione fosse stato previamente autorizzato dal sottoscrivente con apposito patto.
La medesima censura e’ articolata anche sotto un differente profilo, denunciandosi il fatto che la Corte territoriale, nel pervenire all’interpretazione secondo cui il riempimento sarebbe avvenuto in violazione di un preciso mandato “ad scribendum”, avrebbe operato un’interpretazione della domanda che ha completamente ignorato la sostanza della proposta querela di falso, e dunque il criterio ermeneutico che privilegia l’interpretazione sostanziale della stessa.
In questo modo il giudice di appello sarebbe incorso in un vizio motivazionale ancora scrutinabile da questa Corte, dal momento che, nella specie, ricorrerebbe un’assoluta omissione di motivazione sotto l’aspetto materiale e grafico.
3.3. Il terzo motivo – proposto ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – ipotizza violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 21 nonche’ degli articoli 2043 e 2621 c.c. e dell’articolo 221 c.p.c.
La censura, in questo caso, si indirizza avverso l’affermazione della Corte felsinea secondo cui, non essendo la fattura documento dotato di fede privilegiata, per cio’ solo la querela di falso proposta avverso di essa e’ da ritenere inammissibile.
Sul punto, non senza previamente rilevare come la fattura commerciale sia, ad un tempo, documento tanto fiscale (come tale, dunque, gia’ dotato di fede privilegiata) che civile, il ricorrente osserva, poi, come essa divenga parte integrante delle scritture contabili, venendo annotata nei libri obbligatori tenuti dall’imprenditore, sicche’ le fatture materialmente ed ideologicamente false sono idonee ad integrare il reato di false comunicazioni sociali di cui all’articolo 2621 c.c.
In altri termini, si evidenzia come la fattura, laddove si riferisca a societa’ di capitali, spieghi una valenza assai diversa rispetto al caso in cui si riferisca alla societa’ di persone; erronea, pertanto, sarebbe la generalizzazione compiuta dalla sentenza impugnata, laddove nega, in ogni caso, la possibilita’ di proporre querela di falso avverso una fattura.
3.4. Infine, il quarto motivo – proposto ai sensi, congiuntamente, dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5) – ipotizza omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, nonche’ violazione e falsa applicazione dell’articolo 221 c.p.c., oltre che, nuovamente, violazione di legge costituzionalmente rilevante, quanto alla mera apparenza e obiettiva incomprensibilita’ della motivazione.
In particolare, la censura investe la sentenza impugnata laddove afferma che le correzioni sulla fattura, oggetto della querela di falso, non sono ravvisabili nelle copie della stessa in atti.
Orbene, il ricorrente – nel rammentare di aver richiesto, con la dichiarazione di querela di falso, che fossero depositati in originale i documenti oggetto della stessa – rileva che tale aspetto non sarebbe stato neppure lontanamente considerato dalla sentenza impugnata. Pertanto, risulterebbe incomprensibile la motivazione del giudice di appello laddove afferma che dalle copie in atti non sarebbero ravvisabili le denunciate correzioni.
Inoltre, per accertare la ricorrenza dell’alterazione, non visibile ad occhio nudo sulla fotocopia depositata, occorreva poter controllare il documento in originale, donde l’ipotizzata violazione pure dell’articolo 221 c.c.
4. Ha resistito alla avversaria impugnazione, con controricorso, la societa’ (OMISSIS) S.p.a. (soggetto subentrato, nella titolarita’ del credito per cui e’ giudizio, a (OMISSIS) S.p.a., e cio’ all’esito di complesse vicende dapprima di fusione e poi di scissione societaria), chiedendone il rigetto.
In relazione, in particolare, al primo motivo di ricorso, se ne assume l’infondatezza, osservando che la sentenza impugnata si sarebbe adeguata al principio, enunciato da questa Corte, secondo cui il giudice d’Appello puo’ dichiarare la manifesta infondatezza della querela di falso in virtu’ del principio costituzionale di ragionevole durata del processo, potendo i gravi effetti sullo svolgimento e sulla durata del giudizio essere in parte evitati dall’interpretazione restrittiva e sistematica dell’articolo 355 c.p.c. (e’ citata, in particolare, Cass. Sez. 2, sent. 23 novembre 2016, n. 23899).
Del pari non fondato sarebbe anche il secondo motivo di ricorso, giacche’, nella specie, il riempimento della lettera fideiussoria risulterebbe avvenuto “contra pactis”, se si ha riguardo al fatto che la lettera di fideiussione consisteva in un prestampato, che prevedeva la compilazione dei seguenti dati: il nominativo del fidegarante, il numero del contratto e l’importo massimo garantito, dato, quest’ultimo, che costituiva il solo non ancora presente sul documento.
Quanto, poi, al terzo motivo, se ne assume l’infondatezza, sul rilievo che la querela di falso avente ad oggetto una scrittura privata e’ limitata alla provenienza materiale dell’atto dal soggetto che ne abbia effettuato la sottoscrizione (Cass. Sez. 2, sent. 11 gennaio 1988, n. 47), essendo la finalita’ della querela solo quella di rompere il collegamento, quanto alla provenienza, tra dichiarazione e sottoscrizione e non pure di impugnare la veridicita’ di quanto dichiarato (e’ citata Cass. Sez. 3, sent. 2 giugno 1999, n. 5383).
Infine, non fondato risulterebbe anche l’ultimo motivo, considerato che il solo documento non versato in atti in originale e’ la fattura di vendita, peraltro gia’ prodotta in fotocopia in sede monitoria, documento che, come correttamente evidenziato dal collegio, non presenta alcuna irregolarita’, risultando del medesimo importo del preventivo, sia per imponibile sia per IVA, a conferma della pretestuosita’ e callidita’ dell’eccezione avversaria.
5. Hanno presentato memoria entrambe le parti, insistendo nelle rispettive argomentazioni e replicando a quello avversarie.
Inoltre, il ricorrente assume l’inesistenza di prova della titolarita’ del diritto sostanziale in capo ad (OMISSIS), e cio’ sul rilievo che le vicende societarie (essenzialmente di fusione per incorporazione) che hanno portato la stessa a succedere a (OMISSIS) S.p.a. risultano intervenute prima che la causa, il 20 ottobre 2015, fosse trattenuta in decisione dalla Corte di Appello (l’ultima di tali vicende risalendo al 22 settembre 2015), e senza che delle medesime fosse data comunicazione ad esso (OMISSIS). Si assume, dunque, la tardivita’ e conseguente inammissibilita’ della produzione, nel presente giudizio, dei documenti – contrassegnati con i nn. da 23 a 27, ed allegati al controricorso – consistenti negli atti notarili che hanno dato corso a ciascuna di tali vicende societarie, stante la preclusione di cui all’articolo 327 (“recte”: 372) c.p.c., non trattandosi di documenti che attengono alla nullita’ della sentenza impugnata, ovvero all’ammissibilita’ del ricorso o del controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
6. Va disattesa, preliminarmente, l’eccezione relativa al difetto di prova della titolarita’ del diritto in capo alla controricorrente, formulata dal (OMISSIS) nella memoria deposita in vista dell’adunanza camerale di questa Corte.
6.1. Sul punto, occorre muovere dal rilievo che l’ipotesi verificatasi nel corso del giudizio di appello – di fusione, per incorporazione, tra societa’, costituisce una “vicenda integrante una situazione giuridica che corrisponde a quella della successione a titolo universale e che, agli effetti processuali, comporta il subingresso “ex lege”, nella qualita’ di parte, della societa’ incorporante a quella estinta” (Cass. Sez. 2, sent. 27 agosto 1997, n. 8100, Rv. 50722001), sicche’ nessun dubbio puo’ essere avanzato sulla titolarita’, in capo ad (OMISSIS) S.p.a., del diritto in origine azionato da (OMISSIS) S.p.a., e cio’ sulla scorta della documentazione dalla stessa allegata al proprio controricorso.
D’altra parte, che tale produzione documentale fosse ammissibile, ex articolo 372 c.p.c., e’ conclusione che deriva dalla constatazione che solo attraverso di essa la predetta societa’ poteva dimostrare l’ammissibilita’ del proprio controricorso.
7. Cio’ premesso, il ricorso va rigettato.
7.1. Il primo motivo non e’ fondato.
7.1.1. Al riguardo, trova applicazione il principio – richiamato anche dalla controricorrente – secondo cui, in caso di proposizione in appello della querela di falso, “sebbene, di regola, il giudice debba limitarsi ad accertare la sussistenza dei presupposti necessari per instaurare il relativo giudizio”, la stessa “puo’ essere dichiarata manifestamente infondata, mediante un’interpretazione restrittiva dell’articolo 355 c.p.c., in virtu’ del principio della ragionevole durata del processo” (cfr. Cass. Sez. 2, sent. 23 novembre 2016, n. 23899, Rv. 642195-01).
Ne consegue, pertanto, che la Corte territoriale non era affatto tenuta, diversamente da quanto si assume con il motivo in esame, ad accertare preliminarmente la sussistenza, o meno, dei presupposti per la proposizione della querela di falso.
7.2. Anche il secondo motivo non e’ fondato.
7.2.1. Corretta e’, infatti, l’affermazione della sentenza impugnata, laddove ha ravvisato, nel caso in esame, un’ipotesi di riempimento abusivo della polizza fideiussoria avvenuto “contra patta”, e non “absque pactis”, non incorrendo, dunque, nel denunciato vizio di sussunzione.
Valgono, sul punto, i rilievi espressi in un recente arresto di questa Corte.
Esso, nel confermare che la querela di falso non e’ necessaria “quando il riempimento sia avvenuto “contra pacta””, cioe’ in modo difforme da quello consentito “dall’accordo precedentemente intervenuto” tra le parti, ha ribadito che mentre “il riempimento “absque pactis” e’ quello che trasforma il documento in qualcosa di diverso da quel che era in precedenza, e costituisce percio’ una falsita’ materiale”, il riempimento “”contra pacta” o abuso di biancosegno, invece, consiste in un inadempimento: ovvero nella violazione del “mandatum ad scribendum” conferito dal sottoscrittore a chi poi dovra’ completare il documento”. Da tale premessa la citata sentenza di questa Corte “ha tratto la conclusione che deve ritenersi sussistente non un falso materiale (riempimento “absque pactis”), ma un abuso di biancosegno (riempimento “contra pacta”) in tutti i casi in cui esista un qualsivoglia accordo sugli interventi da eseguire sul testo”, e cio’ a prescindere del fatto che l’accordo sul riempimento abbia “sia un contenuto positivo”, sia “un contenuto negativo”. Difatti, in entrambi i casi “il sottoscrittore ed il prenditore del documento concordano che il secondo dovra’ tenere una certa condotta”, non rilevando “se si tratti d’una condotta positiva o negativa”, sicche’ “il patto col quale chi riceva un documento si obblighi a non completarlo e’, dunque, un accordo di riempimento” (cosi’, in motivazione, Cass. 17 gennaio 2018, ord. n. 899, Rv. 647124-01).
Cio’ premesso, allora, pure nel caso che qui occupa sussiste un’ipotesi di riempimento “contra pacta”, ovvero di violazione di un mandato “ad scribendum”. Esso, nella specie, faceva carico al (OMISSIS) di assicurare che la garanzia fideiussoria prestata dal (OMISSIS) – gia’, peraltro, recante oltre al nominativo del fidegarante e l’indicazione, anche numerica, del contratto al quale accedeva la garanzia – fosse contenuta entro un certo importo (ancora da individuarsi), imponendogli, in caso contrario, di stracciare il foglio firmato, e non di riempirlo. Non avendo adempiuto a quanto impostogli, il soggetto obbligato risulta aver disatteso l’accordo di riempimento, cio’ che impone di qualificare la sua condotta – come ha fatto la sentenza impugnata – come tenuta “contra pacta”.
7.3. Il terzo motivo e’, nuovamente, non fondato.
7.3.1. Colgono nel segno i rilievi del controricorrente, secondo cui la querela di falso proposta nei riguardi di una scrittura privata (tale essendo la fattura) e’ limitata alla provenienza materiale dell’atto dal soggetto che ne abbia effettuato la sottoscrizione (Cass. Sez. 2, sent. 11 gennaio 1988, n. 47, rv. 456710-01; per un’applicazione dello stesso principio proprio alle fatture si veda anche Cass. Sez. 1, sent. 30 agosto 2007, n. 18323, Rv. 600212-01), essendo la finalita’ della querela solo quella di rompere il collegamento, quanto alla provenienza, tra dichiarazione e sottoscrizione, e non pure di impugnare la veridicita’ di quanto dichiarato (Cass. Sez. 3, sent. 2 giugno 1999, n. 5383, Rv. 526967-01).
Di conseguenza la querela di falso, nel caso di specie, non avrebbe potuto sortire l’effetto avuto di mira dal (OMISSIS), ovvero quello di far accertare l’inesistenza dell’operazione risultante dalla fattura, o meglio la sua realizzazione ad un prezzo diverso da quello ivi indicato.
7.4. Infine, il quarto motivo e’ inammissibile.
7.4.1. Attraverso di esso si denuncia, nella sostanza, “sub specie” di violazione dell’articolo 221 c.p.c. e di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (e, dunque, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), il mancato esame dell’istanza istruttoria volta all’acquisizione, in originale, della citata fattura.
La censura, pertanto, non e’ riconducibile all’ipotesi di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 giacche’ essa ricorre in caso di omesso esame di un “fatto” vero e proprio (non una “questione” o un “punto” della sentenza), e, quindi, di “un fatto principale, ex articolo 2697 c.c., (cioe’ un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioe’ un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purche’ controverso e decisivo” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez. 5, sent. 8 settembre 2016, n. 17761, Rv. 641174-01; nello stesso senso Cass. Sez. 6-5, ord. 4 ottobre 2017, n. 23238, Rv. 646308-01), vale a dire un preciso accadimento, ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico (Cass. Sez. 5, sent. 8 ottobre 2014, n. 21152, Rv. 632989-01; Cass. Sez. Un, sent. 23 marzo 2015, 5745, non massimata), un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, e le relative ricadute di esso in termini di diritto (cfr. Cass. Sez. 1, ord. 5 marzo 2014, n. 5133, Rv. 629647-01), e non “deduzioni difensive” (cosi’ Cass. Sez. 2, sent. 14 giugno 2017, n. 14802, Rv. 644485-01) o, come nella specie, istanze istruttorie.
D’altra parte, la censura in esame si rivela inammissibile anche ove intesa come omesso esame di un “fatto processuale”, ovvero l’avvenuta presentazione dell’istanza suddetta. Opera, infatti, il principio secondo cui “l’omesso esame di fatti rilevanti ai fini dell’applicazione delle norme regolatrici del processo” (nella specie, appunto, l’avvenuta presentazione dell’acquisizione dell’originale della fattura) “non e’ riconducibile al vizio ex articolo 360 c.p.c., n. 5), quanto, piuttosto, a quello ex articolo 360 c.p.c., n. 4), ovvero a quelli di cui ai precedenti nn. 1 e 2, ove si tratti – in quest’ultimo caso – di fatti concernenti l’applicazione delle disposizioni in tema di giurisdizione o competenza” (Cass. Sez. 3, sent. 8 marzo 2017, n. 5785, Rv. 6433398-01).
Ne’, infine, la censura risulta ammissibile come prospettata ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), non comprendendosi in quale misura abbia violato l’articolo 221 c.p.c. la valutazione della Corte territoriale circa la non ravvisabilita’, sulla copia della fattura in atti, delle ipotizzate correzioni.
Trova, dunque, applicazione il principio secondo cui il “motivo d’impugnazione e’ costituito dall’enunciazione delle ragioni per le quali la decisione e’ erronea e si traduce in una critica della decisione impugnata, non potendosi, a tal fine, prescindere dalle motivazioni poste a base del provvedimento stesso, la mancata considerazione delle quali comporta la nullita’ del motivo per inidoneita’ al raggiungimento dello scopo, che, nel giudizio di cassazione, risolvendosi in un “non motivo”, e’ sanzionata con l’inammissibilita’ ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., n. 4)” (Cass. Sez. 3, sent. 31 agosto 2015, n. 17330, Rv. 636872-01).
8. Le spese seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico del ricorrente e liquidate come da dispositivo.
9. A carico del ricorrente sussiste l’obbligo di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna (OMISSIS) a rifondere, a (OMISSIS) S.p.a., le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 8.000,00, piu’ Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, la Corte da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
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