Provvedimento amministrativo sia sorretto da più ragioni giustificatrici

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 10 giugno 2019, n. 3890.

La massima estrapolata:

Nel caso in cui il provvedimento amministrativo sia sorretto da più ragioni giustificatrici fra loro autonome è sufficiente a sorreggere la legittimità dell’atto la conformità a legge anche di una sola di esse.

Sentenza 10 giugno 2019, n. 3890

Data udienza 6 giugno 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 427 del 2019, proposto da
C.A. di Ba. Gi. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Fr. Br., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio del dott. Al. Pl. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. De Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avv. Vi. Au. in Roma, viale (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione prima, n. 01341/2018, resa tra le parti.
Visto il ricorso in appello;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del 6 giugno 2019 il Cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti l’avvocato Francesco Bruno;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia C.A. di Ba. Gi. s.r.l. impugnava il provvedimento 2 ottobre 2013 n. 77241 del Comune di (omissis), che, riscontrando una comunicazione di inizio attività del 12 settembre 2013, ha vietato alla società l’esercizio dell’attività di rimessa di veicoli a cielo aperto, svolta sin dal 2008 su un terreno condotto in locazione in località (omissis).
2. L’adito Tribunale, con sentenza n. 1341 del 2018 della prima sezione, nella resistenza del Comune di (omissis), respingeva il ricorso. Compensava tra le parti le spese di lite.
In particolare, il primo giudice:
– dava atto che il provvedimento era giustificato dal rilievo che la società non aveva prodotto, unitamente alla comunicazione di inizio attività, certificazione urbanistica dell’area, necessaria per valutare la sussistenza dei requisiti oggettivi per lo svolgimento dell’attività stessa, destinata dal piano regolatore comunale vigente PRG a zona agricola (E3-area vincolata) e assoggettata a vari vincoli ambientali e paesaggistici confermati dal nuovo P.P.T.R., adottato con delibera della Giunta della Regione Puglia n. 1435 del 2 agosto 2013;
– rilevava che la ricorrente aveva lamentato l’illegittimità anche: “- della D.D. n. 2518 del 24 luglio 2013 che ha disposto la decadenza dalla S.C.I.A. del 22 giugno 2012, in ragione della falsa attestazione circa il possesso dei requisiti morali, come accertato con decreto del Prefetto della BAT dell’8 luglio 2013, rimasto inoppugnato, che ha vietato al sig. Gi. Ba. (già legale rappresentante della C.A. s.a.s. sino al gennaio 2013) di esercitare l’attività di rimessa di autoveicoli per mancanza del requisito soggettivo di buona condotta prescritto dall’art. 11, co. 2, del T.U.L.P.S.; – della D.D. n. 2521 del 25 luglio 2013, con cui il Comune di (omissis) ha conseguentemente disposto il divieto e la cessazione immediata dell’attività di rimessa di veicoli a cielo aperto svolta dalla C.A. s.r.l. (già C.A. s.a.s.)”;
– esaminava prioritariamente le censure svolte in relazione alle determinazioni dirigenziali nn. 2518 e 2521 del 2013, ritenendole infondate;
– osservava al riguardo che l’invalidità del titolo autorizzatorio formatosi per effetto della pregressa SCIA del 22 giugno 2012 si riverberava a danno della società anche nella sua nuova configurazione, che aveva realizzato la mera modifica della forma societaria, sicchè l’effetto decadenziale rinveniente dall’art. 75 del d.P.R. n. 445/2000 rispetto alla stessa SCIA, in relazione alla falsa dichiarazione sul possesso dei requisiti morali resa dal Basile, già amministratore della C.A. s.a.s., nonché il conseguente ordine di cessazione dell’attività, fossero stati correttamente estesi alla C.A. s.r.l., nell’irrilevanza della avvenuta trasformazione da società di persone a società di capitale e del mutamento del legale rappresentante;
– rilevava che gli stessi provvedimenti non potevano neanche dirsi viziati per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, trattandosi di atti vincolati;
– passava indi all’esame delle censure svolte avverso il provvedimento n. 77241 del 2013, ritenendolo legittimo e rilevando come lo stesso avesse reiterato le diffide del 6 settembre e 9 agosto 2013, da intendersi indi superate;
– osservava al riguardo che “Anche tralasciando la parte motiva del provvedimento nella parte in cui si asserisce la contrarietà dell’intervento al P.R.G., risulta assorbente il rilievo, ben evidenziato dalla difesa comunale, per cui parte ricorrente pretende di esercitare un’attività imprenditoriale in un’area in cui il P.P.T.R., adottato con delibera di G.R. n. 1435 del 2 agosto 2013, dunque successivamente alla più volte menzionata sentenza, colloca numerosi vincoli ambientali e paesaggistici che, pertanto, a mente dell’art. 19 L. 241/1990, non consentivano il ricorso alla S.C.I.A., atteso che l’attivazione di tale strumento di liberalizzazione dell’attività segnalata non può sostituire la specifica autorizzazione allorquando sussistono specifici vincoli ambientali, paesaggistici o culturali”;
– riteneva l’irrilevanza della già sopra menzionata sentenza n. 852/2013 della sezione seconda dello stesso Tar, pronunziata in relazione alla già citata SCIA del 22 giugno 2012 su ricorso della C.A. s.a.s. e alla stessa favorevole, in virtù del principio tempus regit actum, che rendeva ostativo allo svolgimento dell’attività la sopravvenienza del P.P.T.R. e del relativi vincoli ambientali e paesaggistici gravanti sull’area, richiamati nell’atto quale autonoma motivazione dell’inibitoria, con conseguente irrilevanza, per difetto di interesse, delle ulteriori censure dedotte avverso le altre ragioni pure esplicitate nell’atto stesso.
3. La società ha proposto appello avverso la predetta sentenza, previamente illustrando in dettaglio tutte le vicende amministrative e giudiziarie che, nel tempo, hanno avuto a oggetto l’attività di cui sopra, riproponendo il primo e il secondo motivo del ricorso di primo grado, e deducendo avverso la stessa articolate doglianze.
Si è costituito in resistenza il Comune di (omissis), concludendo per la reiezione dell’appello, di cui ha illustrato l’infondatezza.
La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 6 giugno 2019.
4. Il primo motivo di appello, relativo al provvedimento 2 ottobre 2013, n. 77241, con cui il Comune di (omissis) ha vietato alla società appellante l’esercizio dell’attività di rimessa di veicoli a cielo aperto di cui alla comunicazione di inizio attività del 12 settembre 2013, è infondato.
4.1. L’appellante lamenta, in linea generale, che il primo giudice si è appiattito sulle posizioni del Comune di (omissis) e su falsi e inesistenti presupposti, concentrandosi solo su alcuni aspetti ritenuti assorbenti e non su tutte le censure proposte dall’interessata e qui riproposte, finendo per condurre la decisione su un binario diverso da quello che gli era proprio.
4.2. Al riguardo, si osserva che il provvedimento di cui si discute ha rilevato:
– la mancata allegazione della certificazione della destinazione urbanistica dell’area, necessaria in vista dei vincoli cui l’area interessata dall’attività è stata assoggettata ai sensi del sopravvenuto P.P.T.R. adottato con delibera di Giunta regionale n. 1435 del 2 agosto 2013, non superabili dalla sentenza del Tar Puglia n. 852/2013 favorevole alla pregressa C.A. s.a.s.;
– la insuscettibilità della SCIA, ai sensi dell’art. 19 della l. n. 241 del 1990, di sostituire l’autorizzazione necessaria per l’esercizio dell’attività su area sottoposta a vincoli;
– la mancata conformità dell’intervento al piano regolatore generale comunale, che ricomprende la stessa area in zona agricola, tipizzata come “zona E3-area vincolata”, per il quale sono ammesse esclusivamente le attività finalizzate alla conduzione di fondi agricoli o connesse alle relative attività produttive e di allevamento del bestiame;
– la irrilevanza del precedente affidamento (anni 2008-2010) da parte del Comune alla C.A. s.a.s del servizio di parcheggio custodito sulla detta area, trattandosi di determinazione disposta alla luce della esclusiva esigenza di soddisfare le necessità di accoglienza turistica senza pregiudizio per il Monumento di (omissis) e per l’incolumità pubblica e la sicurezza stradale, che si era ormai esaurita, in dipendenza della realizzazione di un “centro di accoglienza”, gestito da altra società .
Si tratta, insomma, di un atto assistito da plurime motivazioni, tra loro autonome.
Trova, di conseguenza, applicazione il consolidato principio giurisprudenziale per cui per cui “nel caso in cui il provvedimento amministrativo sia sorretto da più ragioni giustificatrici fra loro autonome è sufficiente a sorreggere la legittimità dell’atto la conformità a legge anche di una sola di esse” (Cons. Stato, VI, 18 maggio 2012, n. 2894; 7 gennaio 2014, n. 12).
Sicchè ben poteva il primo giudice, in espressa adesione a tale indirizzo interpretativo, ritenere dirimente l’afferenza dell’attività oggetto di SCIA, non munita delle autorizzazioni degli enti di tutela, a un’area gravata dai vincoli ambientali e paesaggistici di cui al P.P.T.R. adottato con la ridetta delibera regionale n. 1435 del 2 agosto 2013, e irrilevanti le conclusioni raggiunte nel precedente contenzioso amministrativo risoltosi in senso favorevole all’attività, perchè precedente ai vincoli stessi.
4.2. L’appellante afferma poi, con articolate argomentazioni, che il detto P.P.T.R. non ha innovato sulla regolamentazione dell’area, limitandosi a operare una ricognizione dei vincoli preesistenti e alla loro reiterazione, e che l’attività non ha subito modificazioni.
Sul punto, si osserva che, prima della dichiarazione di decadenza del relativo titolo, l’attività per cui è causa risultava assentita in riferimento al regime vincolistico preesistente.
Infatti, la sentenza del Tar Puglia 29 maggio 2013 n. 852 – in più parti invocata dall’appellante – ha tenuto conto anche degli assensi degli enti preposti alla cura dei diversi interessi pubblici coinvolti dalla dichiarazione di inizio attività oggetto di quel giudizio (autorizzazioni del Comune di (omissis) 24 ottobre 2007 n. 200 e 15 gennaio 2008 n. 270, confermate dalla Soprintendenza competente; parere favorevole n. 65 del 27 settembre 2011 n. 65 reso dalla Provincia in sede di verifica dell’incidenza ambientale; parere n. 2470 del 5 luglio 2011 del Parco nazionale dell’Alta Murgia).
Tali autorizzazioni si profilano però inattuali rispetto alla nuova SCIA, stante la sopravvenienza del P.P.T.R. adottato il 2 agosto 2013.
Pertanto, essi non possono essere utilmente invocati dall’appellante, neanche nella prospettata ipotesi di carenza di modificazioni dello stato dell’area.
Ciò posto, poiché spetta alle autorità di tutela non solo la valutazione in ordine alla compatibilità tra l’attività e il regime vincolistico sopravvenuto, ma anche l’accertamento, che ne costituisce il necessario presupposto, di quale sia in concreto la portata di tale regime, tali argomentazioni non possono essere favorevolmente valutate.
4.3. Per le stesse ragioni appena esposte, non è ravvisabile neanche la lamentata violazione del predetto giudicato.
4.4. Infine, l’appellante sostiene che il primo giudice non ha fatto corretta applicazione del principio tempus regit actum.
Anche tale censura è infondata.
La legittimità degli atti amministrativi deve essere valutata con riferimento al momento in cui essi sono stati adottati (da ultimo, Cons. Stato, V, 18 marzo 2019, n. 1733), ed è pacifico che all’atto di adozione del divieto in parola il P.P.T.R. era vigente: ben ha fatto pertanto la sentenza appellata a confermare l’operato dell’Amministrazione, che ne aveva tenuto conto, restando irrilevante quale fosse il regime dell’area alla data di presentazione della relativa SCIA.
Per lo stesso motivo, non rileva neanche che alla data di una precedente SCIA potesse trovare applicazione il giudicato di cui alla ridetta sentenza di primo grado n. 852 del 2013.
4.5. In definitiva, il primo motivo di appello va respinto.
5. Con il secondo motivo di appello la società ripropone il secondo motivo del ricorso introduttivo del giudizio, afferente alla determina comunale n. 2518 del 24 luglio 2013, che ha disposto la decadenza della SCIA del 22 giugno 2012, per falsa attestazione circa il possesso dei requisiti morali, accertata con decreto prefettizio 8 luglio 2013, rimasto inoppugnato, recante il divieto di Gi. Ba. (legale rappresentante della C.A. s.a.s. sino al gennaio 2013) di esercitare l’attività di rimessa di autoveicoli per mancanza del requisito soggettivo di buona condotta prescritto dall’art. 11, comma 2, del T.U.L.P.S., e alla successiva determina n. 2521 del 25 luglio 2013, con cui il Comune di (omissis) ha conseguentemente disposto il divieto e la cessazione immediata dell’attività in parola svolta dalla C.A. s.r.l. (già C.A. s.a.s.).
Afferma al riguardo l’appellante che il primo giudice ha omesso di valutare la portata e gli effetti giuridici delle comunicazioni del 22 aprile 2013 e del 10 giugno del 2013, con cui la società aveva reso edotta l’Amministrazione dell’avvenuta trasformazione (il 3 maggio 2013) della C.A. s.a.s. di Ba. Gi. & C. in C.A. di Ba. Gi. s.r.l., e del fatto che non vi era continuità tra le due società quanto al legale rappresentante, atteso che la funzione, dal 29 gennaio 2013, era ricoperta da un soggetto diverso da Gi. Ba., e che quest’ultimo, a decorrere dal 22 ottobre 2013, non aveva più alcun ruolo nella società, non essendo neanche più titolare di quote azionarie, ed era poi deceduto.
Ad avviso dell’esponente, tali comunicazioni, integrando la SCIA del 22 giugno 2012, su cui si è formato il giudicato di cui alla ridetta sentenza del Tar n. 852/2013, avrebbero consolidato lo stesso giudicato in capo alla C.A. s.r.l. e al suo nuovo amministratore, anche tenuto conto del silenzio serbato dal Comune di (omissis) nei 60 giorni di cui all’art. 19, comma 3, della l. n. 241 del 1990, decorrenti dal 22 aprile 2013.
6.1. La doglianza è destituita di fondamento.
Va innanzitutto rilevato che, contrariamente a quanto affermato dall’appellante, il primo giudice ha ben preso in considerazione le appena illustrate vicende, rilevando, come riassunto in fatto, che l’invalidità del titolo autorizzatorio formatosi per effetto della pregressa SCIA del 22 giugno 2012 si riverberava a danno della società anche nella sua nuova configurazione, sicchè l’effetto decadenziale rinveniente dall’art. 75 del d.P.R. n. 445/2000 rispetto alla stessa SCIA, in relazione alla falsa dichiarazione sul possesso dei requisiti morali resa dal Basile, già amministratore della C.A. s.a.s., e il conseguente ordine di cessazione dell’attività erano stati correttamente estesi alla C.A. s.r.l., essendo al riguardo irrilevante sia l’avvenuta trasformazione da società di persone a società di capitale che il mutamento del legale rappresentante.
Inoltre, la conclusione deve essere condivisa, anche tenuto conto del fatto che, come esposto dall’Amministrazione resistente, tali atti sono stati sostanzialmente superati dalla presentazione della ulteriore SCIA di cui sopra da parte del nuovo rappresentante della C.A. s.r.l., sicchè non rileva neanche il silenzio invocato dall’appellante nel termine di cui sopra, riferito alla SCIA precedente.
6.2. Non è fondata neanche l’ulteriore censura di sproporzionatezza dell’azione amministrativa, formulata sul presupposto che il beneficio rispetto al quale opera la sanzione della decadenza di cui all’art. 75 del d.P.R. n. 445 del 2000 è solo quello immediatamente perseguito con la dichiarazione non veritiera e non già quello indirettamente ricollegabile al mendacio.
L’unica sanzione direttamente ricollegabile al mendacio era infatti quella della invalidità del titolo autorizzatorio che si era formato mediante il mendacio stesso, e che era poi transitato in capo alla società odierna appellante.
Ben ha fatto, pertanto, il primo giudice a concludere sia per il carattere vincolato della disposta invalidità del titolo autorizzatorio formatosi per effetto della SCIA del 22 giugno 2012, sia, in applicazione di consolidata giurisprudenza, per la conseguente irrilevanza della mancata comunicazione di avvio del relativo procedimento, che l’appellante torna a lamentare nella ultima doglianza del motivo.
7. Alle rassegnate conclusioni consegue la reiezione dell’appello.
8. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello di cui in epigrafe, lo respinge.
Condanna la parte appellante alla refusione in favore della parte resistente delle spese di lite, che liquida nell’importo pari a Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00), oltre oneri di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 6 giugno 2019 con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Prosperi – Presidente FF
Valerio Perotti – Consigliere
Federico Di Matteo – Consigliere
Anna Bottiglieri – Consigliere, Estensore
Elena Quadri – Consigliere

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