Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 18 aprile 2019, n. 2517.
La massima estrapolata:
Il potere di annullare l’autorizzazione paesaggistica che l’art. 151, D.Lgs. 490/1999 attribuisce alla Soprintendenza, costituisce espressione di un’attività di cogestione del vincolo funzionale all’estrema difesa dello stesso, non soggetta quindi alle regole e ai principi propri dell’autotutela; ne consegue che, ai fini dell’annullamento del nulla osta rilasciato, non è richiesta alcuna valutazione dei contrapposti interessi del privato, il quale peraltro di fronte ad un atto illegittimo perché contrastante con il preminente interesse pubblico alla salvaguardia dei beni ambientali e paesaggistici (art. 9 Cost.), non può vantare alcun affidamento tutelabile.
Sentenza 18 aprile 2019, n. 2517
Data udienza 4 aprile 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 276 del 2013, proposto da
Vi. Su. Ma. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fi. Br. e Fr. Sc., con domicilio eletto presso lo studio legale Ch., in Roma, via (…);
contro
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Ravenna, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma, via (…), sono domiciliati ex lege;
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante in carica, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna – Bologna Sezione Prima n. 00372/2012, resa tra le parti, concernente l’annullamento di un’autorizzazione paesaggistica.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Ravenna;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 aprile 2019 il Cons. Alessandro Maggio e uditi per le parti l’avvocato Al. Vi. in dichiarata delega di Fi. Br. e l’avvocato dello Stato Pa. De Nu.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La Vi. Su. Ma. s.r.l. ha chiesto al Comune di (omissis) il permesso di costruire in sanatoria con riguardo ad un chiosco-bar, con annessi gazebo e chiosco-wc, destinati a servizio di un camping, realizzati, senza titolo edilizio, sul litorale compreso tra i centri abitati di (omissis).
Essendo l’area interessata dall’abuso, soggetta a vincolo ex art. 146, comma 1, del D. Lgs. 29/10/1999, n. 490, il Comune ha rilasciato la prescritta autorizzazione paesaggistica.
Con provvedimento n. 4331 in data 15/3/2001 la Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici per le Province di Ravenna – Ferrara – Forlì -Cesena – Rimini ha, però, annullato la detta autorizzazione osservando che: “- risulta insufficientemente motivata l’autorizzazione ambientale rilasciata dal Comune di (omissis), dove, semplicemente si riporta che “l’intervento non altera negativamente il contesto circostante”, senza che venga esaurientemente motivata la compatibilità dell’intervento con le valenze ambientali dell’area e con gli indirizzi normativi del PTPR; negli interventi in questione sono stati utilizzati materiali incongrui con le caratteristiche ambientali del luogo, per la complessiva impressione di precarietà e di disordine estetico che i manufatti inducono alla vista.
– Gli interventi sono stati realizzati immediatamente a ridosso dell’arenile in area finora non interessata da altre strutture ed insediamenti balneari, venendo a determinarsi quindi come una situazione unica e atipica nei confronti del contesto ambientale limitrofo.
– Si rileva la presenza di una platea, realizzata direttamente sulla spiaggia antistante i manufatti oggetto di sanatoria”.
Ritenendo l’atto di annullamento illegittimo la Vi. Su. Ma. lo ha impugnato con ricorso al T.A.R. Emilia Romagna – Bologna, il quale, con sentenza 25/3/2012, n. 372, lo ha respinto.
Avverso la sentenza ha proposto appello la Vi. Su. Ma..
Per resistere al ricorso si è costituita in giudizio l’amministrazione statale intimata.
Con successiva memoria l’appellante ha ulteriormente illustrato le proprie tesi difensive.
Alla pubblica udienza del 4/4/2019 la causa è passata in decisione.
Col primo motivo si deduce che l’unità immobiliare interessata dall’abuso sarebbe classificata dallo strumento urbanistico comunale, in armonia col PTPR e col PTP, come sottozona (omissis) “campeggi esistenti e di completamento”, di modo che l’esercizio dell’attività di gestione di un campeggio con gli annessi servizi risulterebbe già valutata dal Comune come compatibile con il vincolo paesaggistico gravante sull’area.
Ne discenderebbe che il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica non richiederebbe ulteriore motivazione in ordine alla detta compatibilità .
Il TAR avrebbe pertanto errato nel ritenere l’autorizzazione paesaggistica priva di adeguata motivazione.
La doglianza è infondata.
Le valutazioni compiute in sede urbanistica e quelle sottese al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, pur incidendo sullo stesso bene, operano su piani differenti e solo in parte coincidenti.
Ed invero, le prime sono preordinate a garantire principalmente l’ordinato sviluppo edilizio del territorio, mentre le seconde mirano ad accertare in concreto la compatibilità dell’intervento con il mantenimento e l’integrità dei valori dei luoghi (Cons. Stato, Sez. VI, 30/10/2017, n. 5016).
Conseguentemente, il fatto che la normativa urbanistico-edilizia relativa ad un’area paesaggisticamente vincolata consenta la realizzazione di una determinata opera, non esclude che l’ammissibilità di quest’ultima debba essere vagliata anche sotto il profilo paesaggistico e che, pertanto, il relativo provvedimento abilitativo debba puntualmente esternare le ragioni della ritenuta compatibilità dell’intervento con il valore ambientale tutelato.
Nel caso di specie l’autorizzazione paesistica rilasciata dal Comune era del tutto immotivata essendosi l’amministrazione locale limitata ad affermare genericamente che “l’intervento non altera negativamente il contesto circostante”, senza fornire puntuali indicazioni in ordine all’impatto dell’intervento edilizio sull’area vincolata e alla tollerabilità della conseguente trasformazione del territorio rispetto alla salvaguardia dei valori ambientali da salvaguardare.
Correttamente, dunque, l’appellata Soprintendenza ha annullato l’atto anche per difetto di motivazione (Cons. Stato, Sez. VI, 22/8/2007, n. 4473).
Col secondo motivo si denuncia che il giudice di prime cure avrebbe omesso di pronunciare sulla doglianza con cui era stato dedotto che la Soprintendenza, nel disporre l’annullamento, non avrebbe:
a) operato alcun contemperamento tra l’interesse pubblico al mero ripristino della legalità violata e quello privato al mantenimento di opere realizzate da oltre vent’anni senza contestazione, con il conseguente affidamento derivatone;
b) considerato che i manufatti per cui è causa presenterebbero connotazioni morfologico-costruttive del tutto organiche con la realtà circostante e con l’attività commerciale svolta dalla Vi. Su. Ma..
La doglianza è in parte infondata e in parte inammissibile.
E’ infondata con riguardo al profilo sub a).
Il potere di annullare l’autorizzazione paesaggistica che l’art. 151 del D. Lgs. 490/1999(applicabile ratione temporis) attribuisce alla Soprintendenza, costituisce espressione di un’attività di cogestione del vincolo funzionale all’estrema difesa dello stesso (Cons. Stato, Sez. VI, 9/4/2018, n. 2160; 18/5/2015, n. 2509), non soggetta quindi alle regole e ai principi propri dell’autotutela.
Ne consegue che, ai fini dell’annullamento del nulla osta rilasciato, non è richiesta alcuna valutazione dei contrapposti interessi del privato, il quale peraltro di fronte ad un atto illegittimo perché contrastante con il preminente interesse pubblico alla salvaguardia dei beni ambientali e paesaggistici (art. 9 Cost.), non può vantare alcun affidamento tutelabile.
E’ invece inammissibile relativamente al profilo sub b), trattandosi di censura che sconfina nel merito degli apprezzamenti compiuti dall’amministrazione, atteso che l’appellante ha sostanzialmente sostituito le proprie valutazioni a quelle dell’autorità ministeriale.
Col terzo motivo si denuncia l’errore commesso dal T.A.R. nell’omettere di pronunciare sulla doglianza con era stato dedotto che la Soprintendenza non potesse annullare l’autorizzazione per motivi di merito, essendo il potere di annullamento riconosciutole dall’art. 151 circoscritto ai soli vizi di legittimità .
La doglianza è infondata.
Occorre premettere che, in virtù dell’effetto devolutivo dell’appello, l’omessa pronuncia del giudice di primo grado su uno o più motivi di gravame non è idonea a viziare la sentenza.
In secondo grado, infatti, il giudice è chiamato a valutare tutte le domande, integrando – ove necessario – le argomentazioni della sentenza appellata senza che, quindi, rilevino le eventuali carenze motivazionali di quest’ultima (cfr, fra le tante, Cons. Stato, Sez. VI, 6/2/2019, n. 897; 14/4/2015, n. 1915; Sez. V, 23/3/2018, n. 1853; 19/2/2018, n. 1032 e 13/2/2009, n. 824; Sez. IV, 5/2/2015, n. 562).
Ciò posto può procedersi alla doglianza in questa sede riproposta che però non merita accoglimento.
Ed invero, l’eventuale annullamento del nulla osta paesaggistico comunale da parte della Soprintendenza risulta riferibile a qualsiasi vizio di legittimità, riscontrato nella valutazione formulata in concreto dall’ente territoriale, ivi compreso l’eccesso di potere in ogni sua figura sintomatica. L’unico limite è costituito dal divieto di effettuare un riesame complessivo delle valutazioni compiute dall’amministrazione locale, tale da consentire la sovrapposizione o sostituzione di una nuova valutazione di merito a quella compiuta in sede di rilascio dell’autorizzazione.
Tale limite sussiste, però, soltanto se l’ente che rilascia l’autorizzazione di base abbia adempiuto al suo obbligo di motivare in maniera adeguata in ordine alla compatibilità paesaggistica dell’opera. In caso contrario, è riscontrabile un vizio di illegittimità per difetto o insufficienza della motivazione, che abilita gli organi ministeriali che per tale ragione dispongono l’annullamento dell’atto, a indicare i profili di merito che fanno propendere per la non compatibilità delle opere realizzate con i valori tutelati (Cons. Stato, Sez. VI, 9/4/2018, n. 2160; 13/2/2017, n. 621; 23/2/2016, n. 727; 5/3/2014, n. 1034; 18/1/2012, n. 173; 21/9/2011, n. 5292).
Nel caso di specie, l’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Comune era priva di motivazione per cui correttamente la Soprintendenza ha indicato le ragioni di contrasto dei lavori eseguiti con la tutela del bene ambientale.
Col quarto motivo si lamenta che il giudice di prime cure non avrebbe adeguatamente valorizzato la censura con cui era stato dedotto che il provvedimento dell’autorità ministeriale risulterebbe viziato laddove ha considerato incontaminata la zona in cui ricade l’area d’intervento e ascrivibile alla Vi. Su. Ma. la realizzazione della platea in cemento antistante i manufatti oggetto della richiesta di sanatoria con conseguente valutabilità della stessa in sede di annullamento dell’atto.
La doglianza è infondata.
Come emerge dagli allegati fotografici prodotti in giudizio, gli interventi abusivi oggetto del contendere ricadono su un arenile non interessato, perlomeno nelle immediate vicinanze degli stessi, dalla presenza di altri manufatti.
Ed invero, solo sull’area retrostante la spiaggia sono ubicate opere di vario genere funzionali all’esercizio dell’attività turistico-ricettiva.
Correttamente, pertanto, la Soprintendenza ha ritenuto l’area “non interessata da altre strutture ed insediamenti balneari”.
Nessun rilievo sulla legittimità del provvedimento impugnato ha, poi, la circostanza che la “platea” a cui in esso si fa riferimento non sia stata realizzata dall’odierna appellante.
L’atto si limita, infatti, a registrare un fatto oggettivo, ovvero “la presenza di una platea realizzata direttamente sulla spiaggia antistante i manufatti oggetto di sanatoria”, senza imputarne la realizzazione a chicchessia.
Ne discende che, diversamente da quanto l’istante deduce, la detta opera ben poteva essere individuata fra gli elementi da valutare nell’ambito del più ampio e complessivo giudizio circa la compatibilità di ulteriori interventi con la conservazione della bellezza naturale tutelata.
L’appello va, in definitiva, respinto.
Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Spese e onorari di giudizio, liquidati come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali in favore della parte appellata, liquidandole forfettariamente in complessivi Euro 4.000/00 (quattromila), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 aprile 2019 con l’intervento dei magistrati:
Diego Sabatino – Presidente FF
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere, Estensore
Francesco Mele – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere
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