Consiglio di Stato, sezione seconda, Sentenza 8 luglio 2019, n. 4736.
La massima estrapolata:
Nel processo amministrativo il giudice ha ampi poteri discrezionali in ordine al riconoscimento, sul piano equitativo, dei giusti motivi per far luogo alla compensazione delle spese giudiziali ovvero per escluderla, con il solo limite che non può condannare alle spese la parte risultata vittoriosa in giudizio.
Sentenza 8 luglio 2019, n. 4736
Data udienza 25 giugno 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5417 del 2008, proposto da
Di Pi. Ma., rappresentato e difeso dall’avvocato Co. De Si., con domicilio eletto presso lo studio Fi. Lu. in Roma, via (…);
contro
Ministero dell’Economia e delle Finanze e Ispettorato Compartimentale dei Monopoli di Stato di Roma, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina n. 00275/2007, resa tra le parti, concernente l’appalto per la rivendita di generi di monopolio.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 giugno 2019 il Cons. Paolo Giovanni Nicolò Lotti e uditi per le parti l’avvocato Ma. Sa., su delega di Co. De Si..
FATTO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Latina, Sez. I, con la sentenza 18 aprile 2007, n. 275, ha accolto il ricorso proposto dall’attuale parte appellante per l’annullamento delle determinazioni assunte dall’Amministrazione il 12 luglio 1995 in ordine all’appalto per la rivendita di generi di monopolio da istituirsi nel comune di Latina, dell’avviso d’asta ad unico incanto in data 12 luglio 1995 prot. n. 2806, e, in parte qua, della circolare ministeriale n. 04-60570 del 20 gennaio 1971.
La parte appellante contestava la sentenza del TAR deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e la violazione e falsa applicazione dell’art. 24, comma 2, Cost., in relazione all’arbitrario esercizio del potere di liquidazione delle spese di lite.
Con l’appello in esame chiedeva la condanna delle Amministrazioni intimate in primo grado, in solido tra loro, al pagamento delle spese di lite del giudizio di primo grado.
All’udienza pubblica del 25 giugno 2019 la causa veniva trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Questo Consiglio di Stato ha ripetutamente affermato (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. IV, 24 novembre 2016, n. 4948) che nel processo amministrativo il giudice ha ampi poteri discrezionali in ordine al riconoscimento, sul piano equitativo, dei giusti motivi per far luogo alla compensazione delle spese giudiziali ovvero per escluderla, con il solo limite che non può condannare alle spese la parte risultata vittoriosa in giudizio.
La decisione del giudice di merito in materia di spese processuali, infatti, è censurabile soltanto quando le spese siano state poste, totalmente o parzialmente, a carico della parte totalmente vittoriosa; non è invece sindacabile, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione, l’esercizio del potere discrezionale del giudice di merito sull’opportunità di compensare, in tutto o in parte le spese medesime.
Tale discrezionalità è sindacabile in sede di appello nei limiti in cui la statuizione sulle spese possa ritenersi illogica o errata, alla stregua dell’eventuale motivazione adottata (cfr., da ultimo, Consiglio di Stato, sez. V, 26 luglio 2018, n. 4595).
In altre parole, l’ampio potere di apprezzamento di cui il giudice dispone in ordine alla regolazione delle spese di lite, in caso di compensazione, che può essere disposta anche tenuto conto della condotta processuale delle parti (Consiglio di Stato, VI, 25 febbraio 1998, n. 198; VI, 12 dicembre 2011, n. 6497), e salva l’ipotesi di decisione manifestamente irrazionale, è valutazione di merito non sindacabile in appello neppure per difetto di motivazione (Consiglio di Stato, IV, 20 dicembre 2017, n. 5981): i “giusti motivi” che consentono la deroga al criterio generale della soccombenza, ove non puntualmente specificati, possono infatti essere desumibili anche direttamente dal contesto della decisione (ex plurimis, Cons. Stato, III, 17 febbraio 2016, n. 643; VI, 5 dicembre 2013, n. 5789; IV, 28 novembre 2012, n. 6023).
Di recente, questo Consiglio, con la sentenza 27 luglio 2017, n. 3706, nel ribadire che nel processo amministrativo la compensazione delle spese di giudizio fra le parti è espressione di un ampio potere valutativo del giudizio di primo grado, sostanzialmente sottratto al sindacato del giudice di appello, salva l’ipotesi di statuizioni macroscopicamente irragionevoli, abnormi e illogiche, ravvisabili in caso di condanna alle spese della parte vittoriosa, ha anche rammentato l’orientamento (tra cui Cons. Stato, III, 4 luglio 2014 n. 3394) secondo cui il principio della soccombenza riceve attenuazione nel processo amministrativo a fronte della complessità delle regole che governano l’azione amministrativa, soggette a mutamento nel tempo con effetto sulla graduazione degli interessi dalla stessa coinvolti, alla cui cura è preposto l’organo pubblico chiamato in giudizio.
2. Nel caso di specie, il TAR ha accolto il ricorso di primo grado proposto dall’attuale appellante, ritenendo fondato e assorbente il primo motivo di gravarne con cui il ricorrente sostanzialmente deduce che, nel compiere l’istruttoria, l’Amministrazione non ha rispettato i criteri stabiliti dalla circolare ministeriale 20 gennaio 1971 che ha analiticamente disciplinato il procedimento relativo all’istituzione e al trasferimento delle rivendite ordinarie e speciali nonché al rilascio e al rinnovo dei cd. patentini.
Secondo il TAR, le determinazioni impugnate si fondano su una istruttoria insufficiente e viziata in quanto a rappresentazione della realtà, vizi che tuttavia esplicano i loro effetti principali nell’ambito del procedimento, senza ancora fornire un assetto definitivo agli interessi protetti azionati.
Pertanto, il rilievo eminentemente procedimentale dei vizi rilevati dal TAR costituiscono motivi desumibili dalla decisione per giustificare la compensazione delle spese, in considerazione che, come detto, il principio della soccombenza riceve attenuazione nel processo amministrativo.
L’adozione di una soluzione volta a compensare le spese, alla luce di tali elementi, non si ritiene irragionevole e non è ulteriormente sindacabile in sede di appello.
3. Nulla per le spese del presente grado di giudizio, in assenza della costituzione della parte appellata.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda,
Definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe indicato, lo respinge.
Nulla per le spese di lite del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 giugno 2019 con l’intervento dei magistrati:
Gabriele Carlotti – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere, Estensore
Fulvio Rocco – Consigliere
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
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