Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza 13 marzo 2019, n. 7167.
La massima estrapolata:
L’indagine che deve compiere il giudice del merito al fine di stabilire se una data fattispecie di licenziamento per giustificato motivo oggettivo sia o meno caratterizzata dalla “manifesta insussistenza del fatto”, si compone di due momenti concettualmente distinti ma coesistenti nell’unitarietà dell’accertamento giudiziale: nel senso che, con il primo di essi, che attiene alla struttura tipica della specifica fattispecie espulsiva, il giudice è chiamato ad accertare il “fatto” del licenziamento in ciascuno degli elementi che concorrono a delinearlo (riorganizzazione, nesso di causalità e obbligo di repêchage); con il secondo, il giudice è chiamato ad una penetrante analisi e valutazione di tutte le circostanze del caso concreto, quale unico mezzo per determinare l’eventuale riconduzione del fatto sottoposto al suo esame all’area di una insussistenza che deve porsi come “manifesta” e cioè contraddistinta da tratti che ne segnalano, in modo palese, la peculiare difformità rispetto alla mera assenza dei presupposti del licenziamento.
Sentenza 13 marzo 2019, n. 7167
Data udienza 15 novembre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NOBILE Vittorio – Presidente
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 22040-2017 proposto da:
(OMISSIS) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS) S.R.L.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 3891/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 20/07/2017; r.g.n. 624/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/11/2018 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 3891/2017, pubblicata il 20 luglio 2017, la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado (che aveva ritenuto il recesso datoriale viziato da motivo illecito determinante), escludeva che il licenziamento intimato da (OMISSIS) S.r.l. ad (OMISSIS) in data 30/6/2014 potesse considerarsi assistito da un giustificato motivo oggettivo, osservando come il reparto, cui la medesima era addetta alla data del provvedimento, fosse stato bensi’ soppresso in conseguenza di un riassetto organizzativo e produttivo che ne aveva previsto la “esternalizzazione”, ma la lavoratrice vi fosse stata collocata, proveniente da altro reparto, in esubero rispetto all’ordinario livello occupazionale: cio’ che determinava l’insussistenza di un effettivo collegamento tra il riassetto e la soppressione del posto di lavoro e, con essa, stante l’evidente arbitrio ravvisabile nella condotta datoriale, la manifesta insussistenza del fatto integrante il dedotto giustificato motivo oggettivo, con conseguente applicazione della tutela di cui alla L. n. 300 del 1970, comma 4.
2. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la societa’ con unico motivo, cui ha resistito la lavoratrice con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo proposto, deducendo la violazione o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, articolo 18 la societa’ datrice di lavoro censura la sentenza impugnata per non avere considerato che la manifesta insussistenza del fatto – quale presupposto legittimante la tutela reintegratoria ai sensi del comma 4 della legge – ricorre nella sola ipotesi di inesistenza del fatto materiale addotto a sostegno del licenziamento per giustificato motivo oggettivo e che, nella diversa ipotesi in cui tale fatto materiale invece sussista (come nel caso di specie, nel quale risulta incontestata la natura effettiva, e non apparente, del processo di “esternalizzazione” del reparto cui la lavoratrice era addetta al tempo del recesso), la tutela applicabile e’ unicamente quella indennitaria prevista dal comma 5.
2. Il motivo e’ infondato.
3. L’articolo 18, cosi’ come modificato dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, dispone (comma 7) che il giudice applichi la disciplina di cui al comma 4, e cioe’ la piu’ forte e incisiva tutela costituita dalla condanna del datore di lavoro alla reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro in precedenza occupato e al pagamento di un’indennita’ risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del recesso sino a quello della effettiva reintegrazione, entro il limite delle dodici mensilita’, “nell’ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo”; e che applichi, invece, la disciplina di cui al comma 5, e cioe’ la condanna del datore di lavoro al solo pagamento di un’indennita’ risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilita’ dell’ultima retribuzione globale di fatto, “nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo”.
4. In sostanza, il nuovo regime sanzionatorio introdotto dalla L. n. 92 del 2012 in tema di recesso datoriale per giustificato motivo oggettivo prevede, come regola, il pagamento a favore del lavoratore di un’indennita’ risarcitoria compresa tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilita’, mentre riserva il ripristino del rapporto, oltre ad un risarcimento che non puo’ superare le dodici mensilita’ dell’ultima retribuzione globale di fatto, alle ipotesi eccezionali connotate – in luogo del mero difetto degli “estremi” della fattispecie – dalla manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento (Cass. n. 14021/2016 e successive conformi).
5. Ne consegue che l’espressione “puo’ altresi’ applicare”, che compare al principio della disposizione in esame, non assegna al giudice un margine ulteriore di discrezionalita’ (tra casi reputati meritevoli della piu’ severa sanzione per la loro estrema gravita’ e casi che, pur rivelandosi compresi anch’essi nell’identico e comune ambito di eccezione, non siano considerati tali), posto che, ove il fatto sia caratterizzato dalla “manifesta insussistenza”, e’ unica, e soltanto applicabile, la protezione del lavoratore rappresentata dalla disciplina di cui al comma 4.
6. Cio’ posto, si osserva che l’indagine, che deve compiere il giudice del merito al fine di stabilire se una data fattispecie di licenziamento per giustificato motivo oggettivo sia o meno caratterizzata dalla “manifesta insussistenza del fatto”, si compone di due momenti concettualmente distinti ma coesistenti nell’unitarieta’ dell’accertamento giudiziale: nel senso che, con il primo di essi, che attiene alla struttura tipica della specifica fattispecie espulsiva, il giudice e’ chiamato ad accertare il “fatto” del licenziamento in ciascuno degli elementi che concorrono a delinearlo, e pertanto, a procedere ad un’opera di ricognizione tanto della effettiva sussistenza di un processo di riorganizzazione o riassetto produttivo, come della necessaria sussistenza del nesso di causalita’ fra tale processo e la perdita del posto di lavoro ed inoltre dell’impossibilita’ per il datore di lavoro di ricollocare il proprio dipendente nell’impresa riorganizzata e ristrutturata (Cass. n. 24882/2017 e numerose conformi); con il secondo, il giudice e’ chiamato ad una penetrante analisi e valutazione di tutte le circostanze del caso concreto, quale unico mezzo per determinare l’eventuale riconduzione del fatto sottoposto al suo esame all’area di una insussistenza che deve porsi come “manifesta” e cioe’ contraddistinta da tratti che ne segnalano, in modo palese, la peculiare difformita’ rispetto alla mera assenza dei presupposti del licenziamento.
7. A tali criteri di indagine si e’ correttamente uniformata la Corte di appello di Roma nella sentenza impugnata, avendo preso in considerazione non soltanto l’intervenuto riassetto organizzativo e produttivo dell’impresa, pacificamente sussistente e incontestato, ma anche la questione dell’esistenza di un nesso effettivo fra tale riassetto e la soppressione del posto di lavoro; e avendo, sul rilievo della strumentale e sovrabbondante collocazione della lavoratrice (come di altri colleghi) in un reparto destinato in breve volgere di tempo ad essere soppresso, accertato la palese elisione di tale legame e, con essa, una condotta datoriale obiettivamente e palesemente artificiosa, in quanto diretta all’attribuzione e all’esercizio di un potere di selezione arbitraria del personale da licenziare, come tale integrante il presupposto per l’applicazione della tutela di cui al comma 4.
8. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
9. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo in favore della controricorrente.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
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