Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 2 settembre 2019, n. 6019.
La massima estrapolata:
L’ipotesi derogatoria del criterio principale di riparto della competenza per territorio, fondato sulla sede dell’Autorità che ha emesso l’atto impugnato e suscettibile di essere sostituito da quello inerente agli effetti diretti dell’atto solo qualora gli stessi si esplichino esclusivamente nel luogo compreso in una diversa circoscrizione di Tribunale amministrativo regionale.
Sentenza 2 settembre 2019, n. 6019
Data udienza 13 giugno 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1915 del 2013, proposto dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed altri, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello stato, presso la cui sede domiciliano per legge in Roma, via (…);
contro
la società Ve. Te. Pa. S.p.a., in persona del rappresentante legale pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Vi. Do. e Lu. Ma. ed elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo dei suindicati difensori in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, Sez. I, 6 novembre 2012 n. 1346, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Vista la costituzione in giudizio della società Ve. Te. Pa. S.p.a. e i documenti prodotti;
Esaminate le ulteriori memorie depositate;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 novembre 2018 il Cons. Stefano Toschei e uditi per le parti l’avvocato Lu. Ma. e l’avvocato dello Stato Ma. St. Me.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. – Con ricorso in appello il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (d’ora in poi, per brevità, MIT), la Capitaneria di Porto di Ve. ed il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare hanno chiesto a questo Consiglio la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, Sez. I, 6 novembre 2012 n. 1346, con la quale è stato accolto il ricorso (R.G. n. 735/2012) che la società Ve. Te. Pa. S.p.a. aveva proposto ai fini dell’annullamento del d.m. del MIT 2 marzo 2012, adottato di concerto con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, nella parte in cui stabiliva che per il Porto di Ve. non era ammessa la deroga di cui all’art. 7, comma 2, d.lgs. 24 giugno 2003, n. 182 con la conseguenza che il comandante della nave prima della partenza dal Porto di Ve. è tenuto a conferire i rifiuti ed i residui del carico prodotti dalla nave in porto nonché dell’ordinanza 21 marzo 2012 n. 3.
2. – La documentazione prodotta in giudizio dalle parti controvertenti in sede di appello (nonché nel giudizio di primo grado) consente di ricostruire la vicenda contenziosa come segue, limitatamente alle questioni fatte oggetto di ricorso in primo grado e decise con la sentenza della quale qui si chiede la riforma:
– l’art. 7, comma 2 d.lgs. 182/2003 (“Attuazione della direttiva 2000/59/CE relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi ed i residui del carico”), recependo la direttiva comunitaria 2000/59/CE, ha introdotto un’espressa e generale deroga all’obbligo delle navi di conferire i rifiuti in porto, consentendo alle stesse di proseguire verso il successivo porto, previa autorizzazione dell’Autorità marittima, qualora quest’ultima accerti che la nave “ha una capacità di stoccaggio sufficiente per i rifiuti già prodotti e accumulati e per quelli che saranno prodotti fino al momento dell’arrivo presso il successivo porto di conferimento”;
– con il decreto del MIT, di concerto con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, n. 79 del 2 marzo 2012, così come modificato dal d.m. 30 aprile 2012 n. 136, limitatamente all’art. 2, commi 2 e 3, si è stabilito che per il solo Porto di Ve., non era ammessa, in via assoluta, tale possibilità di deroga e che pertanto il comandante della nave prima della partenza dal porto era tenuto a conferire, in ogni caso, i rifiuti ed i residui del carico nel Porto di Ve.;
– la società Ve. Te. Pa. S.p.a. ha impugnato, con ricorso introduttivo e con ricorso recante motivi aggiunti sia il surrichiamato decreto interministeriale sia l’ordinanza n. 24/2012 del 21 marzo 2012 adottata dalla Capitaneria di Porto di Ve. sostenendo che (per quanto si legge nel ricorso proposto in primo grado e in parte riprodotto dall’Avvocatura generale dello Stato nell’atto di appello a pag. 2) “(…) Dal confronto della disposizione censurata del decreto del MIT (…), emerge ictu oculi l’illegittimità del provvedimento impugnato che, senza alcuna motivazione e del tutto arbitrariamente ed irragionevolmente, esclude per il solo Porto di Ve. la possibilità per le navi in transito (o meglio, per le navi in partenza) di proseguire sino al porto successivo, obbligandole al contrario a conferirne i rifiuti, anche se hanno sufficiente capacità di stoccaggio”;
– il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, con la sentenza qui oggetto di appello, ha accolto il ricorso proposto dalla società Ve. Te. Pa. S.p.a. e ha annullato, tra l’altro, la disposizione contenuta nel comma 2 dell’art. 2 d.m.. 2 marzo 2012, n. 79, così come sostituito dall’art. 1 d.m. 30 aprile 2012, n. 136;
– in particolare il giudice di primo grado ha ricordato che l’art. 7, comma 2, d.lgs. 182/2003, di recepimento della direttiva 2000/59/CE, disciplina l’ipotesi di deroga all’obbligo del conferimento dei rifiuti e dei residui del carico all’impianto portuale qualora questi superino la soglia del 50% della capienza dei locali della nave che sono ordinariamente destinati ad ospitarli e che l’impugnata previsione contenuta nell’art. 2, comma 2, d.m. 79/2012, così come modificato dal d.m. 136/2012, si pone in contrasto con la previsione derogatoria siccome disciplinata dal citato art. 7 d.lgs. 182/2003, atteso che quest’ultima norma stabilisce che la nave possa partire solo su autorizzazione dell’Autorità marittima, previo accertamento da parte di quest’ultima che la nave abbia una “capacità di stoccaggio sufficiente per i rifiuti già prodotti e accumulati e per quelli che saranno prodotti sino al momento dell’arrivo presso il successivo porto di conferimento”. Tale atto di autorizzazione, ad avviso del primo giudice, ha valore di mero atto di accertamento, “privo di qualsivoglia discrezionalità, restando impregiudicato ed incomprimibile il diritto dell’armatore o del comandante di trattenere i rifiuti a bordo nel caso in cui sussista la menzionata capacità tecnica” (così, testualmente, a pag. 3, dell’atto di appello nella parte in cui sintetizza il contenuto della sentenza fatta oggetto di appello). Al contrario, con la previsione impugnata il predetto diritto dell’armatore o del comandante della nave ben possono essere compressi e posti nel nulla al ricorrere della condizione che i rifiuti a bordo superino la soglia del 50% della capienza dei locali della nave che sono ordinariamente destinati ad ospitarli e ciò in evidente violazione della norma primaria sopra riprodotta;
– il giudice di prime cure ha poi ritenuto inapplicabile la disposizione dell’art. 83 cod. nav., richiamato nei provvedimenti impugnati, attesa la limitata applicazione alle ipotesi in cui sussistano motivi di ordine pubblico, sicurezza della navigazione e per motivi di protezione dell’ambiente marino, ma non anche nei casi, come quello in questa ipotesi ricorrente, riconducibili alla materia dei rifiuti.
3. – La sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto è stata gravata dal MIT (con il Ministero dell’ambiente e la Capitaneria di Porto di Ve.) attraverso tre traiettorie contestative, con le quali si sostiene la erroneità delle conclusioni alle quali è addivenuto il primo giudice.
In via preliminare l’Avvocatura erariale solleva l’eccezione, già proposta e respinta dal Tribunale amministrativo in primo grado, circa l’incompetenza per territorio del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto a conoscere la controversia relativa alla legittimità del d.m. 79/2012, per sussistere la competenza territoriale del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma.
L’Avvocatura infatti sostiene che non è stata, dal giudice di prime cure, tenuta nella adeguata considerazione la circostanza che nella specie si verte in ordine alla legittimità di un decreto interministeriale “di carattere assolutamente generale, adottato dalle strutture ministeriali centrali”, con la conseguenza che “sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo, riguardo allo spettro di efficacia di tale decreto non limitato all’ambito locale, il Tribunale adito avrebbe dovuto statuire la competenza del TAR del Lazio”.
In altri termini, posto che gli effetti dell’applicazione del decreto ministeriale impugnato non potevano obiettivamente considerarsi confinati all’ambito territoriale del Porto di Ve., ma avevano riflessi “nei confronti di tutte le navi aventi qualsiasi bandiera, sì da determinare lo scalo delle stesse presso altre strutture portuali, onde evitare l’imposizione della soglia del 50% della capacità di stoccaggio e di cui al decreto medesimo” (così a pag. 8 dell’atto di appello).
Nel merito, ad avviso della difesa erariale il Tribunale amministrativo è stato tratto in errore dalla non corretta percezione circa gli obiettivi che il legislatore comunitario prima (con la direttiva 2000/59/CE) e quello nazionale poi (con il d.lgs. 182/2003) si sono prefissati ed in particolare, tra i più rilevanti, quello di ridurre gli scarichi in mare, in particolare quelli illeciti, dei rifiuti e dei residui del carico prodotti dalle navi che utilizzano i porti situati nel territorio dello Stato nonché quello di migliorare la disponibilità e l’utilizzo degli impianti portuali di raccolta per i suddetti rifiuti e residui.
Se, dunque, l’obbligo di conferimento dei rifiuti prodotti dalla nave all’impianto portuale di raccolta prima di lasciare il porto costituisce lo strumento principale per raggiungere tali obiettivi, la deroga stabilita dall’art. 7 d.lgs. 182/2003 non può che costituire una ipotesi eccezionale che, peraltro, non è impedita quanto al suo verificarsi dalla disposizione del decreto interministeriale impugnata in primo grado che, semmai, ha inteso solo disciplinare detta ipotesi fissando una soglia limite.
La difesa erariale, infine, ritiene erronea anche la interpretazione restrittiva operata dal giudice di primo grado con riferimento all’art. 83 cod. nav. atteso che “la materia del conferimento dei rifiuti e dei residui del carico dalle navi ha origine e ragione nell’ordinamento internazionale e, in particolare, nell’ambito della disciplina del traffico marittimo e della navigazione internazionale” sicché “il citato art. 83 del codice della navigazione sui limiti e divieti della navigazione copre anche il conferimento dei rifiuti e dei residui del carico dalle navi anche in considerazione della circostanza che la stessa Direttiva comunitaria 2000/59/CE recepita dal D.Lgs. n. 182/03 ha base giuridica per la sua adozione nell’art. 80, para 2, dei trattati in materia di trasporti” (così, testualmente, alle pagg. 20 e 21 dell’atto di appello).
Da qui la richiesta di riforma della sentenza fatta oggetto di appello e la reiezione sia del ricorso introduttivo che di quello recante motivi aggiunti proposti in primo grado.
4. – Si è costituita nel giudizio di appello la Ve. Te. Pa. S.p.a. che ha contestato analiticamente le prospettazioni sviluppate nella sede di appello dalle amministrazioni appellanti ed ha confermato la correttezza e puntualità della sentenza del giudice di primo grado.
La società appellata ha quindi chiesto la reiezione del mezzo di gravame sviluppato dalle amministrazioni appellanti.
5. – In via preliminare va scrutinata la eccezione, sollevata già in primo grado dalle odierne amministrazioni appellanti e respinta in quella sede, con la quale si contesta la competenza territoriale del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto in quanto, attesa l’ampia efficacia del provvedimento regolamentare impugnato, i cui effetti si riflettono sull’intero ambito portuale nazionale coinvolgendo armatori e comandanti di navi battenti bandiere di Stati diversi, la competenza a conoscere la controversia in primo grado spettava al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma.
Come è noto l’art. 13 c.p.a., nelle parti che sono qui di interesse, così recita:
“1. Sulle controversie riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti di pubbliche amministrazioni è inderogabilmente competente il tribunale amministrativo regionale nella cui circoscrizione territoriale esse hanno sede. Il tribunale amministrativo regionale è comunque inderogabilmente competente sulle controversie riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti di pubbliche amministrazioni i cui effetti diretti sono limitati all’ambito territoriale della regione in cui il tribunale ha sede. (…)
3. Negli altri casi è inderogabilmente competente, per gli atti statali, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma e, per gli atti dei soggetti pubblici a carattere ultra regionale, il tribunale amministrativo regionale nella cui circoscrizione ha sede il soggetto (..)”.
L’art. 2, comma 2, d.m. 79/2012, per come sostituito, dall’art. 1 D.M. 136/2012 così testualmente recita: “2. Per il Porto di Ve. la deroga di cui all’articolo 7, comma 2, del decreto legislativo del 24 giugno 2003, n. 182, è applicabile solo ove i rifiuti ed i residui del carico non superino la metà della capienza dei rispettivi spazi di stoccaggio della nave previsti dalla certificazione di bordo”.
Appare evidente che la norma abbia una efficacia diretta e circoscritta al Porto di Ve. ed alle navi che decidono di attraccare in tale porto. La circostanza poi che l’applicazione della norma possa avere effetti riflessi anche in ambiti territoriali diversi non coincide con l’efficacia principale della norma stessa, lasciando su un piano prettamente eventuale e casuale la possibilità che l’applicazione della disposizione possa interessare ambiti territoriali diversi rispetto a quello del Porto di Ve..
Nel caso in esame ricorre, dunque, l’ipotesi derogatoria del criterio principale di riparto della competenza per territorio, fondato sulla sede dell’Autorità che ha emesso l’atto impugnato e suscettibile di essere sostituito da quello inerente agli effetti diretti dell’atto solo qualora gli stessi si esplichino esclusivamente nel luogo compreso in una diversa circoscrizione di Tribunale amministrativo regionale (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 24 settembre 2012 n. 33).
Va dunque non condivisa l’eccezione preliminare sollevata (rectius, reiterata) in sede di appello dall’Avvocatura erariale.
6. – Venendo al merito del ricorso in appello va esaminata la norma di fonte primaria che, secondo le conclusioni alle quali è giunto il primo giudice, sarebbe stata illegittimamente violata nel predisporre la disposizione regolamentare impugnata nel presente giudizio.
L’art. 7 d.lgs. 182/2003, recante norme in materia di “Conferimento dei rifiuti prodotti dalla nave”, così recita:
“1. Il comandante della nave, ogniqualvolta lascia il porto di approdo, conferisce i rifiuti prodotti dalla nave all’impianto portuale di raccolta prima di lasciare il porto. Detta disposizione non si applica alle navi in servizio di linea con scali frequenti e regolari.
2. In deroga alle disposizioni di cui al comma 1, la nave può proseguire verso il successivo porto di scalo senza avere adempiuto alle disposizioni di cui allo stesso comma 1, previa autorizzazione dell’Autorità marittima, che avvalendosi dell’Autorità sanitaria marittima e del chimico del porto, ove presenti, ha accertato, sulla base delle informazioni fornite a norma dell’articolo 6 e dell’Allegato III, che la stessa nave ha una capacità di stoccaggio sufficiente per i rifiuti già prodotti e accumulati e per quelli che saranno prodotti fino al momento dell’arrivo presso il successivo porto di conferimento. L’Autorità competente, qualora ritiene che nel porto di conferimento previsto non sono disponibili impianti adeguati o nel caso in cui detto porto non è conosciuto e sussiste il rischio che i rifiuti vengano scaricati in mare, richiede alla nave di conferire i rifiuti prodotti prima di lasciare il porto.
3. Sono fatte salve le prescrizioni più rigorose in materia di conferimento adottate in base al diritto internazionale.
4. Ai rifiuti sanitari ed ai rifiuti alimentari prodotti a bordo di mezzi di trasporto che effettuano tragitti internazionali si applicano le disposizioni vigenti in materia.
5. Il conferimento dei rifiuti prodotti dalle navi è considerato immissione in libera pratica ai sensi dell’articolo 79 del regolamento (CEE) n. 2913/92 del 12 ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario. Le autorità doganali non esigono la presentazione della dichiarazione sommaria di cui all’articolo 45 del codice doganale comunitario”.
8. – Orbene il comma 1 della norma ora riprodotta indica in via generale l’obbligo costante (“ogniqualvolta lascia il porto di approdo”) a carico del comandante della nave di conferire “i rifiuti prodotti dalla nave all’impianto portuale di raccolta prima di lasciare il porto”.
Appare evidente l’intento del legislatore nazionale, direttamente ispirato da quello eurounitario (atteso che, come si è già riferito, il d.lgs. 182/2003 altro non è che la fonte di recepimento della direttiva 2000/59/CE relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi ed i residui del carico), di imporre che le navi che lascino il porto di approdo, sito nel territorio italiano, conferiscano comunque e sempre i rifiuti prodotti dalla nave all’impianto portuale di raccolta; e ciò indipendentemente dalle dimensioni della nave e dalla quantità dei rifiuti presenti a bordo, condizionata evidentemente dai giorni di viaggio che separano la nave dall’ultimo porto di approdo e dal numero dei componenti l’equipaggio e dei passeggeri.
All’evidente scopo di attenuare l’impatto anche economico della previsione che impone sempre e comunque il conferimento di qualsiasi quantità di rifiuti presso l’impianto di raccolta prima di poter ottenere l’autorizzazione a salpare da quel porto, al comma 2 dell’art. 7 è stato introdotto un procedimento di deroga alla regola generale fissata dal comma 1 del medesimo articolo.
E’ con tale disposizione, infatti, consentito che la nave in partenza possa salpare e proseguire verso il successivo porto di scalo senza avere proceduto al conferimento dei rifiuti presso l’impianto di raccolta del porto che si sta lasciando.
Per potersi verificare tale eventualità (ripetesi, derogatoria rispetto al comportamento che deve essere in via generale osservato) debbono determinarsi una serie di condizioni propedeutiche idonee a materializzarsi e ciò all’esito di un percorso procedimentale che si conclude(rà, eventualmente) con il rilascio del titolo abilitativo (permesso) a salpare rilasciato dall’Autorità marittima. Quest’ultima, per poter esprimere il proprio assenso a consentire che la nave lasci il porto senza avere conferito i rifiuti presenti a bordo, si avvale della collaborazione, ciascuna per l’ambito di propria competenza, dell’Autorità sanitaria marittima e del chimico del porto(ove siano presenti tali figure di riferimento nel porto in questione) e con detti organi deve avere accertato (sulla base delle informazioni fornite a norma dell’articolo 6 e dell’Allegato III):
– che la nave abbia una capacità di stoccaggio sufficiente per i rifiuti già prodotti e accumulati e per quelli che saranno prodotti fino al momento dell’arrivo presso il successivo porto di conferimento;
– che nel porto di conferimento previsto (vale a dire quello successivo ove è diretta la nave) siano disponibili impianti adeguati.
Evidentemente è attribuito all’Autorità marittima il compito ed il potere (di tipo discrezionale tecnico) di autorizzare la nave a salpare solo nel caso in cui siano state verificate come sussistenti le condizioni sopra descritte.
Tanto è vero che, nel caso in cui tali condizioni non si realizzino (o non siano appurate), come negli ulteriori casi previsti espressamente dalla norma in cui il porto successivo “non è conosciuto e sussiste il rischio che i rifiuti vengano scaricati in mare”, l’Autorità marittima conserva il potere di richiedere (e quindi di imporre) al comandante (ovvero all’armatore) della “nave di conferire i rifiuti prodotti prima di lasciare il porto”.
La fonte primaria non contiene ulteriori impedimenti alla possibilità che la nave lasci il porto senza avere conferito i rifiuti presenti a bordo.
Le uniche deroghe (o limiti) alla previsione a propria volta derogatoria contenuta nell’art. 7, comma 2, è costituita dall’ipotesi di cui al successivo comma 3, in virtù del quale “Sono fatte salve le prescrizioni più rigorose in materia di conferimento adottate in base al diritto internazionale”, oltre alla ulteriore specifica previsione (nel comma 4), riferita ai rifiuti sanitari ed ai rifiuti alimentari prodotti a bordo di mezzi di trasporto che effettuano tragitti internazionali, ai quali continuano ad applicarsi “le disposizioni vigenti in materia”.
9. – La disposizione regolamentare oggetto di impugnazione in primo grado così recita: “Per il Porto di Ve. la deroga di cui all’articolo 7, comma 2, del decreto legislativo del 24 giugno 2003, n. 182, è applicabile solo ove i rifiuti ed i residui del carico non superino la metà della capienza dei rispettivi spazi di stoccaggio della nave previsti dalla certificazione di bordo”.
La norma dunque ha una portata decisamente restrittiva per le navi che siano approdate nel Porto di Ve. e che intendano lasciarlo trovandosi nelle condizioni derogatorie di cui all’art. 7, comma 2, d.lgs. 183/2003 e che dunque preferiscano non conferire subito, presso l’impianto del Porto di Ve., i rifiuti presenti a bordo, preferendo eventualmente operare un unico cumulativo conferimento presso un diverso porto che verrà raggiunto nel percorso successivo, con evidenti risparmi economici.
Indubbiamente la norma del decreto interministeriale, con efficacia nel solo Porto di Ve., sconvolge la previsione della fonte primaria senza che quest’ultima abbia previsto tale possibilità e senza che la disposizione del decreto interministeriale sia accompagnata da alcuna evidenziazione delle ragioni che, conformemente allo spirito della fonte normativa primaria ed in aderenza ad essa, militino per l’introduzione di un meccanismo volto a favorire il costante conferimento dei rifiuti presso l’impianto del Porto di Ve. da parte di ogni nave che abbia approdato in tale porto.
Peraltro né nella disposizione in questione né nelle premesse del decreto vi è traccia della necessaria valutazione operata nel corso dell’istruttoria che ha preceduto l’adozione del decreto circa l’impatto della stessa, in termini economici, sugli armatori delle navi che approdano nel Porto di Ve..
Tali elementi di incertezza e discrasie sono stati sottolineati nella sentenza qui appellata rispetto alla quale il Collegio non ritiene che sussistano i profili di erroneità evidenziati dalla difesa erariale.
10. – Neppure può condividersi il restante motivo di appello con il quale l’Avvocatura dello Stato ritiene errata la conclusione alla quale è giunto il giudice di primo grado nell’affermare che alla materia de qua non trova applicazione l’art. 83 cod. nav..
Il citato art. 83 così recita: “il Ministro dei trasporti può limitare o vietare, per motivi di ordine pubblico, il transito e la sosta di navi mercantili nel mare territoriale, per motivi di ordine pubblico, di sicurezza della navigazione e, di concerto con il ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, per motivi di protezione dell’ambiente, determinando le zone alle quali il divieto si estende”.
La competenza del Ministro dei trasporti e della navigazione è dunque circoscritta, per effetto del suddetto articolo, alla limitazione o al divieto di transito e sosta di navi mercantili nel mare territoriale, quindi non si estende ad attribuire al Ministro anche il potere di imporre il conferimento di rifiuti presso il porto di approdo.
In secondo luogo la norma circoscrive i presupposti per l’esercizio di tale potere ancorandoli ai soli motivi di ordine pubblico e di sicurezza della navigazione, vicende dunque che non possono considerarsi ordinarie e generalizzate, mentre la previsione del decreto interministeriale imposta per il Porto di Ve. ha una evidente portata ed efficacia ordinaria e quindi non coincidente con l’ambito di attribuzione dei poteri al Ministro che discendono dall’art. 83 cod. nav..
11. – Deriva da quanto sopra che l’appello deve essere respinto con conseguente conferma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, Sez. I, 6 novembre 2012 n. 1346 e dell’accoglimento del ricorso introduttivo di primo grado (n. R.g. 735/2012) e dei proposti motivi aggiunti nonché dell’annullamento degli atti in quella sede impugnati.
Il Collegio ritiene che, stante la peculiarità e novità della questione, sussistano i presupposti, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., per come richiamato espressamente dall’art. 26, comma 1, c.p.a., per compensare integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio..
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello n. R.g. 1915/2013, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, Sez. I, 6 novembre 2012 n. 1346 e l’accoglimento del ricorso introduttivo di primo grado (n. R.g. 735/2012) e dei proposti motivi aggiunti nonché l’annullamento degli atti in quella sede impugnati.
Spese del secondo grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nelle Camere di consiglio dell’8 novembre 2018, del 28 marzo 2019 e del 13 giugno 2019 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Francesco Mele – Consigliere
Stefano Toschei – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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