Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 29 agosto 2019, n. 5961.
La massima estrapolata:
L’installazione di pannelli in vetro atti a chiudere integralmente un porticato che si presenti aperto su tre lati, determina, senz’altro, la realizzazione di un nuovo locale autonomamente utilizzabile, con conseguente incremento della preesistente volumetria.
Sentenza 29 agosto 2019, n. 5961
Data udienza 23 luglio 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3771 del 2013, proposto dalla signora Ol. Io., rappresentata e difesa dagli avvocati Tommaso Maglione e Roberto Landolfi, con domicilio eletto presso lo studio Liccardo, Landolfi & associati in Roma, via (…);
contro
il Comune di Napoli, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Da. e Fa. Ma. Fe., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gi. Ma. Gr. in Roma, corso (…), nonché dagli avvocati An. An. e An. Cu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gi. Ma. Gr. in Roma, corso (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Quarta n. 440/2013, resa tra le parti, concernente ingiunzione di demolizione di opere abusive
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del giorno 23 luglio 2019 il Consigliere Antonella Manzione e uditi per le parti l’avvocato Ro. La. e l’avvocato Gi. Pe., per delega dell’avvocato An. Cu.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La signora Iollo ha appellato la sentenza del T.A.R. per la Campania n. 440 del 23 gennaio 2013 con la quale è stato respinto il ricorso per l’annullamento della determina n. 474 del 7 aprile 1997, avente ad oggetto l’ingiunzione a demolire la tamponatura di un “loggiato” pertinenziale a servizio del proprio appartamento ubicato in Napoli, via (omissis), in quanto realizzata senza titolo.
Nello specifico, il giudice di prime cure, dopo aver affermato la necessità per la tipologia di intervento effettuato del permesso di costruire, ha ritenuto inapplicabile l’invocata sanzione pecuniaria in alternativa alla demolizione venendo all’evidenza un intervento realizzato nella mancanza di qualsivoglia titolo abilitante all’edificazione, non in difformità dallo stesso. Nessun rilievo ha attribuito alla compresenza della firma dell’assessore comunale, essendo la stessa “assorbita” dalla corretta apposizione anche di quella del dirigente.
Con l’odierno appello, l’interessata, ritenendo erronea ed eccessiva la qualificazione giuridica dell’abuso effettuata dal Comune ed avallata dal Tribunale, riproponeva sostanzialmente le originarie doglianze concernenti la qualificazione dell’intervento e il conseguente regime sanzionatorio applicabile. In relazione all’asserita violazione dell’art. 34 del d. P.R. n. 380/2001, invocava l’applicabilità del comma 2 ter, relativo alla disciplina dei cosiddetti abusi minori, ovvero le violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che, se non eccedono per singola unità immobiliare una certa percentuale delle misure progettuali (originariamente, il 2 %), consentono di non qualificare l’intervento in parziale difformità dal titolo.
2. Si è costituito in giudizio il Comune di Napoli, insistendo per la reiezione dell’appello e la conferma della sentenza di primo grado. In data 21 giugno 2019, in vista dell’odierna udienza, ha depositato memoria eccependo l’inammissibilità dell’asserita violazione dell’art. 34, comma 2 ter, del d.P.R. n. 380/2001, sia in quanto norma sopravvenuta ai fatti di causa, essendo il comma in questione stato introdotto dall’art. 5, comma 2, lett. a) del d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito dalla l. 12 luglio 2011, n. 106, sia in quanto prospettata per la prima volta in appello, in violazione del divieto dei nova.
3. Alla pubblica udienza del 23 luglio 2019, la causa è passata in decisione.
DIRITTO
4. Il Collegio ritiene il ricorso infondato.
5. Elemento essenziale dell’odierna controversia è esclusivamente il paradigma definitorio cui ricondurre la realizzazione di una “veranda”, con conseguente ampliamento di superficie dell’unità immobiliare cui accede. La questione, avuto riguardo peraltro a fattispecie analoghe di tamponatura di manufatti preesistenti, è già stata oggetto di valutazione da parte di questo Consiglio di Stato, alle cui conclusioni il Collegio intende adeguarsi. L’installazione di pannelli in vetro “atti a chiudere integralmente un porticato che si presenti aperto su tre lati, determina, senz’altro, la realizzazione di un nuovo locale autonomamente utilizzabile, con conseguente incremento della preesistente volumetria” (v. Cons. Stato, Sez. V, 5 maggio 2016, n. 1822). L’intervento, cioè, va riguardato dall’ottica del risultato finale, ovvero il rilevato aumento di superficie e di volumetria, sia che ciò consegua alla chiusura su tutti i lati, sia che ne implichi anche la copertura, pure con superfici vetrate o con elementi trasparenti e impermeabili, parzialmente o totalmente apribili.
6. Si è altresì di recente chiarito, avuto riguardo ai suggerimenti terminologici rivenienti dal Regolamento edilizio-tipo approvato in sede di Intesa Stato-Regioni, in attuazione dell’art. 4, comma 1sexies del d. P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e pubblicato sulla G.U. n. 268 del 16 novembre 2016, proprio allo scopo di omogeneizzarne gli ambiti definitori, che le diversificate denominazioni degli elementi architettonici preesistenti (“balcone” o “terrazza”, da un lato, e “loggia” o “loggiato”, dall’altro) seppur innegabilmente utile ad inquadrare descrittivamente la tipologia dell’intervento realizzato, non ne implica anche una diversificazione di regime giuridico, a parità di risultato finale (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 28 giugno 2019, n. 4449).
7. Nel caso di specie, peraltro, quale che fosse l’asserito regime di assentibilità dell’opera, la ricorrente non ha avanzato alcuna istanza, né originaria, né in sanatoria, in merito. Correttamente pertanto il Tribunale ha escluso l’invocata applicabilità della disposizione di cui all’art. 12 della l. n. 47 del 1985, trasfuso nell’art. 34 del d.P.R. n. 380/2001, il cui presupposto di operatività è la parziale difformità da un titolo, per contro qui inesistente.
Quanto detto vale a maggior ragione per l’invocato comma 2 ter del richiamato art. 34: anche a voler prescindere dall’oggettiva inammissibilità, trattandosi di doglianza introdotta per la prima volta nel giudizio di appello, ovvero dalla invocata applicabilità della norma direttamente da parte del Giudice, che dovrebbe pertanto sostituirsi al riguardo all’Amministrazione competente, trattasi comunque di disposizione che presuppone l’avvenuto ottenimento di un titolo edilizio.
8. In conclusione, l’appello va respinto e conseguentemente confermata la sentenza del T.A.R. per la Campania n. 440/2013 di reiezione del ricorso di primo grado.
8. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo, in favore del Comune appellato
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza del T.A.R. per la Campania n. 440/2013.
Condanna l’appellante alla rifusione, in favore del Comune appellato, delle spese del grado di giudizio che liquida in euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00), oltre agli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 luglio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Raffaello Sestini – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Leave a Reply