Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 16 aprile 2019, n. 10583.
La massima estrapolata:
Non può avere incidenza lesiva del decoro architettonico di un edificio un’opera modificativa compiuta da un condomino, quando sussista degrado di detto decoro a causa di preesistenti interventi modificativi di cui non sia stato preteso il ripristino.
Sentenza 16 aprile 2019, n. 10583
Data udienza 8 novembre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere
Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso n. 29630 – 2014 R.G. proposto da:
(OMISSIS), – c.f. (OMISSIS) – (condomino del condominio ex “(OMISSIS)”, (OMISSIS)), rappresentato e difeso in virtu’ di procura speciale in calce al ricorso dall’avvocato (OMISSIS), dall’avvocato (OMISSIS) e dall’avvocato (OMISSIS); elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS).
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliato, con indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata, in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) che lo rappresenta e difende in virtu’ di procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza della corte d’appello di Napoli n. 3735 dei 28.6/25.10.2013;
udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica dell’8 novembre 2018 dal consigliere Dott. Luigi Abete;
udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale Dott. TRONCONE Fulvio, che ha concluso per il rigetto del primo motivo e per la declaratoria di inammissibilita’, in subordine per il rigetto, del secondo motivo, udito l’avvocato (OMISSIS) per il ricorrente.
FATTI DI CAUSA
Con atto notificato in data 5.6.2006 il condominio dell’ex “(OMISSIS)” di (OMISSIS), citava a comparire dinanzi al tribunale di Napoli, sezione distaccata di Capri, il condomino (OMISSIS).
Premetteva che il convenuto aveva arbitrariamente aperto nel marzo del 2006 una finestra nel muro condominiale, sul lato ovest del fabbricato.
Indi esponeva che l’apertura costituiva uso indebito della cosa comune e comprometteva la statica e l’estetica del fabbricato, di notevole prestigio e valore storico; altresi’ che l’apertura violava le norme in materia di distanze tra costruzioni, tra costruzioni e vedute e tra vedute.
Chiedeva che il tribunale condannasse il convenuto al ripristino dello status quo ante ed al risarcimento dei danni.
(OMISSIS) si costituiva.
Instava per il rigetto dell’avversa domanda.
All’esito dell’istruzione probatoria, con sentenza n. 72/2009 l’adito tribunale condannava il convenuto al ripristino dello status quo ante ed alle spese di lite. (OMISSIS) proponeva appello.
Chiedeva “dichiarare la legittimita’ della finestra (…), ovvero, in via gradata, limitare l’ordine di abbattimento (…) alle sole parti accessorie della finestra” (cosi’ ricorso, pag. 3).
Resisteva il condominio; esperiva appello incidentale in ordine al mancato riconoscimento delle spese di c.t.u..
Con sentenza n. 3735 dei 28.6/25.10.2013 la corte d’appello di Napoli accoglieva il gravame principale e, per l’effetto, rigettava la domanda esperita in prime cure dal condominio, reputava in tal guisa assorbito l’appello incidentale e compensava integralmente le spese del doppio grado e di c.t.u..
Esplicitava la corte che le doglianze azionate dal condominio attore, ritenute dal tribunale assorbite nell’accoglimento della domanda attorea correlata alla violazione del decoro architettonico, non erano “state espressamente riproposte dal Condominio in appello ex articolo 346 c.p.c. e pertanto non (potevano) essere (…) esaminate” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 5).
Esplicitava inoltre che, cosi’ come aveva evidenziato il c.t.u., la finestra oggetto di contestazione era visibile in parte dal cortile condominiale ed in toto dall’ingresso dell’appartamento frontistante posto al primo piano e quindi non era “assolutamente visibile dal resto dell’area condominiale e dalle restanti unita’ abitative costituenti la villa” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 6); che al contempo la finestra realizzata dall’appellato si apriva “nella facciata in modo del tutto analogo ad altra sottostante finestra, evidentemente anch’essa in precedenza oggetto d’intervento modificativo sul muro comune da parte di altro condomino” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 6), per la quale non risultava che fosse stata richiesta l’eliminazione.
Esplicitava dunque che, sia in considerazione dell’ubicazione della finestra sia in considerazione dell’incidenza di precedenti interventi modificativi, era da escludere che la finestra aperta da (OMISSIS) avesse “alterato il decoro architettonico del fabbricato, gia’ compromesso da preesistenti abusi tollerati dal condominio” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 7).
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS), condomino del condominio ex “(OMISSIS)”, di (OMISSIS); ne ha chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.
(OMISSIS) ha depositato controricorso; ha chiesto rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.
Il ricorrente ha depositato memoria.
Con ordinanza interlocutoria dei 5.2/6.6.2018 il presente procedimento e’ stato rimesso alla pubblica udienza della seconda sezione civile di questa Corte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1102 c.c.; ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia.
Deduce che la corte di merito non ha tenuto conto dell’elaborazione giurisprudenziale di legittimita’, in virtu’ della quale integra alterazione del decoro architettonico qualsiasi intervento, ancorche’ non deturpante ed ancorche’ limitato a singoli elementi o punti del fabbricato, che ne modifichi l’aspetto complessivo e lo renda nell’insieme disarmonico.
Deduce altresi’ che la corte distrettuale ha, contraddittoriamente, da un canto, reputato legittima l’apertura della finestra, siccome il decoro architettonico dell’edificio era gia’ stato deturpato da pregressi tollerati interventi; ha, d’altro canto, dato atto dell'”indiscutibile pregio storico ed architettonico dell’edificio, tanto da (…) compensare le spese del giudizio per tale motivo” (cosi’ ricorso, pag. 9).
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omessa motivazione su punto decisivo della controversia ex articoli 873 e 907 c.c. e ss..
Premette che con l’atto introduttivo del giudizio di prime cure si era al contempo sollecitato l’accertamento della violazione dell’articolo 1102 c.c. in dipendenza dell’uso indebito della cosa comune nonche’ l’accertamento della violazione delle norme in materia di distanze tra costruzioni, tra costruzioni e vedute e tra vedute.
Indi deduce che il condominio appellato, vittorioso in prime cure e quindi non tenuto alla proposizione di appello incidentale, ha provveduto a “richiamare pedissequamente tutte le difese contenute negli atti difensivi” (cosi’ ricorso, pag. 10); che dunque la corte territoriale ha omesso in toto qualsivoglia indagine “relativa alla fondatezza delle altre domande che pur erano state devolute al suo esame” (cosi’ ricorso, pag. 10).
Il primo motivo di ricorso e’ destituito di fondamento.
Si rappresenta previamente che il primo mezzo di impugnazione, nonostante l’enunciazione di cui alla rubrica, non involge, alla stregua dei rilievi che sostanzialmente veicola, la possibile violazione o falsa applicazione dell’articolo 1102 c.c. (rubricato “uso della cosa comune”) e si risolve, in fondo, nella censura del giudizio “di fatto” cui la corte di Napoli ha atteso circa l’alterazione del decoro architettonico dell’ex “(OMISSIS)” (“lo stesso giudice, proseguendo nel contraddittorio ragionamento, ha (…) ritenuto gia’ deturpato il decoro architettonico dell’edificio, da interventi preesistenti tollerati dagli altri comproprietari”: cosi’ ricorso, pagg. 7 – 8).
Si condivide dunque l’assunto del controricorrente, secondo cui “il motivo di impugnazione in parola rappresenta di certo una (…) censura di merito” (cosi’ controricorso, pag. 9).
Il primo motivo di ricorso pertanto si qualifica in via esclusiva in relazione alla previsione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Invero e’ il motivo di ricorso ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054).
Del resto la valutazione in ordine all’alterazione ed alla lesione del decoro architettonico spetta al giudice di merito ed e’ insindacabile in sede di legittimita’, ove non presenti vizi di motivazione (cfr. Cass. 11.5.2011, n. 10350; Cass. 7.3.1988, n. 2313).
Su tale scorta si rappresenta inoltre che l’asserito vizio motivazionale che il motivo in disamina prospetta, e’ da vagliare in rapporto alla novella formulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile alla fattispecie ratione temporis (la sentenza impugnata e’ stata depositata in data 25.10.2013), e nel segno della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.
In quest’ottica si rappresenta ulteriormente quanto segue.
Per un verso, e’ da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua della pronuncia delle sezioni unite teste’ menzionata – tra cui non e’ annoverabile il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui la corte napoletana ha ancorato il suo dictum.
In particolare, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte partenopea ha – siccome si e’ anticipato – compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.
Per altro verso, la corte d’appello ha sicuramente disaminato il fatto storico dalle parti discusso, a carattere decisivo, connotante in parte qua agitur la res litigiosa, ovvero l’attitudine della finestra aperta da (OMISSIS) nel muro condominiale, sul lato ovest della ex “(OMISSIS)”, ad alterare o meno il decoro architettonico.
Per altro verso ancora, nel vigore del nuovo testo dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non e’ piu’ configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullita’ della sentenza ai sensi del medesimo articolo 360 c.p.c., n. 4 (cfr. Cass. (ord.) 6.7.2015, n. 13928).
I rilievi che precedono, beninteso, non escludono che l’impugnato dictum si innesta a pieno titolo nel solco di un significativo filone dell’elaborazione giurisprudenziale di questa Corte (cfr. Cass. 26.2.2009, n. 4679, secondo cui, in tema di condominio, non puo’ avere incidenza lesiva del decoro architettonico di un edificio un’opera modificativa compiuta da un condomino, quando sussista degrado di detto decoro a causa di preesistenti interventi modificativi di cui non sia stato preteso il ripristino; Cass. 10.12.2014, n. 26055; Cass. 17.10.2007, n. 21835, secondo cui, nel condominio degli edifici, la lesivita’ estetica dell’opera abusivamente compiuta da uno dei condomini – che costituisca l’unico contestato profilo di illegittimita’ dell’opera stessa – non puo’ assumere rilievo in presenza di una gia’ grave evidente compromissione del decoro architettonico dovuto a precedenti interventi sull’immobile; Cass. 29.7.1989, n. 3549, secondo cui, al fine di stabilire se le opere modificatrici della cosa comune abbiano pregiudicato il decoro architettonico di un fabbricato condominiale, devono essere tenute presenti le condizioni in cui quest’ultimo si trovava prima della esecuzione delle opere stesse, con la conseguenza che una modifica non puo’ essere ritenuta pregiudizievole per il decoro architettonico se apportata ad un edificio la cui estetica era stata gia’ menomata a seguito di precedenti lavori).
Il secondo motivo di ricorso del pari non merita seguito.
Si rappresenta che il secondo mezzo di impugnazione, nonostante l’enunciazione di cui alla rubrica, veicola non gia’ una censura per omissione di motivazione, sibbene, a rigore, una censura per omissione di pronuncia (“su tutte le domande articolate da parte attorea in primo grado e devolvendo quindi il medesimo esame alla Corte di Appello (…), la Corte avrebbe dovuto portare il suo esame”: cosi’ ricorso, pag. 10).
D’altronde il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto pronunciato ex articolo 112 c.p.c., ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volonta’ di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (cfr. Cass. (ord.) 27.11.2017, n. 28308; Cass. 16.5.2012, n. 7653).
Su tale scorta si rappresenta ulteriormente che la censura di omessa pronuncia che il motivo di ricorso adduce, non puo’ considerarsi formulata in modo rituale.
Tanto specificamente alla luce dell’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte n. 17931 del 24.7.2013.
Invero le sezioni unite spiegano che, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non e’ indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilita’ della fattispecie di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’articolo 112 c.p.c., purche’ il motivo rechi univoco riferimento alla nullita’ della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorche’ sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (cfr. altresi’ Cass. 29.11.2016, n. 24247).
Ebbene e’ innegabile che il mezzo di impugnazione in esame non solo non contiene alcun riferimento alla nullita’ della decisione, ma prospetta appunto, alla luce dell’enunciazione di cui alla rubrica, l’omissione della motivazione.
Si rappresenta, sotto altro profilo, che l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimita’ ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilita’ del motivo di censura, onde il ricorrente non e’ dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilita’) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di “autosufficienza” di esso (cfr. Cass. (ord.) 29.9.2017, n. 22880; Cass. 20.9.2006, n. 20405).
E si rappresenta ancora che anche laddove vengano denunciati con il ricorso per cassazione “errores in procedendo”, in relazione ai quali la Corte di cassazione e’ anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, si prospetta preliminare ad ogni altra questione quella concernente l’ammissibilita’ del motivo in relazione ai termini in cui e’ stato esposto; con la conseguenza che, solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilita’, diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione la Corte di cassazione puo’ e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (cfr. Cass. 20.7.2012, n. 12664).
Su tale premessa ben avrebbe dovuto il ricorrente, in ossequio appunto al canone di cosiddetta “autosufficienza”, riprodurre piu’ o meno testualmente nel corpo del ricorso “il richiamo operato (…) su tutte le eccezioni sollevate in prime cure” (cosi’ ricorso, pag. 10) nella comparsa di costituzione in seconde cure con appello incidentale.
In dipendenza del rigetto del ricorso il ricorrente va condannato a rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio di legittimita’. La liquidazione segue come da dispositivo.
Si da’ atto che il ricorso e’ datato 30.11.2014. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, si da’ atto altresi’ della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’articolo 13, comma 1 bis, Decreto del Presidente della Repubblica cit..
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente, (OMISSIS), a rimborsare al controricorrente, (OMISSIS), le spese del presente giudizio di legittimita’, che si liquidano in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’articolo 13, comma 1 bis, cit..
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