Corte di Cassazione, civile, Sentenza|| n. 13164.
In tema di servitù prediali e la tutela della accessibilità in favore dei portatori di “handicap”
In tema di servitù prediali, i principi scaturenti dalla sentenza della Corte cost. n. 167 del 1999, dichiarativa dell’illegittimità costituzionale dell’art. 1052, comma 2, c.c. a tutela della accessibilità in favore dei portatori di “handicap”, pur riferendosi alla disciplina della costituzione coattiva della servitù di passaggio, vanno estesi anche al divieto di aggravamento di cui all’art. 1067, comma 2, c.c., avendo essi introdotto nell’ordinamento una relativizzazione della tutela della disabilità in astratto, che deve essere valorizzata in un’ottica interpretativa da adattare alle specifiche situazioni configurabili in concreto e che impone di addivenire ad una soluzione proporzionale degli interessi coinvolti.
Sentenza|| n. 13164. In tema di servitù prediali e la tutela della accessibilità in favore dei portatori di “handicap”
Data udienza 23 marzo 2023
Integrale
Tag/parola chiave: SERVITU’ – ESERCIZIO
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi G. – Presidente
Dott. MOCCI Mauro – Consigliere
Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere
Dott. PAPA Patrizia – Consigliere
Dott. TRAPUZZANO Cesare – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N. R.G. 11072/2018) proposto da:
(OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), e (OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), rappresentati e difesi, in virtu’ di procura speciale apposta a margine del ricorso, dagli Avv.ti (OMISSIS), e (OMISSIS), e presso quest’ultimo elettivamente domiciliati in (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in virtu’ di procura speciale a margine del controricorso, dagli Avv.ti (OMISSIS), e (OMISSIS), e (OMISSIS), ed elettivamente domiciliato presso lo Studio di quest’ultimo in (OMISSIS);
– controricorrente –
nonche’ contro
(OMISSIS), ((OMISSIS)), (OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), S.P.A. (OMISSIS) (P.IVA: (OMISSIS)), S.P.A. (OMISSIS) (P.IVA: (OMISSIS));
– terzi chiamati in causa –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 183/2018 (pubblicata il 26 gennaio 2018);
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23 marzo 2023 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
lette le conclusioni del P.G., in persona del Sostituto Procuratore Generale della Repubblica Dott. Nardecchia Giovanni Battista, con le quali ha chiesto il rigetto del primo, del secondo, del quarto, del quinto, del sesto, del settimo, dell’ottavo e del nono motivo, con l’accoglimento del terzo motivo e del sesto limitatamente alla regolamentazione delle spese processuali con i terzi chiamati in causa;
lette le memorie depositate dai difensori di entrambe le parti ai sensi dell’articolo 378 c.p.c.
RITENUTO IN FATTO
1. Con atto di citazione del maggio 1999, il sig. (OMISSIS) conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Treviso – Sezione distaccata di Conegliano, i coniugi sigg. (OMISSIS) e (OMISSIS) chiedendone la condanna, oltre al risarcimento dei danni, al ripristino dello stato dei luoghi che gli stessi avevano modificato nell’edificare una rampa di accesso al garage seminterrato della loro abitazione sita in (OMISSIS), violando le prescrizioni di pendenza massima contenute nella L. n. 122 del 1989 e nello strumento urbanistico locale, oltre che in spregio a quelle previste dalla L. n. 13 del 1989 e al Decreto Ministeriale n. 236 del 1989, ed immutandone l’altimetria e, quindi, alterando il percorso della servitu’ di passaggio – costituita dal comune dante causa delle parti – in favore del proprio lotto, retrostante quello dei convenuti rispetto alla pubblica via, rendendola di disagevole utilizzo per la fruizione pedonale.
Si costituivano in giudizio i suddetti convenuti che, oltre a contestare la domanda attorea sostenendo che il titolo costitutivo della servitu’ non aveva disciplinato le modalita’ del passaggio (limitandosi a prescriverne solo la larghezza di mt. 4) e che parte attrice non aveva mai esercitato il citato passaggio prima dello sbancamento dagli stessi effettuato, formulavano domanda di chiamata in causa dei due professionisti architetti, (OMISSIS) e (OMISSIS), che – per loro conto e di quello dell’attore – avevano curato la sistemazione delle aree di accesso ai rispettivi garages, deducendo che, ove fossero state riscontrate divergenze rispetto alle prescrizioni urbanistiche ed alla descrizione della servitu’ contenuta nei rogiti di provenienza, gli stessi ne avrebbero dovuto rispondere a titolo di manleva.
Si costituivano in giudizio, ciascuno per proprio conto, i gia’ menzionati professionisti, chiedendo il rigetto delle domande contro di essi formulate ed instando, a loro volta, per la chiamata in causa delle rispettive Compagnie assicurazioni (che coprivano i rischi relativi all’esercizio della professione), ovvero la s.p.a. (OMISSIS) e la (OMISSIS), le quali, a loro volta, si costituivano in giudizio negando la sussistenza dei presupposti per la copertura assicurativa di garanzia.
Il Tribunale adito, con sentenza n. 78/2005, accoglieva la domanda di parte attrice ed ordinava la rimessione in pristino del locus servitutis, ritenendo provato che l’innovazione prodotta dai (OMISSIS)- (OMISSIS) avesse reso meno agevole il transito (soprattutto pedonale).
2. Decidendo sul gravame avanzato dai convenuti soccombenti (OMISSIS)- (OMISSIS), la Corte di appello di Venezia, con sentenza n. 497/2009, lo rigettava, ricostruendo l’oggetto della servitu’ in termini di passo pedonale e riscontrando che la profonda immutazione del piano di campagna destinato al suo esercizio meritava una tutela ripristinatoria, negando, altresi’, che vi fosse traccia di un accordo tra i professionisti delle parti per far tollerare siffatta ampia incidenza sul relativo percorso, constatandosi che – per effetto della notevole pendenza della rampa carrabile (pari al 28%) – detta immutazione sarebbe andata ad esclusivo vantaggio del fondo servente, costituendo un aggravio per l’esercizio del diritto dell’appellato, con contestuale violazione delle norme urbanistiche dettate a tutela dei soggetti svantaggiati nell’esercizio delle funzione motoria.
Infine, la Corte territoriale negava l’invocata responsabilita’ dei due professionisti incaricati, sul presupposto che il loro operato era risultato conforme alle volonta’ dei rispettivi committenti.
3. Avverso la suddetta sentenza di appello proponevano ricorso per cassazione, riferito a dodici motivi, gli appellanti (OMISSIS)- (OMISSIS), resistito con controricorso (OMISSIS), mentre (OMISSIS), (OMISSIS), la s.p.a. (OMISSIS) (gia’ (OMISSIS)) e la (OMISSIS) non svolgevano difese.
Con sentenza n. 12963/2014, questa Corte rigettava il primo, il terzo, il quarto ed il quinto motivo mentre accoglieva, per quanto di ragione, il secondo, il sesto ed il settimo motivo, dichiarando assorbiti i restanti motivi e cassando la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte, con rinvio alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione.
Con la citata sentenza, questa Corte riteneva sussistente la denunciata carenza di motivazione della decisione impugnata in ordine al pregresso utilizzo piu’ agevole del transito pedonale (prima dello sbancamento) da parte del (OMISSIS), alla maggiore incomodita’ dell’esercizio del diritto al passaggio esclusivamente pedonale (senza dare rilievo al fatto che il traffico veicolare dall’abitazione lungo la contestata rampa non era risultato ostacolato o reso piu’ difficoltoso), nonche’ al fatto che la sentenza impugnata non aveva dato sufficiente risalto alla circostanza che i coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS) edificarono per primi e che, in mancanza di un anteriore transito pedonale da parte del (OMISSIS) per arrivare alla propria magione, tale situazione avrebbe rivestito determinante rilievo circa l’incidenza della ricordata immutazione altimetrica oltre che con riferimento alla circostanza della dedotta impraticabilita’ del transito a piedi.
Infine, nella sentenza di questa Corte, si rilevava che il giudice di appello aveva omesso di motivare adeguatamente in ordine all’accertamento di aver riscontrato esclusivamente nella deroga alla pendenza prevista un vulnus al diritto di passaggio pedonale in relazione ai soggetti che non avevano allegato situazioni di disagio motorio o fisico, incompatibili con l’inosservanza delle prescrizioni riportate nella normativa di settore, e, in ogni caso, non aveva rapportato in termini di proporzionalita’ rispetto al disagio per il fondo servente l’intervento ripristinatorio che andava a confermare, tenendo conto della comunque sussistente possibilita’ di transito carrabile.
4. Con atto di citazione in riassunzione ex articolo 392 c.p.c., i coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS) chiedevano – quindi – il rigetto della domanda di restitutio in integrum della servitu’ di passaggio formulata da (OMISSIS), sulla base della dedotta immutazione e dell’ipotizzato aggravio rispetto al precedente esercizio della servitu’, con accertamento che la costruzione della rampa in questione risultava rispettosa degli articoli 832, 1064, 1067 c.c., comma 2, e articolo 1079 c.c., oltre che delle norme legislative e regolamentari previste per tali opere.
Invocavano, di conseguenza, anche la condanna del (OMISSIS) alla rifusione delle spese processuali pure con riguardo ai rapporti processuali instauratisi con i terzi chiamati in causa, formulando, altresi’, domanda di risarcimento dei danni conseguenti all’esecuzione forzata della pronuncia di riduzione in pristino, nonche’ di restituzione delle somme pagate alle altre parti in forza delle statuizioni di condanna alle spese processuali adottate nelle sentenza di primo e secondo grado, quest’ultima poi oggetto della predetta sentenza di cassazione.
Nella costituzione di tutti i convenuti in riassunzione, ad eccezione di (OMISSIS), la Corte di appello di Venezia, dopo aver disposto c.t.u. in ordine all’accertamento della patologia (diagnosticata coma SLA) e alla verifica della gravita’ della stessa con specifico riguardo alle possibilita’ della sig.ra (OMISSIS) (moglie del (OMISSIS)) di accedere alla casa di residenza, con sentenza n. 183/2018 (pubblicata il 26 gennaio 2018), accoglieva la domanda di (OMISSIS), disponendo che la servitu’ oggetto di controversia dovesse essere attuata con pendenza lievemente a salire dal livello della via pubblica “(OMISSIS)” al fondo del citato (OMISSIS), secondo quanto previsto dalla sentenza di primo grado e nei termini poi concretamente realizzati in sede esecutiva di detta pronuncia.
In particolare, il giudice di rinvio riteneva necessario che le opere attuative della servitu’ di accesso all’abitazione del (OMISSIS) e della citata consorte – anch’ella residente nel fondo dominante ed affetta da un handicap tale da impedirle l’accesso all’abitazione in presenza della struttura e della pendenza della rampa fatta costruire dai (OMISSIS)- (OMISSIS) per accedere alle sottostanti autorimesse (e oggetto dell’originaria domanda del (OMISSIS)) – dovessero rispettare i limiti stabiliti nella normativa di settore ed assicurare, in ogni caso, la facolta’ di accesso al predetto soggetto menomato, affermando, al riguardo, che la tutela della persona affetta da disabilita’ deve ritenersi prevalente sul diritto dominicale del quale e’ titolare il proprietario del fondo servente, valendo cio’ ad assorbire le ulteriori questioni prospettate dai riassumenti in un contesto nel quale il fatto nuovo della disabilita’ non era ancora presente.
Inoltre, la Corte di rinvio non riteneva meritevoli di accoglimento le proposte di soluzione della controversia avanzate con le nuove conclusioni dei coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS), in quanto non in grado di assicurare l’accesso al predetto soggetto disabile.
Quanto alla regolamentazione delle complessive spese giudiziali, la stessa Corte veneta riteneva che sussistevano giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese processuali tra le parti principali in ordine alla causa avente ad oggetto la servitu’. Accoglieva, invece, la domanda dei (OMISSIS)- (OMISSIS) di restituzione delle somme pagate a titolo di spese processuali in forza delle sentenze di primo e secondo grado, in quanto pagamenti divenuti privi di causa a prescindere dall’esito della controversia in sede di rinvio, mentre rigettava quella di risarcimento danni cagionati dal citato (OMISSIS) per aver portato ad esecuzione la sentenza di secondo grado.
Dichiarava i terzi chiamati in causa (OMISSIS), (OMISSIS) e la (OMISSIS) tenuti a restituire ai (OMISSIS)- (OMISSIS) le somme per spese processuali dai medesimi versate in esecuzione delle precedenti sentenze di merito.
Condannava, infine, i coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS) alla rifusione, in favore di (OMISSIS), della (OMISSIS) e della Unipol Sai, delle spese processuali da essi sostenute, liquidate distintamente.
5. Avverso la menzionata sentenza del giudice di rinvio, hanno proposto ricorso per cassazione, sulla base di nove motivi, i coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS), resistito con controricorso dal solo (OMISSIS).
Tutte le altre parti intimate non hanno svolto attivita’ difensiva in questa sede.
I difensori di entrambe le parti hanno anche depositato memoria ai sensi dell’articolo 378 c.p.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo, i ricorrenti denunciano – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la nullita’ dell’impugnata sentenza di rinvio, per non aver la Corte veneta rilevato, ai sensi dell’articolo 167 c.p.c., comma 2, la nullita’ della nuova domanda per l’oggettiva incertezza della causa petendi e petitum dipesa da “tutta una serie di circostanze” che avevano impedito a controparte, gia’ ricostituitasi, di percepirne con chiarezza l’immutazione rispetto a quella originariamente rassegnata avanti al giudice dell’appello, sia per l’incomprensibile qualificazione fattane in termini di domanda nuova intesa all’ampliamento della servitu’ prediale di passo, piuttosto che alla conferma della statuizione ripristinatoria da violazione del divieto di cui all’articolo 1067 c.c., comma 2.
2. Con la seconda censura, i ricorrenti deducono – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – un ulteriore error in procedendo per l’asserita violazione del principio secondo cui il giudizio di rinvio costituisce un giudizio a carattere “chiuso”, tendente ad una nuova pronuncia (nell’ambito fissato dalla sentenza di cassazione) in sostituzione di quella annullata, nel quale le parti sono obbligate a riproporre la controversia negli stessi termini e nel medesimo stato di istruzione anteriore a quest’ultima decisione, senza possibilita’ di svolgere alcuna attivita’ probatoria o assertiva (ragion per cui non avrebbe potuto in esso essere prospettato il nuovo fatto riconducibile alla malattia della moglie del proprietario del fondo dominante, comportante una condizione di disabilita’, con la produzione dei conseguenti effetti giuridici).
3. Con il terzo mezzo, i coniugi ricorrenti lamentano – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – un ulteriore errore processuale, che si afferma consistente nell’aver – il giudice di rinvio – ritenuto che l’evocazione in giudizio ai sensi dell’articolo 392 c.p.c. anche dei due architetti ( (OMISSIS) e (OMISSIS)), da parte di essi ricorrenti, quali originari convenuti e poi riassumenti in sede di rinvio, non fosse stata supportata da alcuna domanda nei loro confronti, di tal che la loro evocazione doveva considerarsi in jure priva di “qualsivoglia ragione giustificatrice e come tale completamente priva di fondamento”, con la conseguenza che essi ricorrenti avrebbero dovuto essere condannati al pagamento non solo delle spese processuali sopportate dai due professionisti ma anche di quelle delle loro compagnie assicuratrici, con conseguente violazione delle norme regolatrici del c.d. criterio della soccombenza, in violazione anche dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
4. Con la quarta doglianza, i ricorrenti censurano – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la scelta del giudice del rinvio di determinare l’esito della controversia de qua sulla sola base della sopravvenuta malattia della moglie del proprietario del fondo dominante e del connesso aumento del bisogno di accessibilita’, esigenze dedotte per la prima volta nel giudizio di rinvio, a circa vent’anni dalla stipula della convenzione costitutiva della servitu’ (antecedente al matrimonio del (OMISSIS) con la moglie (OMISSIS), poi ammalatasi e risultata affetta da patologia invalidante, che aveva comportato il soddisfacimento di esigenze personali), cosi’ prescindendosi dal prioritario criterio indicato dall’articolo 1063 c.c. (riconducibile al vincolo determinato dalle previsioni del titolo costitutivo del diritto reale) e dagli articoli 1362 e 1363 c.c. (implicante la prevalenza dell’originaria volonta’ dei contraenti all’atto della costituzione del diritto di servitu’).
5. Con il quinto motivo, i ricorrenti denunciano – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – la violazione del combinato disposto degli articoli 1027, 1065 e 1067 c.c., nonche’ dell’articolo 1067 c.c., comma 2, per aver il giudice del rinvio – tralasciando il vincolo dipendente dalla sentenza della Corte di cassazione – di decidere la domanda attorea ripristinatoria ai sensi del citato articolo 1067 c.c., comma 2, solo dopo aver esaminato quei fatti diretti ad orientare il criterio residuale del bilanciamento tra i due fondi – dato valore decisivo e assorbente alla malattia motoria della moglie del proprietario del fondo dominante, snaturando lo schema legale della servitu’.
6. Con il sesto motivo, i ricorrenti deducono – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – la violazione degli articoli 91, 112 e 132 c.p.c., comma 2, n. 4, prospettando l’illegittimita’ dell’impugnata sentenza del giudice del rinvio nel conferire rilevanza decisiva alla malattia della moglie del (OMISSIS), con incidenza – in loro danno – delle sorti della primigenia lite ripristinatoria risalente a vent’anni addietro.
7. Con il settimo motivo, i ricorrenti denunciano – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – il vizio di motivazione della sentenza di rinvio nella parte in cui, da un lato, ha affermato la sussistenza della qualitas hominis in capo al fondo dominante, seguendo la “suggestione” ricavabile dalla pronunzia rescindente, e, dall’altro, ha ritenuto imprescindibile, quanto alla conformazione della servitu’ da adottarsi, la creazione della rampa in leggero declivio, definendola quale unico modo per assicurare il rispetto delle disposizioni normative in tema di disabilita’.
8. Con l’ottavo mezzo, i ricorrenti prospettano – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione del Decreto Ministeriale n. 236 del 1989, regolamento attuativo della L. n. 13 del 1989 (articoli 8.1.11. e 8.1.14) e dell’articolo 1065 c.c., con riferimento alla parte dell’impugnata sentenza in cui aveva, da un lato, accreditato un’interpretazione evolutiva delle servitu’ prediali con riferimento alla tutela degli interessi del disabile con il superamento, dunque, del criterio del minor mezzo di cui al citato articolo 1065 c.c., affermando, pero’, dall’altro lato, che solo l’adozione della pendenza ricavata concretamente in sede esecutiva fosse rispettosa della normativa in tema di rampe di scale.
9. Con il nono ed ultimo motivo, i ricorrenti lamentano – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – l’ingiusto rigetto delle domande ex articolo 389 c.p.c. da loro formulate in sede di rinvio per ottenere la rimessione in pristino dello stato del proprio fondo anteriormente all’esecuzione forzata della sentenza di secondo grado travolta da quella di cassazione con rinvio, ed al fine dunque di essere risarciti per i conseguenti danni subiti.
10. Rileva il collegio che il primo motivo e’ infondato e deve, pertanto, essere rigettato.
Diversamente da quanto prospettato dai ricorrenti, non si e’ venuto affatto a verificare, in sede di rinvio, un mutamento della domanda del (OMISSIS) rispetto a quella formulata con l’originario atto introduttivo del giudizio, che era stata accolta con la sentenza di primo grado e confermata, poi, in appello.
E’ opportuno rimarcare che la domanda introduttiva iniziale rinveniva il suo presupposto fattuale nella costituzione convenzionale del diritto di servitu’ di passaggio, anche pedonale (per l’accesso sulla via pubblica), avvenuta con l’atto di compravendita (in data (OMISSIS)) che il (OMISSIS) aveva concluso con la venditrice (OMISSIS) a carico (e per la sua interezza) del confinante mappale n. (OMISSIS), di proprieta’ della stessa alienante, che poi lo aveva venduto (con atto di compravendita del (OMISSIS)) ai coniugi ricorrenti (OMISSIS)- (OMISSIS), i quali, successivamente, nel corso dei lavori di ristrutturazione del loro fabbricato, e, specificamente, della realizzazione di un garage interrato, avevano costruito una rampa con pendenza “a scendere” dalla pubblica via, in un tratto del 15% e in un altro, piu’, lungo del 28%, rampa edificata sul sedime della costituita servitu’ (che, invece, fino a quel momento era stata utilizzata con pendenza “a salire” da (OMISSIS)), a fronte della legittima possibilita’, in caso di accesso pedonale, di costruzione con una pendenza massima dell’8%.
L’azione, quindi, proposta dal (OMISSIS) era quella non di costituzione coattiva di servitu’, ma di ripristino della servitu’ nella sua condizione originaria quando era stata costituita nel momento dell’acquisto da parte dello stesso (OMISSIS) a carico del mappale (gravato dalla servitu’ di passaggio) poi comprato dai coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS) e, successivamente, da questi ultimi modificata con la realizzazione della rampa con quelle pendenze non conformi alla normativa di settore ed impeditiva dell’agevole esercizio pedonale come precedentemente garantita (divenuto, poi, del tutto incompatibile con la sopravvenuta condizione di disabilita’ della moglie del (OMISSIS), con derivante applicabilita’ dei precetti di cui alla L. n. 13 del 1989 e del Decreto Ministeriale n. 2367 del 1989, su cui infra).
Quindi, appare evidente che il petitum e la causa petendi erano “ab origine”, e come tali sono rimasti immodificati, riconducibili ad un’azione mirata all’accertamento della violazione dell’articolo 1067 c.c., per effetto della prospettata illegittimita’ delle modifiche apportate dai (OMISSIS)- (OMISSIS) rispetto alla condizione originaria della servitu’ per come gia’ prevista nel titolo della comune dante causa e che consentiva l’accesso alla via pubblica.
11. Pure la seconda censura e’ priva di fondamento e va respinta.
Essa attiene alla questione all’ammissibilita’ della deduzione del fatto sopravvenuto dell’accertata disabilita’ (SLA) della moglie del (OMISSIS) (diagnostica nel (OMISSIS)) nel giudizio di rinvio, tenuto conto che il giudizio di appello era stato introdotto nel 2005, la cui sentenza fu fatta oggetto di ricorso per cassazione, accolto con annullamento con rinvio, mediante la sentenza di questa Corte n. 12963/2014, la quale aveva rilevato il mancato assolvimento dell’obbligo motivazionale dell’impugnata decisione, avendo riscontrato esclusivamente nella deroga alla pendenza prevista un “vulnus” al diritto di passaggio pedonale in relazione a soggetti che non avevano allegato situazioni di disagio motorio o in genere fisico, incompatibili con l’inosservanza delle prescrizioni riportate nella normativa di settore e, in ogni caso, non aveva rapportato, in termini di proporzionalita’ rispetto al disagio per il fondo servente, l’intervento ripristinatorio che andava a confermare, tenendo conto della – comunque sussistente – possibilita’ di transito carrabile.
La censura va disattesa perche’, alla stregua della pacifica giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 16294/2003 e, da ultimo, Cass. n. 11411/2018), deve ritenersi che il giudice di rinvio puo’ prendere in considerazione fatti nuovi incidenti sulla posizione delle parti e sulle loro pretese, senza con cio’ violare il divieto di esaminare punti non prospettati dalle parti nelle precedenti fasi, a condizione che si tratti di fatti impeditivi, modificativi o estintivi intervenuti in un momento successivo a quello della loro possibile allegazione nelle pregresse fasi processuali, evenienza, per l’appunto e per quanto prima posto in risalto, verificatasi proprio nella vicenda processuale qui in esame.
12. Il terzo ed il sesto motivo – esaminabili congiuntamente, siccome attengono a questioni tra loro connesse – sono anch’essi infondati.
In via preliminare deve essere ribadito il fondamentale principio generale secondo cui, in tema di spese processuali, il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimita’, si deve attenere al principio della soccombenza avendo riguardo all’esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato, sicche’ non deve liquidare le spese con riferimento a ciascuna fase del giudizio, ma, in relazione all’esito finale della lite, puo’ legittimamente pervenire ad un provvedimento di compensazione delle spese, totale o parziale, ovvero, addirittura, condannare la parte vittoriosa nel giudizio di cassazione – pur se, tuttavia, complessivamente soccombente – al rimborso delle stesse in favore della controparte.
In tal senso si sono pronunciate, di recente, anche le Sezioni Unite di questa Corte (cfr. la recente ordinanza n. 32906/2022, ma gia’ in precedenza, sulla stessa linea, v. Cass., sez. I, sentenza n. 20289/2015).
Orbene, per come accertato nell’impugnata sentenza di rinvio nel ripercorrere la complessiva vicenda processuale e le rispettive posizioni delle parti, ivi comprese quelle dei terzi chiamati in causa, la Corte veneta ha appurato – rilevando preventivamente che sulla questione relativa alla sussistenza o meno della responsabilita’ dei due tecnici, evocati in giudizio dagli attuali ricorrenti a titolo di (eventuale) manleva, non si era formato propriamente un giudicato – che, nel giudizio di rinvio, risultava essere stata proposta la sola domanda di restituzione delle spese processuali pagate in esecuzione della sentenza cassata (oltre a quella diretta all’ottenimento della rifusione delle spese di lite), ragion per cui la pretesa originariamente avanzata dai (OMISSIS)- (OMISSIS) nei loro confronti, per l’appunto a titolo di garanzia (nel caso di accertamento della loro responsabilita’ in fase progettuale ed esecutiva della nuova rampa che, secondo il giudice di rinvio, aveva comportata la dedotta violazione dell’articolo 1067 c.c.), era venuta ad essere privata di una ragione giustificatrice.
A questo punto si innesta la correlazione con la doglianza prospettata con il sesto motivo, attraverso la quale i ricorrenti lamentano l’asserita illegittimita’, per un verso, della compensazione integrale delle spese processuali tra le parti principali (ovvero tra i medesimi ricorrenti e il controricorrente (OMISSIS)), e, per altro verso, della loro condanna a rifondere le spese ai terzi chiamati in causa, pur in presenza del rilievo determinante – ai fine della sentenza adottata all’esito del giudizio di rinvio – della sopravvenuta circostanza della malattia degenerativa da cui era stata colpita la moglie del (OMISSIS).
Orbene, premesso che – per effetto, in tal caso, della natura prosecutoria del giudizio di rinvio, le spese complessive di tale giudizio sono state esattamente riferite all’esito complessivo della causa – va evidenziato che, correttamente, il giudizio di rinvio, in applicazione del testo dell’articolo 92 c.p.c. “ratione temporis” applicabile (ovvero in quello antecedente alle sue intervenute modifiche in relazione alla data di instaurazione del giudizio), ha ravvisato – nell’esercizio del suo potere discrezionale – la sussistenza di giusti motivi per disporre l’integrale compensazione tra le parti principali della controversia, proprio per effetto della sopravvenuta rilevanza delle circostanza relativa alla patologia che aveva successivamente interessato la consorte del (OMISSIS), avuto riguardo alla causa attinente alla servitu’. Inoltre, con riferimento alle domande dirette alla restituzione e al risarcimento dei danni conseguente alla cassazione della sentenza di appello, ha rilevato sussistente l’ipotesi della reciproca soccombenza (del (OMISSIS) rispetto alla prima e dei (OMISSIS)- (OMISSIS) in ordine alla seconda), come tale legittimante anch’essa la compensazione delle spese giudiziali. Diverso discorso va fatto, invece, con riguardo alla disciplina delle spese processuali nel rapporto tra i (OMISSIS)- (OMISSIS) e i due tecnici, quali terzi chiamati in causa, e le rispettive compagnie assicuratrici, con riferimento alla quale il giudice di rinvio, nel condannare gli attuali ricorrenti alla rifusione in loro favore delle spese finali del giudizio, ha applicato legittimamente il criterio generale della soccombenza, correlato al c.d. criterio della causalita’.
Ed infatti, per come gia’ ampiamente descritto in precedenza, erano stati i coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS) (quali convenuti in giudizio “ab initio”) a chiedere di essere autorizzati a chiamare in causa (come, poi, avevano fatto), quali terzi, gli architetti (OMISSIS) e (OMISSIS), perche’, sul presupposto che agli stessi avrebbe dovuto essere imputata la (ove accertata) illegittima realizzazione della modificazione dello stato dei luoghi con la costruzione della nuova rampa, fossero dai medesimi manlevati in caso di loro condanna. Per l’effetto, poi, i due professionisti avevano esteso il contraddittorio nei confronti delle rispettive compagnie assicuratrici, che coprivano i rischi riconducibili all’esercizio della relativa attivita’ professionale.
Senonche’, in virtu’ dell’accertato aggravio all’esercizio della servitu’ di passaggio imputabile ai soli committenti (OMISSIS)- (OMISSIS), con esclusione della responsabilita’ dei due tecnici (che si erano limitati ad eseguire le direttive degli odierni ricorrenti, nella qualita’, per l’appunto, di committenti) e, quindi, delle condizioni per l’operativita’ dell’invocata garanzia, e’ evidente che – come legittimamente statuito dalla Corte di rinvio – l’onere delle spese (e, con effetto “a cascata”, anche in favore delle due compagnie assicuratrici), in dipendenza dell’operativita’ del suddetto principio di causalita’, non avrebbe potuto che gravare sugli stessi convenuti “chiamanti in causa”, risultati, anche all’esito del giudizio di rinvio, definitivamente soccombenti, in tal senso operando, contestualmente, nei rapporti in discorso, anche il principio generale di cui all’articolo 91 c.p.c. (cfr. Cass. n. 10070/2017 e Cass. n. 23948/2019).
13. Il quarto ed il quinto motivo – in quanto palesemente connessi – vanno anch’essi esaminati congiuntamente e si ritengono infondati per le ragioni di seguito sviluppate.
Innanzitutto, l’argomentazione addotta dai ricorrenti secondo cui il contenuto della contestata servitu’ di passaggio, siccome avente fonte negoziale, avrebbe dovuto formare oggetto degli elementi di indagine ermeneutica sulla scorta dei criteri interpretativi stabiliti dagli articoli 1362 c.c. e ss. (dovendo, percio’, il giudice di rinvio ricorrere, solo in via residuale, alla valorizzazione dell’accertata e sopravvenuta patologia degenerativa che aveva colpito la moglie del (OMISSIS)), non coglie nel segno.
E’ pur vero che il contenuto e le modalita’ di esercizio di un diritto di servitu’ vanno ricavati, in via primaria, dal titolo costitutivo, ma e’ altrettanto vero che tali elementi non sono insuscettibili a qualsiasi variazione che dovesse sopravvenire ed in concreto incidente sui modi di esercizio della servitu’ stessa, quando la stessa abbia subito, nella sua oggettivita’, delle modifiche strutturali e funzionali tali da comportare una rilevante alterazione della servitu’ nella sua conformazione originariamente prevista nel titolo ed idonee, percio’, a determinare, eventualmente, una violazione dell’articolo 1067 c.c., tenendo conto anche della prevalenza della tutela dei soggetti affetti da disabilita’ nell’esercizio della servitu’ stessa, in base alla normativa speciale e cogente di riferimento.
E questo e’ proprio cio’ che e’ venuto a verificarsi nella presente fattispecie.
Chiarito questo preliminare aspetto, la questione essenziale che le due censure (e, in particolare, la quinta) pongono attiene all’estensione dei principi scaturenti dalla sentenza della Corte costituzionale n. 167/1999, dichiarativa dell’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 1052 c.c., comma 2, a tutela dell’accessibilita’ in favore dei portatori di handicap, norma che si riferisce propriamente alla disciplina della costituzione coattiva di servitu’ di passaggio, nel mentre – nel caso di specie – la domanda introduttiva iniziale rinveniva il suo presupposto fattuale nella costituzione convenzionale del diritto di servitu’ di passaggio, anche pedonale (per l’accesso sulla via pubblica), avvenuta con l’atto di compravendita che il (OMISSIS) aveva concluso con la venditrice (OMISSIS) a carico (e per la sua interezza) del confinante mappale n. (OMISSIS), di proprieta’ della stessa alienante, che poi lo aveva venduto agli attuali coniugi ricorrenti (OMISSIS)- (OMISSIS), i quali, successivamente, nel corso dei lavori di ristrutturazione del loro fabbricato, e, specificamente, della realizzazione di un garage interrato, avevano costruito una rampa con pendenza “a scendere” dalla pubblica via in un tratto del 15% e in un altro, piu’ lungo, del 28%, che era stata edificata sul sedime della costituita servitu’ (che, invece, fino a quel momento era stata utilizzata con pendenza “a salire” da (OMISSIS)), a fronte della legittima possibilita’, in caso di accesso pedonale, di costruire con una pendenza massima dell’8%.
L’azione proposta dal (OMISSIS) era finalizzata all’ottenimento del ripristino della servitu’ nella sua condizione originaria di costituzione al momento dell’acquisto da parte dello stesso (OMISSIS) a carico del mappale successivamente comprato dai coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS), poi modificata con la realizzazione della rampa con pendenze non conformi alla normativa di settore ed impeditiva dell’agevole esercizio pedonale come precedentemente garantito, divenuto poi del tutto incompatibile con la sopravvenuta condizione di disabilita’ della moglie del (OMISSIS).
Orbene, ad avviso del collegio, deve ritenersi che, sia per effetto della portata della precedente sentenza n. 12963/2014 di questa Corte di cassazione dell’antecedente sentenza di appello, che della “ratio” della tutela riconducibile alla citata decisione della Corte costituzionale, ancorche’ riferita all’articolo 1052 c.c., comma 2, (che nel relativo giudizio “a quo” veniva propriamente in rilievo), gli stessi principi riguardanti questa disciplina – proprio in una chiave di lettura costituzionalmente orientata – vanno estesi anche alla fattispecie dedotta in questo giudizio, che e’ riferibile all’applicabilita’ del divieto di aggravamento della servitu’, come previsto dall’articolo 1067 c.c., comma 2, con cio’ volendosi significare che proprio la citata pronuncia del Giudice delle leggi ha, nella sostanza, introdotto nell’ordinamento – come opportunamente evidenziato dal P.G. nelle sue conclusioni – una sorta di “relativizzazione” della tutela della disabilita’ in astratto, da valorizzare, cioe’, in un’ottica interpretativa da adattare alle specifiche situazioni che si possono venire in concreto a configurare e che impongono di addivenire ad una soluzione proporzionale – oltre che equilibrata rispetto – agli interessi coinvolti.
Del resto, da un punto di vista generale, la piu’ recente giurisprudenza di questa Corte (v., ad es., Cass. n. 3858/2016 e Cass. n. 7938/2017) ha affermato che, in tema di eliminazione delle barriere architettoniche, la L. n. 13 del 1989 costituisce espressione di un principio di solidarieta’ sociale e persegue finalita’ di carattere pubblicistico volte a favorire, nell’interesse generale, l’accessibilita’ agli edifici.
Cosi’, e’ stato anche chiarito (cfr. Cass. n. 14104/2012 e Cass. n. 8817/2018) che, dopo la menzionata pronuncia della Corte costituzionale n. 167 del 1999, deve intendersi sopravvenuto un mutamento di prospettiva secondo il quale l’istituto della servitu’ di passaggio non e’ piu’ limitato ad una visuale dominicale e produttivistica, ma e’ proiettato in una dimensione dei valori della persona, protetti soprattutto dagli articolo 2 e 3 Cost., che permea di se’ anche lo statuto dei beni ed i rapporti patrimoniali in generale.
Da qui consegue che la relativa tutela del titolare del fondo servente deve essere garantita, non soltanto in presenza di esigenze dell’agricoltura e dell’industria, ma anche quando rimanga (v. Cass. n. 29422/2021) accertata l’inaccessibilita’ o l’estrema gravosita’ – se non impossibilita’, in concreto – dell’accesso da parte di qualsiasi portatore di disabilita’ (o di persona con ridotta capacita’ motoria) indentificantesi con un soggetto convivente con il titolare del fondo servente, essendo irrilevante che la disabilita’ interessi direttamente proprio quest’ultimo.
Del resto, qualora il proprietario di un fondo gravato da una servitu’ di passaggio proceda ad opere di ristrutturazione incidenti sull’esercizio della servitu’, il giudice puo’ ritenere giustificata la trasformazione previa valutazione della compatibilita’ del sopravvenuto intervento modificativo con il libero e comodo ingresso che la normativa, in materia di servitu’, cosi’ come “rivisitata” a seguito dei principi di ispirazione generale contenuti nella citata sentenza della Corte costituzionale n. 167/1999, vuole che sia garantito al titolare del diritto di passaggio, in riferimento al divieto imposto al proprietario del fondo servente di diminuire l’esercizio della servitu’ o di renderlo piu’ incomodo (articolo 1067 c.c., comma 2).
La suddetta “accessibilita’” deve, quindi, essere inquadrata – nel sistema generale delle servitu’, come ora impregnata dalla portata della menzionata sentenza della Corte costituzione – nell’ottica di una qualita’ essenziale che tutti gli edifici privati destinati ad uso abitativo devono necessariamente possedere, qualita’ che diventa imprescindibile qualora prevalgano le esigenze normativamente garantite (dalla L. n. 13 del 1989 ed anche da quella quadro n. 104 del 1992, per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone disabili) per la “vivibilita’”, quanto piu’ agevolata possibile, dei soggetti affetti da disabilita’ invalidante, che devono indispensabilmente usufruire dell’esercizio della servitu’ pedonale.
Di conseguenza, impedire al (OMISSIS) il diritto di accessibilita’ alla propria abitazione e la conseguente tutela – in presenza della (sopravvenuta) grave patologia degenerativa da cui e’ risultata affetta la moglie – risulterebbe gravemente lesivo dei diritti fondamentali della persona e, quindi, in contrasto con i suddetti principi generali e fondamentali di cui agli articoli 2 e 3 Cost., comma 2, che consentono di operare una “lettura” costituzionalmente orientata della previsione contenuta nell’articolo 1067 c.c., comma 2.
Cio’ evidenziato, dalla vicenda processuale che ci occupa e’ emerso univocamente che il (OMISSIS) e’ titolare di una servitu’ di passaggio – anche pedonale – sul fondo dei coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS), il cui esercizio, a seguito dell’esecuzione della contestata rampa, non solo e’ stato reso oggettivamente piu’ incomodo, ma, anzi, e’ stato aggravato al punto tale da non rendere accessibile la sua abitazione a persone con disabilita’, come la moglie risultata affetta da SLA.
Una diversa interpretazione significherebbe snaturare la stessa servitu’ di passaggio e il diritto dominicale dei proprietari del fondo servente, donde la legittimita’ della impugnata sentenza della Corte di appello adottata in sede di rinvio, con cui e’ stato previsto che la dedotta servitu’ di passaggio andava realizzata nei termini risultanti dall’esecuzione della sentenza di primo grado del Tribunale di Treviso del 2005, la quale stabiliva che le stessa dovesse essere strutturata “con pendenza lievemente a salire dal livello di via Lubin al fondo dominante” (e, quindi, sostanzialmente, con il rispristino della sua condizione antecedente rispetto all’edificazione della nuova rampa da parte dei coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS)).
14. Il settimo motivo si profila inammissibile perche’ – sotto la prospettazione di un’asserita adozione, con l’impugnata sentenza, di una motivazione irriducibilmente inconciliabile tra le parti della pronuncia tra loro totalmente contrastanti, nel rigetto della domanda riconvenzionale di essi ricorrenti diretta al riconoscimento della legittimita’ di una rampa con un proposto angolo della pendenza dell’8%, da considerarsi conforme alla normativa di settore – attinge, in effetti, la valutazione di merito adeguatamente compiuta dalla Corte di rinvio che, sulla base degli accertamenti tecnici eseguiti e tenendo conto della sopravvenuta necessita’ della tutela della condizione soggettiva riconducibile alla patologia invalidante da cui e’ risultata affetta la consorte del (OMISSIS), ha rilevato come la soluzione prospettata dai (OMISSIS)- (OMISSIS) non fosse in grado di assicurare al citato coniuge un’accessibilita’, attraverso la servitu’ pedonale, comoda e propriamente compatibile con la relativa condizione fisica (venendo, tra l’altro, a realizzarsi rampe a salire verso il fondo dominante con pendenza del 16%).
Trattasi, dunque, di una valutazione di merito compiutamente e logicamente svolta con l’impugnata sentenza, che, percio’, non e’ sindacabile nella presente sede di legittimita’.
15. L’ottava censura e’ – nella sostanza – reiterativa della precedente, ma nella diversa prospettazione della violazione del Decreto Ministeriale n. 236 del 1989 e dell’articolo 1065 c.c.
Essa e’ – sulla scorta del complesso impianto argomentativo che precede – infondata, dal momento che gia’ nella sentenza di questa Corte n. 12963/2014 e in quella, poi, emanata in sede di rinvio, e’ rimasta accertata, nel caso in questione, la sussistenza della imprescindibile “qualitas hominis”, sussunta, percio’, legittimamente, quale criterio guida per l’accertamento del diritto reclamato dal (OMISSIS), precisandosi, ancora una volta, che la domanda di quest’ultimo non era diretta all’ottenimento di un ampliamento della servitu’, bensi’ al ripristino dell’originario stato dei luoghi che consentiva il comodo accesso (senza alcun apprezzabile aggravio), diventato vieppiu’ necessitato dalla sopravvenuta disabilita’ invalidante della consorte, all’abitazione dello stesso controricorrente.
16. Il nono ed ultimo motivo e’ anch’esso destituito di fondamento, dal momento che il giudice di rinvio ha correttamente rilevato che l’esecuzione della sentenza di appello era intervenuta dopo il rigetto dell’istanza di sospensione formulata ai sensi dell’articolo 373 c.p.c., a seguito di un’asserita transazione stipulata tra le parti, e che la situazione fattuale risultante e’ emersa come corrispondente a quella ritenuta conforme a diritto, ragion per cui nessun profilo di illiceita’ puo’ ravvisarsi nella denunciata condotta del (OMISSIS).
17. In definitiva, alla stregua delle complessive argomentazioni svolte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate nei sensi di cui in dispositivo.
Infine, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte degli stessi ricorrenti, sempre con vincolo solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e c.p.a. nella misura e sulle voci come per legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, in solido, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Le sentenze sono di pubblico dominio.
La diffusione dei provvedimenti giurisdizionali “costituisce fonte preziosa per lo studio e l’accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell’esercizio del potere giurisdizionale”.
Benchè le linee guida in materia di trattamento di dati personali nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali per finalità di informazione giuridica non richiedano espressamente l’anonimizzazione sistematica di tutti i provvedimenti, e solo quando espressamente le sentenze lo prevedono, si possono segnalare anomalie, richiedere oscuramenti e rimozioni, suggerire nuove funzionalità tramite l’indirizzo e-mail info@studiodisa.it, e, si provvederà immediatamente alla rimozione dei dati sensibili se per mero errore non sono stati automaticamente oscurati.
Il presente blog non è, non vuole essere, né potrà mai essere un’alternativa alle soluzioni professionali presenti sul mercato. Essendo aperta alla contribuzione di tutti, non si può garantire l’esattezza dei dati ottenuti che l’utente è sempre tenuto a verificare.
Leave a Reply