Corte di Cassazione, civile, Sentenza|27 aprile 2022| n. 13143.
In caso di capitali conferiti a società fiduciarie di cui alla l. n. 1966 del 1939, lo strumento giuridico utilizzato per l’adempimento è quello del mandato fiduciario senza rappresentanza finalizzato alla mera amministrazione dei capitali medesimi, salva rimanendo la proprietà effettiva di questi in capo ai mandanti; conseguentemente la società fiduciaria che abbia mal gestito il capitale conferito, e che non sia quindi in grado di riversarlo ai mandanti perché divenuta insolvente, risponde sempre ed essenzialmente del danno correlato all’inadempimento del mandato e alla violazione del patto fiduciario, e la relativa obbligazione, quand’anche azionata mediante l’insinuazione concorsuale, e quand’anche parametrata all’ammontare del capitale conferito e perduto, è sempre un’obbligazione risarcitoria da inadempimento del mandato, la quale concorre ai sensi dell’art. 2055 c.c. con quella dell’organo chiamato ad esercitare l’attività di vigilanza (Ministero dello Sviluppo Economico).
Sentenza|27 aprile 2022| n. 13143. In caso di capitali conferiti a società fiduciarie di cui alla l. n. 1966 del 1939
Data udienza 25 gennaio 2022
Integrale
Tag/parola chiave: Responsabilità civile – Società fiduciarie – Capitali conferiti – Mandato fiduciario senza rappresentanza – Conseguenze – Cattiva gestione del capitale conferito – Inadempimento del Mise – Obbligazione risarcitoria da inadempimento da mandato – Solidarietà ex art.2055 c.c.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Primo Presidente f.f.
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente di Sez.
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere
Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere
Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 23186/2019 proposto da:
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
(OMISSIS), nella qualita’ di coerede universale di (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso da se’ medesimo;
– controricorrenti –
e contro
(OMISSIS), e (OMISSIS) nella qualita’ di eredi di (OMISSIS); (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 3112/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 13/05/2019.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/01/2022 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE MATTEIS Stanislao, che ha concluso per il rigetto del primo motivo del ricorso;
uditi gli avvocati (OMISSIS), per l’Avvocatura Generale dello Stato, (OMISSIS) e (OMISSIS) in proprio e per delega dell’avvocato (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
(OMISSIS) e gli altri soggetti in epigrafe indicati convennero davanti al tribunale di Roma il Ministero dello sviluppo economico (d’ora in poi breviter Mise), e ne chiesero la condanna al risarcimento del danno rappresentato dalla perdita dei capitali da ciascuno conferiti nelle societa’ fiduciarie (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) s.p.a..
Sostennero che le due societa’ erano state amministrate contra legem da (OMISSIS), direttamente (nel primo caso) e indirettamente, tramite la moglie, (nel secondo), e che, essendo le stesse soggette a vigilanza ex Lege n. 1966 del 1939, il danno dovevasi parimenti ascrivere a responsabilita’ extracontrattuale del Ministero, che aveva omesso di correttamente esercitare la potesta’ di controllo.
Il Tribunale accolse la domanda reputando infondata l’eccezione di prescrizione quinquennale opposta dal Mise, attesa l’interruzione del termine dovuta all’insinuazione degli investitori al passivo della liquidazione coatta amministrativa (l.c.a.) di (OMISSIS) s.p.a. e la sospensione del successivo decorso fino alla chiusura della procedura concorsuale.
Condanno’ quindi il Mise al pagamento della somma pari al capitale investito da ogni attore, con rivalutazione e interessi legali calcolati sulla sorte capitale rivalutata anno per anno.
La decisione venne impugnata dal Mise, sia in ordine al profilo della prescrizione, sia in ordine all’accertamento della responsabilita’ e alla liquidazione del danno conseguente.
Quanto alla prescrizione l’appellante, in particolare, eccepi’ l’inesistenza del vincolo solidale con la (OMISSIS) in l.c.a., stante la diversita’ dei titoli spesi: quello contrattuale, rilevante per la (OMISSIS) siccome obbligata verso gli attori per il mancato adempimento dell’obbligo discendente dal mandato fiduciario di restituire loro le somme versate; quello extracontrattuale, rilevante quanto al Mise siccome ritenuto responsabile di un illecito ex articolo 2043 c.c., per la presunta omissione della vigilanza sulla societa’.
La corte d’appello di Roma, con sentenza del 13 maggio 2019, ha respinto il gravame, ritenendo che l’effetto interruttivo/sospensivo (recte, l’effetto interruttivo permanente) della prescrizione – conseguito, ai sensi dell’articolo 2943 c.c., comma 1 e articolo 2945 c.c., comma 2, alla presentazione della domanda di ammissione al passivo nella liquidazione coatta amministrativa e perdurante fino alla chiusura della procedura concorsuale – dovesse considerarsi esteso, ex articolo 1310 c.c., comma 1, anche al Mise, poiche’ solidalmente responsabile ai sensi dell’articolo 2055 c.c..
Ha in particolare richiamato l’insegnamento di questa Corte per il quale il sorgere della responsabilita’ solidale dei danneggianti ex articolo 2055, richiede solo che il fatto dannoso sia imputabile a piu’ persone, anche se le condotte lesive siano tra loro autonome, e pure se diversi siano i titoli di responsabilita’ di ciascuna, perche’ l’unicita’ del fatto dannoso deve essere riferita unicamente al danneggiato senza poter essere intesa come identita’ delle norme giuridiche violate.
Dopodiche’ la corte territoriale ha respinto altresi’ le censure svolte dal Mise a proposito dell’an e del quantum debeatur, condividendo, in ordine al primo profilo (che ancora unicamente rileva), l’addebito di omessa vigilanza sull’intera operazione di cessione compiuta dalla (OMISSIS) s.p.a. nei confronti della (OMISSIS) s.p.a., attese le ripercussioni relative ai contratti per la probabile replica da parte della cessionaria delle modalita’ contra legem con le quali era stato gestito il pubblico risparmio dalla cedente. Il che, secondo il giudice del merito, era avvenuto in circostanze che ben avrebbero potuto essere scoperte nell’indagine ispettiva culminata con la revoca dell’autorizzazione alla (OMISSIS) fin dall'(OMISSIS), prima cioe’ della messa in liquidazione della (OMISSIS) – le quali circostanze, emerse fin da allora come implicanti la riconduzione di tutta l’attivita’ alla stessa persona di (OMISSIS), avrebbero dovuto indurre il Mise a impedire la cessione del portafoglio, ovvero a verificare piu’ incisivamente e tempestivamente la modalita’ gestoria delle attivita’ della cessionaria.
Per completezza va detto che, in punto di quantum, la corte d’appello ha rilevato che nessuna prova era stata fornita a proposito dell’avvenuto anche parziale recupero di somme da parte degli investitori a seguito dell’insinuazione al passivo; e ancora che il danno, costituito dal mancato recupero del capitale, era da considerare immediatamente e direttamente correlabile alla mala gestio delle due societa’ non tempestivamente intercettata e sanzionata dall’organo di vigilanza, senza rilevanza, dal punto di vista causalistico, della asserita aleatorieta’ dell’investimento in se’.
Il Mise ha proposto ricorso per cassazione avverso la ripetuta sentenza, deducendo tre motivi.
Alcuni degli investitori hanno replicato con controricorsi, mentre altri (come da epigrafe) sono rimasti intimati.
Con ordinanza interlocutoria n. 18817 del 2021 la Terza sezione di questa Corte ha ordinato la rinnovazione della notifica del ricorso a uno degli intimati ( (OMISSIS)) e contestualmente, su sollecitazione fatta dall’avvocatura erariale nella memoria depositata ai sensi dell’articolo 380-bis.1 c.p.c., ha rimesso gli atti al primo presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni unite.
La rimessione, alla quale la Terza sezione ha ritenuto non esser di ostacolo l’ordine di rinnovazione alla luce del principio di ragionevole durata del processo (ordine peraltro nelle more adempiuto dall’amministrazione ricorrente), e’ stata sollecitata in considerazione del contrasto registrabile sulla questione dal Mise prospettata nel primo motivo di ricorso, il quale investe la sentenza nella parte in cui ha ritenuto estensibile l’effetto interruttivo e sospensivo della prescrizione, conseguente alla insinuazione al passivo della l.c.a. della (OMISSIS) s.p.a., al terzo (il Mise, appunto) estraneo al rapporto obbligatorio tra il creditore insinuato e il debitore sottoposto a l.c.a..
Il primo presidente ha disposto in conformita’.
Il procuratore generale ha depositato conclusioni scritte.
L’amministrazione ricorrente ha depositato una memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I. – Il ricorso per cassazione e’ affidato ai seguenti mezzi:
(i) violazione o falsa applicazione dell’articolo 2055 c.c., articolo 2943 c.c., comma 2, articolo 2945 c.c., comma 1, articolo 1310 c.c., comma 1, per avere l’impugnata sentenza ritenuto estensibile l’effetto interruttivo e sospensivo della prescrizione, conseguente alla insinuazione al passivo della l.c.a. di (OMISSIS) s.p.a., al Mise da considerare terzo rispetto al rapporto obbligatorio tra il creditore insinuato e il debitore sottoposto a l.c.a., per quanto asseritamente responsabile a titolo extracontrattuale per omessa vigilanza;
(ii) violazione e falsa applicazione dell’articolo 40 c.p., comma 2, e dell’articolo 2043 c.c., nonche’ della L. n. 2248 del 1865, articolo 4, all. E, della L. n. 1966 del 1939, articolo 2 e del Regio Decreto n. 531 del 1940, articolo 3, poiche’ non poteva ritenersi sussistente alcun obbligo del Mise di pubblicare il decreto di revoca dell’autorizzazione alla (OMISSIS) s.p.a., ne’ di svolgere altre specifiche attivita’ informative, con conseguente insussistenza dell’elemento causalistico presupposto dall’omissione sanzionata dalla corte d’appello;
(iii) ulteriore violazione dell’articolo 40 c.p. e articolo 2043 c.c., articoli 115 e 116 c.p.c., L. n. 1966 del 1939, articolo 2 e del Regio Decreto n. 531 del 1940, articolo 3, nonche’ violazione dell’articolo 132 c.p.c., per omessa motivazione su punti decisivi, stante il fatto che tutti gli strumenti a disposizione erano stati posti in essere dal Mise, mentre dalla corte territoriale non era stata offerta spiegazione in ordine al rischio da fronteggiare con una diversa e piu’ adeguata attivita’; difatti in sede ispettiva era emerso un mero disordine amministrativo-contabile della societa’, ma non anche lo stato di insolvenza; e comunque, essendo irrilevante la riconducibilita’ di entrambe le fiduciarie a (OMISSIS) (tanto piu’ che, dopo la revoca dell’autorizzazione alla (OMISSIS), era stata prevista la nomina di un commissario permanente presso la (OMISSIS)), nessuna motivazione era stata fornita dalla sentenza sul nesso esistente tra le informazioni omesse e il danno.
II. – Le argomentazioni del Mise a corredo del primo motivo, nel quale si colloca la questione che ha determinato l’assegnazione del ricorso alle Sezioni unite, sono incentrate sul concetto di solidarieta’ implicato dall’articolo 2055 c.c. e sulla irragionevolezza dell’effetto estensivo sia istantaneo che permanente predicato dalla corte d’appello, in relazione agli articoli 1310, 2943 e 2945 c.c..
La premessa e’ che ai fini specifici non rileverebbe quanto affermato dal precedente evocato dalla corte territoriale (Cass. Sez. U. n. 16503-09), perche’ la questione all’esame e’ diversa da quella scrutinata in quel precedente, relativo alla possibilita’ di estendere, o meno, a beneficio del debitore solidale estraneo al processo, il concorso di colpa del danneggiato di cui all’articolo 1227 c.c., comma 1, in ipotesi di pacifica corresponsabilita’ ex articolo 2055 c.c..
Il ricorrente di conseguenza assume che l’articolo 2055, sebbene menzionante il “fatto dannoso”, si riferisce in verita’ al fatto colposo esattamente come l’articolo 2043 c.c., poiche’ letteralmente recita che quel fatto (“dannoso”) deve essere infine “imputabile” a piu’ persone; dunque un fatto colposo, tale da legittimare la conclusione di una solidarieta’ (per concorso di “piu’ persone” nel medesimo fatto) per il caso di imputabilita’ del danno ai pretesi autori all’unico titolo extracontrattuale, anche se per condotte indipendenti.
Tale conclusione sarebbe evincibile anche dalla collocazione dell’articolo 2055 nella parte del codice civile dedicata alla materia della responsabilita’ extracontrattuale, e sarebbe altresi’ imposta dal carattere di stretta interpretazione della norma di riferimento, prevtdente un’ipotesi legale di estensione della responsabilita’ solidale al di la’ della disciplina dell’articolo 1294 c.c..
Poiche’ il presupposto della solidarieta’, in base all’articolo 1292 c.c., e’ che i diversi debitori, pur sulla base di distinte causae obligandi, siano tenuti alla medesima prestazione, sicche’ l’adempimento di uno possa liberare tutti, l’errore della corte d’appello starebbe nel non aver considerato che nessuna comunanza intercorreva tra l’obbligo delle societa’ fiduciarie di restituire a titolo contrattuale le somme loro affidate in gestione e l’obbligo, gravante sul Mise, di risarcire il danno, peraltro neppure necessariamente coincidente con l’importo delle somme affidate.
Da questo punto di vista l’avvocatura ricorrente sottolinea che la solidarieta’ e’ da escludere se le condotte realizzate da piu’ soggetti hanno leso separatamente interessi diversi del danneggiato, esattamente come accaduto nel caso concreto, in cui altra sarebbe la lesione dell’interesse negativo a non stipulare i mandati fiduciari, conseguente all’omissione imputata al Mise, altra la lesione dell’interesse positivo all’adempimento del mandato da parte delle societa’ fiduciarie.
Tutto cio’ minerebbe il fondamento dell’affermazione di solidarieta’ alla base dell’estensione dell’effetto interruttivo della prescrizione conseguente alla domanda giudiziale insita nell’insinuazione concorsuale. Ma in ogni caso, ai sensi dell’articolo 1310 c.c., comma 2, non potrebbe produrre nei confronti del Mise anche l’effetto sospensivo della prescrizione, appunto perche’ il Mise sarebbe solo un terzo condebitore solidale, il quale se non conosce l’atto interruttivo comunicato all’altro debitore, tanto meno, in quanto terzo estraneo, e’ in grado di influire sulla durata degli eventi sospensivi, ivi compresa la durata dei procedimenti giudiziari o concorsuali iniziati dal creditore con l’atto interruttivo i cui effetti si vorrebbero estendere.
Il che, in parole piu’ semplici, vuol dire che sarebbe erroneo, in rapporto agli articoli 3 e 24 Cost., l’orientamento teso a estendere al condebitore solidale anche l’effetto sospensivo “giudiziale”, poiche’ in tal modo, secondo l’avvocatura, verrebbe sottoposto all’estensione un soggetto che potrebbe perfino ignorare l’esistenza della procedura concorsuale, e che comunque non sarebbe in grado di influire sulla sua durata.
III. – In relazione a quanto costi’ affermato dall’amministrazione ricorrente, la Terza sezione ha sollecitato la rimessione della causa alle Sezioni unite nell’interrogativo se la domanda, con cui l’investitore si sia insinuato al passivo della procedura concorsuale a carico di una societa’ fiduciaria ex Lege n. 1966 del 1939, col fine di ottenere la restituzione del capitale consegnato per la relativa amministrazione, produca o meno l’effetto interruttivo della prescrizione per la durata della procedura stessa anche nei confronti dell’ente deputato alla vigilanza (articolo 1310 c.c., comma 1), contro il quale gli investitori abbiano separatamente e successivamente agito come nella specie – per ottenere il risarcimento del danno da perdita del capitale.
La Terza sezione ha ravvisato un contrasto in seno alla Corte tra due orientamenti, l’uno ampiamente maggioritario, attestato nel senso affermativo sostenuto anche dall’impugnata sentenza, l’altro ordinato invece in senso negativo, ed esplicato in una recente decisione (Cass. Sez. 3 n. 4683-20) facente leva, giustappunto, sulla diversita’ degli interessi oggetto delle autonome condotte dannose imputabili ai soggetti obbligati a vario titolo, e sul difetto di un vincolo di solidarieta’ tra codesti.
IV. – Occorre dire che, sebbene l’ordinanza ultima citata abbia motivato il proprio assunto a valle della ritenuta inammissibilita’ del ricorso per cassazione ivi scrutinato – per eccesso di esposizione (cd. assemblaggio) -, il contrasto (segnalato dalla Terza sezione) e’ da considerare esistente, perche’ la Corte di Cassazione ha sempre la facolta’ di enunciare principi di diritto ai sensi dell’articolo 363 c.p.c., anche ove reputi il ricorso inammissibile.
Il diverso principio consapevolmente rinvenibile in Cass. Sez. 3 n. 4683-20, rispetto all’orientamento individuato come dominante nella giurisprudenza della Corte, puo’ quindi essere considerato come espressione effettiva di un contrasto, ancorche’ in motivazione non sia stato menzionato l’articolo 363 citato.
Puo’ utilmente aggiungersi che, in ogni caso, sulla questione sollevata dall’avvocatura erariale si registra una qualche incrinatura anche in seno all’orientamento dominante, in motivazioni qua e la’ rinvenibili al confine col tema della concorsualita’.
Difatti l’interrogativo nel quale il contrasto e’ stato compendiato reca riferimenti tali da intercettare macro-temi ulteriori di una certa complessita’, per i riflessi che ne derivano su quello specificamente affrontato nell’ordinanza interlocutoria.
E dunque anche su codesti necessita soffermare l’attenzione mediante trattazioni in certo qual modo dedicate.
Rispetto al tema centrale relativo ai nessi tra solidarieta’ e responsabilita’ civile, che agita la fattispecie, la linea di intersezione corre, innanzi tutto, lungo il crinale dell’accertamento del passivo, che nella l.c.a. possiede una disciplina giuridica del tutto peculiare.
Essa incrocia – poi – l’oggetto delle obbligazioni specificamente discendenti dal contratto di mandato per l’amministrazione fiduciaria dei capitali, per l’eventualita’ che in questo l’organo commissariale non abbia dichiarato di subentrare; donde il contratto (come normalmente avviene in ipotesi di dichiarazione d’insolvenza di una societa’ fiduciaria) sia da considerare sciolto e il credito dei fiducianti sia stato fatto valere nel passivo in relazione all’avvenuta perdita dei capitali conferiti.
V. – Cio’ premesso, la considerazione da fare e’ che sul versante dei nessi tra principio di solidarieta’ e responsabilita’ civile questa Corte, con orientamento di gran lunga prevalente, si e’ nel tempo determinata nel senso della configurabilita’ del vincolo anche tra coobbligati tenuti a diverso titolo: l’uno a titolo di responsabilita’ contrattuale e l’altro a titolo di responsabilita’ extracontrattuale.
L’orientamento ha preso le mosse dalla tradizionale correlazione con la formula in termini complessivi sottesa agli articoli 1292 c.c. e segg., a proposito dell’obbligazione solidale, visto che l’articolo 1292, non identifica l’obbligazione solidale come obbligazione nascente da un unico atto o fatto giuridico che dia luogo a un medesimo e unico obbligo di prestazione da parte di piu’ soggetti, bensi’ come situazione nella quale si diano piu’ soggetti obbligati alla medesima prestazione, in guisa tale che l’adempimento dell’uno libera gli altri: “l’obbligazione e’ in solido quando piu’ debitori sono obbligati tutti per la medesima prestazione, in modo che ciascuno puo’ essere costretto all’adempimento per la totalita’ e l’adempimento di uno libera gli altri”.
In questa prospettiva si e’ detto piu’ volte che e’ irrilevante la unicita’ o la pluralita’ dei fatti o dei mezzi giuridici in conseguenza dei quali e’ nato l’obbligo a adempiere quella medesima prestazione, essendo invece essenziale che tutti i debitori siano obbligati, non a piu’ prestazioni identiche, ma a un’unica sostanziale prestazione (v. gia’ Cass. Sez. 1 n. 212096, Cass. Sez. 2 n. 1415-99).
Simile preambolo ha consentito di affrontare l’esegesi dell’articolo 2055 c.c., in base alla risalente e tradizionale notazione che si tratta di norma di richiamo, che vuole specificare, nell’ambito della responsabilita’ extracontrattuale, i principi gia’ codificati dagli articoli 1292 c.c. e segg..
Da qui il principio per cui (v. Cass. Sez. 3 n. 7507-01) la norma va letta in giustapposizione all’articolo 2043 c.c., che fa sorgere l’obbligo del risarcimento dalla commissione di un fatto doloso o colposo, visto che considera, ai fini della solidarieta’ nel risarcimento stesso, il solo “fatto dannoso”. Sicche’, mentre la prima norma (articolo 2043) si riferisce all’azione del soggetto che cagiona l’evento, la seconda (articolo 2055) guarda alla posizione di quello che subisce il danno, e in cui favore e’ stabilita la solidarieta’.
E da qui anche la conseguenza che l’unicita’ del fatto dannoso, richiesta dal ricordato articolo 2055, per la legittima affermazione di una responsabilita’ solidale tra gli autori dell’illecito, deve essere intesa in senso non assoluto ma relativo al danneggiato, ricorrendo, pertanto, tale forma di responsabilita’ pur se il fatto dannoso sia derivato da piu’ azioni od omissioni, dolose o colpose, costituenti fatti illeciti distinti, e anche diversi, sempreche’ le singole azioni od omissioni abbiano concorso in maniera efficiente alla produzione del danno (v. ex plurimis Cass. Sez. 1 n. 1327206, Cass. Sez. 3 n. 17397-07, Cass. Sez. 3 n. 6041-10, Cass. Sez. 3 n. 20192-14, Cass. Sez. 3 n. 18889-15).
VI. – Giova dire che codesto principio e’ stato richiamato adesivamente, in motivazione, anche e proprio dalla sentenza di queste Sezioni unite citata dalla corte d’appello di Roma (Cass. Sez. U. n. 16503-09), che quindi, contrariamente a quanto sostenuto dall’avvocatura erariale a premessa del suo ricorso, ben puo’ ascriversi al filone giurisprudenziale maggioritario, sebbene nella specificita’ della questione in quel caso scrutinata e decisa.
Anche nel detto precedente, cioe’, le Sezioni unite dissero – anzi ribadirono – che in contrapposizione all’articolo 2043 c.c., che fa sorgere l’obbligo del risarcimento dalla commissione di un fatto doloso o colposo, il successivo articolo 2055, “considera, ai fini della solidarieta’ nel risarcimento stesso, il “fatto dannoso”, sicche’, mentre la prima norma si riferisce all’azione del soggetto che cagiona l’evento, la seconda riguarda la posizione di quello che subisce il danno, ed in cui favore e’ stabilita la solidarieta’”. Di riflesso ad altre decisioni (Cass. n. 27713-05 e Cass. n. 418-96), le Sezioni unite specificarono pure che per il sorgere della responsabilita’ solidale dei danneggianti l’articolo 2055 c.c., “richiede solo che il fatto dannoso sia imputabile a piu’ persone, ancorche’ le condotte lesive siano tra loro autonome e pure se diversi siano i titoli di responsabilita’ di ciascuna di tali persone, anche nel caso in cui sia configurabili titoli di responsabilita’ contrattuale e extracontrattuale, atteso che l’unicita’ del fatto dannoso considerata dalla norma suddetta deve essere riferita unicamente al danneggiato e non va intesa come identita’ delle norme giuridiche da essi violate”.
Cio’ vale a escludere il fondamento della diversa ricostruzione operata a tal riguardo dall’avvocatura ricorrente, sviluppata piu’ compiutamente in memoria, secondo la quale si potrebbe parlare di solidarieta’ ex articolo 2055 c.c., solo allorche’ l’oggetto dell’obbligazione sia il medesimo nello specifico senso “dell’identita’ del titolo, dell’oggetto e dell’interesse”.
Cosi’ non e’ per le ragioni gia’ indicate nel precedente del 2009, e perche’ l’articolo 2055, ponendosi nell’ottica della tutela (e dell’interesse) del danneggiato, guarda solo all’unicita’ del fatto dannoso imputabile a piu’ soggetti, secondo la rilevanza della serie causale nel quale e’ inserito.
D’altronde e’ da ricordare che l’assunto, alla base dell’orientamento appena menzionato, ha trovato ampi spunti di conferma sul versante dell’efficienza causale da omissione (che sostanzialmente viene al pettine pure nella situazione di specie).
Ed e’ condivisa anche in dottrina la ricostruzione che in tema di responsabilita’ civile, qualora l’evento dannoso si ricolleghi a piu’ azioni od omissioni, vede risolto il problema del concorso delle cause nell’alveo della teoria cd. di equivalenza; e quindi in base all’articolo 41 c.p., secondo il criterio per il quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’omissione, non esclude il rapporto di causalita’ fra dette cause e l’evento, essendo quest’ultimo riconducibile a tutte; salvo che naturalmente sia stata accertata l’esclusiva efficienza causale di una di esse (v. per tutte Cass. Sez. 3 n. 18753-17).
VII. – In caso di responsabilita’ solidale non si dubita dell’applicazione dell’articolo 1310 c.c., comma 1, perche’ – come piu’ volte e’ stato sottolineato – l’effetto precipuo (comune) di ogni atto interruttivo, appositamente definito, a volte, come effetto “conservativo” (v. C. Cost. n. 8 del 1975, su cui si tornera’), consiste (per l’appunto) nella “conservazione” del diritto del creditore a ricevere la prestazione nei confronti di tutti i debitori solidali, e quindi nella cessazione di qualsiasi utilita’ del periodo di tempo gia’ decorso prima dell’atto interruttivo e nell’inizio di un periodo nuovo, senza rilevanza della conoscenza o meno dell’atto medesimo da parte dei singoli; cosa che viene rafforzata dalla considerazione della differente rilevanza degli effetti della mora, i quali per converso presuppongono la conoscenza del soggetto in relazione al quale gli effetti dell’atto abbiano a prodursi; quando, invece, gli effetti interruttivi della prescrizione, anche in ipotesi di semplice costituzione in mora, restano comunque salvi, proprio ai sensi del medesimo articolo 1310, riguardo a tutti gli altri (articolo 1308 c.c.).
VIII. – L’indirizzo sopra menzionato, come detto assolutamente maggioritario (v. Cass. Sez. 1 n. 17353-17, Cass. Sez. 3 n. 13365-18, Cass. Sez. 1 n. 27118-18, Cass. Sez. 3 n. 1070-19, Cass. Sez. 3 n. 22164-19, Cass. Sez. 3 n. 22524-19, Cass. Sez. 3 n. 7016-20), risulta corroborato da alcuni aggiuntivi rilievi sulla corresponsabilita’ da omissione degli organi di vigilanza.
Il riscontro e’ segnatamente individuabile nella giurisprudenza formatasi sulle societa’ di intermediazione finanziaria, soggette a controllo della Consob secondo la disciplina del Decreto Legislativo n. 58 del 1998 (cd. T.u.f.), quanto ai danni patiti dagli investitori per la perdita dei capitali impiegati nei prodotti finanziari.
In questi casi si e’ detto che la domanda di ammissione al passivo di tali societa’, assoggettate a procedura concorsuale, che sia finalizzata alla “restituzione” dei menzionati capitali, e’ idonea a interrompere il decorso del termine di prescrizione del diritto al risarcimento nei confronti della Consob, fondato sull’illecito extracontrattuale consistente nella mancata vigilanza sull’operato della medesima societa’ di intermediazione; e questo perche’ deve aversi riguardo non alla differente natura, restitutoria o risarcitoria, dei crediti azionati o alla diversita’ delle condotte contestate e dei soggetti coinvolti, ma all’unicita’ dell’evento pregiudizievole (Cass. Sez. 3 n. 7016-20), che, derivando da azioni od omissioni tutte causalmente convergenti alla sua produzione, comporta una responsabilita’ solidale ex articolo 2055 c.c..
Anche a cio’ segue la ritenuta applicabilita’ dell’effetto estensivo interruttivo della prescrizione di cui all’articolo 1310 c.c., comma 1.
IX. – A petto di tali affermazioni e’ da riscontrare, peraltro, anche un primo – forse marginale, ma comunque concettualmente definito – profilo di divergenza, che pur si colloca in seno al comune (citato) indirizzo interpretativo dell’articolo 2055 c.c., da considerare prevalente.
Tale profilo merita di essere affrontato espressamente, perche’ in alcuni casi e’ stato posto al confine (come all’inizio si diceva) del modo di intendere il contenuto dell’insinuazione concorsuale.
In caso di procedura concorsuale una parte della giurisprudenza, per quanto riconoscendo la validita’ del menzionato ragionamento dell’indirizzo maggioritario, assume doversi operare un distinguo a seconda dell’oggetto dell’insinuazione, che se finalizzata a ottenere semplicemente la restituzione del capitale investito andrebbe estraniata dai fondamenti della solidarieta’ rispetto al credito risarcitorio azionabile nei confronti dell’autorita’ di vigilanza (v. in particolare Cass. Sez. 3 n. 1070-19 e Cass. Sez. 3 n. 2711818).
Cosi’ Cass. Sez. 3 n. 1070-19, richiamata anche dalla sentenza della corte d’appello di Roma, nell’affermare il principio per cui la responsabilita’ solidale dei danneggianti, ex articolo 2055 c.c., “richiede solo che il fatto dannoso sia imputabile a piu’ persone, ancorche’ le condotte lesive siano fra loro autonome e pure se diversi siano i titoli di responsabilita’ di ciascuna di tali persone ed anche nel caso in cui siano configurabili titoli di responsabilita’ contrattuale ed extracontrattuale”, per la decisiva constatazione dell’unicita’ del fatto dannoso riferibile, nella considerazione della norma, al solo danneggiato, ha anche precisato (in fattispecie caratterizzata da un’insinuazione fallimentare) che altra sarebbe la soluzione dinanzi alla pretesa concorsuale solo restitutoria. E questo perche’ l’esercizio in sede di insinuazione concorsuale di un mero diritto restitutorio sarebbe incompatibile col diritto al risarcimento del danno esercitabile nei confronti dell’altro soggetto, che cosi’ non verrebbe ad assumere la qualita’ di coobbligato solidale; con il consequenziale venir meno, nei di lui confronti, dell’effetto interruttivo della prescrizione derivante dalla domanda di ammissione al passivo.
Detto altrimenti: secondo questa tesi la pretesa restitutoria, sebbene azionata con l’insinuazione dopo la dichiarazione d’insolvenza, sarebbe (o potrebbe essere) teoricamente estranea al debito risarcitorio, in quanto avente fondamento non in un danno ma nella mancanza di causa (originaria o sopravvenuta) del pagamento eseguito.
Una considerazione non dissimile, per quanto in maniera piu’ larvata, si individua anche nelle odierne difese del Mise.
X. – Occorre subito chiarire che una simile distinzione, ove si discorra sia del fallimento, sia e massimamente della l.c.a. della societa’ fiduciaria soggetta alla L. n. 1966 del 1939, non e’ conducente.
Come meglio si dira’, dinanzi alla perdita del capitale conferito in gestione a una fiduciaria, e dinanzi alla dedotta mala gestio della fiduciaria medesima (dichiarata insolvente) come base causale di quella perdita (tale e’ la fattispecie concreta, secondo postulazione), non ha alcun senso discorrere di un semplice credito restitutorio.
La perdita del capitale conferito espone la fiduciaria al risarcimento del danno da inadempimento del mandato ad amministrare, secondo quanto stabilito per il tipo di societa’ di cui alla L. n. 1966 del 1939; sicche’ oggetto della pretesa fatta valere mediante l’insinuazione concorsuale resta – in queste fattispecie – sempre e solo il danno da inadempimento, ancorche’ parametrato alla perdita del capitale conferito.
XI. – In modo frontale, rispetto all’orientamento nel complesso suscettibile di esser considerato prevalente (anche se contraddistinto dalla appena ricordata incrinatura sul versante dei nessi con l’insinuazione concorsuale in se’ considerata), si e’ contrapposta – invece – l’ordinanza n. 4683 del 2020 della medesima Terza sezione, la quale, come segnalato dall’ordinanza interlocutoria, in fattispecie praticamente sovrapponibile a quella oggetto del ricorso in esame, ha sviluppato le seguenti considerazioni:
(i) la domanda di ammissione al passivo del credito vantato nei confronti della societa’ assoggettata alla procedura concorsuale ha natura contrattuale, e non puo’ interrompere anche la prescrizione del (diverso) diritto (di natura risarcitoria) fatto valere nei confronti del Mise; questo perche’ il Mise non risponde dell’obbligazione di restituzione dei capitali investiti, oggetto della domanda di ammissione al passivo dalla societa’ finanziaria, ma risponde (a diverso titolo, e cioe’ ai sensi dell’articolo 2043 c.c.) esclusivamente del danno causato agli investitori in virtu’ di una specifica condotta propria, per non avere impedito lo svolgimento dell’attivita’ finanziaria da parte della societa’ divenuta insolvente;
(ii) non si tratta di obbligazioni solidali, perche’ il credito risarcitorio fatto valere dagli investitori nei confronti del Mise non solo ha natura diversa rispetto a quello fatto valere nei confronti della societa’ (quale obbligata alla restituzione dei capitali investiti) in sede di ammissione al passivo, ma ha anche un oggetto diverso: si tratta, cioe’, del diritto al risarcimento, richiesto ai sensi dell’articolo 2043 c.c., derivante dall’omessa vigilanza sulla societa’ finanziaria e dall’omessa tempestiva revoca dell’autorizzazione a operare; sicche’ la responsabilita’ ascrivibile al Mise non ha per oggetto l’adempimento del contratto di amministrazione fiduciaria del denaro conferito alla societa’ dall’investitore, ma il danno derivato a ciascuno in dipendenza dell’avvenuta stipulazione del detto contratto con una societa’ inaffidabile e, poi, inadempiente;
(iii) si e’ in presenza, quindi, di ipotesi diversa da quella del concorso tra responsabilita’ contrattuale e responsabilita’ extracontrattuale, nella quale comunemente l’unico danno e’ imputabile a piu’ soggetti, di cui uno solo in rapporto obbligatorio con il danneggiato: lo e’ in quanto diverso e’ il fatto imputabile (all’uno e all’altro dei soggetti) e diverso e’ anche il danno conseguente; in particolare la responsabilita’ risarcitoria del Mise sussiste solo nella misura in cui il credito contro la societa’ non possa trovare soddisfazione; ma fermo restando che i due diritti azionabili rimangono autonomi e distinti, come pure (di conseguenza) le azioni.
XII. – Il nucleo centrale del pensiero enunciato nel detto precedente e’ sostanzialmente replicato nella gia’ citata memoria del Mise, a mezzo della considerazione che nella specie “la domanda fatta valere in sede di ammissione al passivo della societa’ finanziaria non e’ una domanda di risarcimento del danno, ma di adempimento contrattuale”, e che invece “il Ministero non risponde in alcun modo dell’adempimento di quella obbligazione contrattuale (ne’ degli eventuali danni direttamente conseguenti al relativo inadempimento), ma risponde esclusivamente del danno causato agli investitori per aver confidato nella regolarita’ della gestione dell’attivita’ della societa’ finanziaria ed aver quindi deciso di stipulare con la stessa il contratto poi rimasto inadempiuto”.
Da cio’ la conseguenza che, essendo la situazione imputabile al Mise diversa per “natura e oggetto” dal diritto fatto valere contro la societa’ mediante l’azione di adempimento contrattuale, lo sarebbe anche il danno conseguente, e lo sarebbero, dunque, i diritti fatti valere, siccome correlati a “titolo e contenuto diversi”, oltre che determinativi della “lesione di interessi diversi del danneggiato, a prescindere dalle interferenze che possano esistere in ordine al conseguimento della soddisfazione dei rispettivi (differenti) crediti”.
Il nesso tra i due diritti, da qualificare come distinti e autonomi, come pure il nesso tra le due azioni volte a farli valere in giudizio, si manifesterebbe, secondo il Mise, esclusivamente nella necessita’ di liquidare il danno, nell’azione di responsabilita’, tenendo conto (eventualmente con un giudizio prognostico futuro) delle prospettive di recupero del credito contrattuale nei confronti della societa’, in quanto il pregiudizio subito dagli investitori in conseguenza della condotta illecita imputabile al Ministero consisterebbe “esclusivamente nella differenza tra il credito del singolo investitore nei confronti della societa’ finanziaria e la parte di esso effettivamente recuperabile da quest’ultima”; al punto che ove nella procedura concorsuale esistesse un congruo attivo, tale da far ritenere presumibilmente recuperabile una parte consistente dei crediti ammessi, il Ministero non potrebbe che essere condannato all’importo di detti crediti che si ritenga non recuperabile, non anche al pagamento integrale delle somme ammesse al passivo, in solido con la societa’. Cosi’ come, a fortiori, se l’attivo fosse ampiamente sufficiente a pagare il passivo, il danno andrebbe escluso in radice.
Ne risulterebbe confermato, ad avviso dell’avvocatura dello Stato, il rilievo per cui non si e’ in presenza della medesima obbligazione, con diversi debitori tenuti in solido al suo adempimento, ma di obbligazioni del tutto distinte e autonome, volte a soddisfare differenti interessi del creditore, che presentano possibili interferenze solo in relazione al momento attuativo, con riguardo alla completa soddisfazione della complessiva posizione giuridica del creditore stesso.
XIII. – Sennonche’ deve dissentirsi dalla trama appena esposta nella parte in cui assume la necessita’ di intendere la domanda di insinuazione al passivo come una domanda di adempimento contrattuale, in contrasto, quindi, con la domanda risarcitoria formulata nei riguardi del Mise.
In generale un’azione di adempimento non puo’ essere avanzata contro una societa’ fiduciaria assoggettata a procedura concorsuale (sia essa il fallimento, sia essa la l.c.a.) in semplice dipendenza di un contratto pendente al momento in cui quella procedura e’ instaurata.
In base alla L. Fall., articolo 72, richiamato nell’articolo 201 stessa legge ai fini della l.c.a., l’esecuzione di ogni contratto (salvi i casi ulteriori testualmente disciplinati nel titolo II, capo III, sezione IV) che al momento risulti non ancora adempiuto rimane sospesa fino a quando gli organi della procedura (curatore o commissario) dichiarino di subentrare nel contratto medesimo, assumendo i relativi diritti e obblighi, ovvero di sciogliersi da esso.
Cio’ accade salvo che nei contratti a effetti reali nei quali sia gia’ avvenuto il trasferimento del diritto.
Ma non e’ tale, secondo quanto meglio si dira’ a breve, il mandato ad amministrare stipulato con una societa’ fiduciaria, poiche’ astretto dallo schema della fiducia cd. germanistica.
Sicche’ e’ totalmente infondato sostenere che la posizione del Mise possa essere in qualche modo diversificata, in giudizi come quello in esame, per il fatto di divergere da quella fatta valere contro una societa’ insolvente a titolo di adempimento del contratto di amministrazione fiduciaria del denaro a essa conferito.
Da questo punto di vista il nucleo qualificante della tesi del ricorrente – e anche, per certi versi, delle affermazioni rese dall’ordinanza n. 4683 del 2020 – appare in contraddizione con la disciplina normativa che rileva.
Non senza considerare che l’ipotesi di un’azione di adempimento di un mandato fiduciario, nel quale gli organi della procedura siano da ritenere subentrati, cozza con la finalita’ meramente liquidatoria della l.c.a., proprio in ragione della quale, ove si tratti di societa’, e’ prevista (dalla L. Fall., articolo 200) la cessazione delle funzioni delle assemblee e degli organi di amministrazione e controllo.
XIV. – Prima di affrontare il nodo della relazione corrente tra la solidarieta’ e la responsabilita’ civile, e’ necessario portare a ulteriore compimento la considerazione relativa alla procedura concorsuale di l.c.a.; procedura che d’altronde ha caratterizzato anche la fattispecie decisa da Cass. Sez. 3 n. 4683-20.
La formazione dello stato passivo nella l.c.a. si discosta, infatti, dalla disciplina dell’insinuazione fallimentare.
Cio’ per la significativa peculiarita’ che le norme sulla l.c.a. identificano l’insinuazione come avvinta da una prima (necessaria) fase niente affatto incentrata sull’intervento del giudice, sebbene e solo sul potere officioso del commissario liquidatore.
Secondo la L. Fall., articolo 201, il commissario, entro un mese dalla nomina, comunica a ciascun creditore il suo indirizzo di posta elettronica certificata e le somme risultanti a credito di ciascuno secondo le scritture contabili e i documenti dell’impresa. Dopodiche’ (L. Fall., articolo 207) i creditori (e coloro che possono far valere domande di rivendicazione, restituzione e separazione su cose mobili possedute dall’impresa) possono far pervenire al commissario mediante posta elettronica certificata le loro osservazioni o istanze.
In questa fase non ci sono propriamente delle “domande” di parte.
Ci sono (meglio ci possono essere) delle “osservazioni o istanze”, che per consolidata opinione non producono gli effetti di una domanda di ammissione al passivo, e quindi neppure gli effetti di una domanda “giudiziale”.
Di contro i creditori pretermessi hanno diritto (L. Fall., articolo 208) di chiedere il riconoscimento dei propri crediti (o la restituzione dei propri beni) con comunicazione raccomandata entro sessanta giorni dalla pubblicazione del provvedimento di liquidazione.
Neppure tali istanze, non essendo rivolte al giudice ne’ implicandone l’intervento, costituiscono “domande giudiziali”.
E tuttavia producono comunque l’effetto interruttivo della prescrizione, in modo permanente per tutta la durata della procedura concorsuale.
Per costante giurisprudenza infatti la diversa conformazione, rispetto a quello fallimentare, del procedimento di verifica dei crediti nella l.c.a. (come pure, d’altronde, nell’amministrazione straordinaria) non e’ di ostacolo a ravvisare l’applicazione dei medesimi principi pure nell’ambito di detta procedura (v. Cass. Sez. 1 n. 17955-03, Cass. Sez. 1 n. 4209-04, nonche’, di recente, Cass. Sez. 1 n. 12559-21).
In cio’ e’ da ravvisare un approdo condivisibile, perche’ coerente con quanto affermato da questa Corte anche a proposito dell’amministrazione straordinaria (v. Cass. Sez. 1 n. 11983-20, Cass. Sez. 1 n. 14527-20), visto che nell’amministrazione straordinaria (segnatamente in quella sottoposta alla disciplina originaria di cui alla L. n. 95 del 1979), l’esecutivita’ dello stato passivo depositato dal commissario, ai sensi L. Fall., citato articolo 209 (appositamente richiamato), determina l’interruzione della prescrizione con effetto permanente anche per i creditori ammessi direttamente a seguito della comunicazione inviata ai sensi dell’articolo 207, comma 1.
La ragione e’ rettamente individuabile nelle seguenti proposizioni: (i) il combinato dell’articolo 2493 c.c., comma 4 e articolo 2945 c.c., comma 4, e, poi, la giurisprudenza di questa Corte, inducono a constatare l’esistenza nell’ordinamento di piu’ casi in cui l’azione giudiziaria puo’ essere instaurata solo dopo l’effettuazione di un procedimento anche extragiudiziario e non necessariamente contenzioso, il quale e’ tuttavia suscettibile di esser promosso dall’avente diritto con istanza equiparata, in tema di prescrizione, alla domanda giudiziale; (ii) la presentazione della domanda giudiziale non e’ da considerare, cosi’, la condizione esclusiva per la produzione del cd. effetto interruttivo permanente della prescrizione; (iii) nel sistema vigente la regolamentazione della procedura fallimentare si pone come elemento informatore della disciplina delle altre procedure di origine e tratto piu’ marcatamente amministrativo; (iv) infine, e in particolare, la L. Fall., articolo 209, comma 2, e’ teso a uniformare, rispetto al fallimento, i procedimenti impugnatori (col richiamo agli articoli 98, 99, 101 e 103), e sottostante all’uniformazione e’ da reputare presupposta anche la parificazione del piano sostanziale, quanto agli esiti delle rispettive fasi di accertamento e dei relativi effetti.
Puo’ essere utile aggiungere che, nell’ambito della procedura di l.c.a., non sarebbe del resto giustificabile una disparita’ di trattamento fra i creditori ammessi allo stato passivo in ragione del vittorioso esperimento dell’opposizione (creditori che certamente hanno a loro disposizione l’effetto della domanda giudiziale) e i creditori la cui partecipazione al concorso segua in via immediata alla comunicazione del commissario L. Fall., ex articolo 207, o all’accoglimento dell’istanza di ammissione a questo rivolta. Per i quali invero l’ammissione al passivo non e’ regolata dal principio della domanda giudiziale ma avviene, alternativamente, per impulso d’ufficio o per riconoscimento della fondatezza dell’istanza amministrativa, e per i quali tuttavia l’effetto interruttivo permanente della prescrizione si determina egualmente, sebbene al momento del definitivo, e non piu’ revocabile, deposito in cancelleria dell’elenco dei crediti ammessi (L. Fall., articolo 209, comma 1).
In conclusione su questo, deve essere confermato il principio per cui l’ammissione del credito al passivo della l.c.a. determina un effetto interruttivo permanente del termine di prescrizione per l’intera durata della procedura, a far data dal deposito dell’elenco dei creditori ammessi, ove si tratti di ammissione d’ufficio, e a far data dalla domanda, rivolta al commissario liquidatore, per l’inclusione del credito al passivo, nel caso previsto dalla L. Fall., articolo 208.
XV. – L’estensione di tale effetto al Mise, terzo obbligato per il risarcimento del danno, implica allora – e soltanto – che sia dato rinvenirne la responsabilita’ solidale nella perdita azionata dagli investitori insinuati al passivo, ex articolo 2055 c.c..
A questo riguardo deve darsi continuita’ all’indirizzo tradizionale e risalente, le cui conclusioni – che inducono a rispondere affermativamente all’interrogativo appena menzionato – non appaiono scalfite dagli argomenti resi da Cass. Sez. 3 n. 4683-20.
Alcuni di questi argomenti – e specificamente quello incentrato sull’ipotetica divergenza delle azioni, l’una (integrata dall’insinuazione concorsuale) tesa a ottenere l’adempimento del mandato fiduciario e l’altra (verso il Mise) rivolta al risarcimento del danno – sono infondati per la ragione gia’ sottolineata.
Gli altri non resistono a cio’ che da almeno sessant’anni si assume essere la caratteristica principale della regola dettata dall’articolo 2055 c.c..
XVI. – Al fondo della ricostruzione di un principio di solidarieta’ anche sul terreno della responsabilita’ civile, oltre che su quello dell’assunzione volontaria del vincolo (articoli 1292 c.c. e segg.), e’ da individuare non gia’ una comunanza di interessi alla prestazione dal lato dei soggetti, quanto piuttosto l’unificazione delle posizioni debitorie a cagione del principio dell’equivalenza delle cause del danno.
Questa constatazione e’ validata dal tradizionale assunto per cui l’articolo 2055 costituisce, nel codice civile, la traduzione normativa del principio di causalita’ materiale, salvi i soli correttivi della causalita’ adeguata in correlazione al principio del rischio specifico.
La ricostruzione e’ da far risalire all’indirizzo, inaugurato negli anni âââEurošÂ¬Ã‹Å”50 del secolo scorso, secondo cui il fatto, individuato nell’articolo 2055, va considerato unitariamente.
Esso e’ tale quando le cause siano collegate tra loro nel dinamismo convergente di un’azione complessa ovvero quando il processo causale si sviluppi attraverso il progressivo intervento di fattori diversi ma rispondenti a un nesso consequenziale, presente o astrattamente prevedibile dagli autori (cfr. Cass. Sez. 1 n. 1126-54, che dell’indirizzo anzidetto rappresenta la pietra angolare).
Non e’ necessario soffermarsi sulla ricostruzione dogmatica (del resto notissima) al fondo di simili concetti.
Quel che appare indiscutibile e’ che alla base dell’articolo 2055, vi sia in ogni caso la propensione del legislatore verso l’interesse del danneggiato a vedersi ristorato il danno subito in dipendenza di piu’ concause. Cosa che ha indotto la norma a concentrarsi sul “fatto dannoso”, mediante una sintesi verbale in cio’ – per l’appunto – diversa da quella propria dell’articolo 1156 c.c. del 1865, invece riferita all’illecito (“se il delitto o il quasi-delitto e’ imputabile a piu’ persone, queste sono tenute in solido al risarcimento del danno cagionato”).
La considerazione pratica della difficolta’ della parte danneggiata di determinare la porzione di responsabilita’ ascrivibile a ciascun soggetto responsabile del danno ha certamente concorso a determinare il legislatore nel senso della unificazione delle posizioni debitorie per via normativa.
E – come convincentemente osservato anche in dottrina – connaturata a essa e’ la valorizzazione massima (centrale) del solo interesse del danneggiato, da preservare mediante una regola espressiva della condicio sine qua non, tesa a unificare, come detto, a presidio di tale interesse, le singole concorrenti quote di responsabilita’ a ciascun soggetto ascrivibili, quale ne sia il titolo.
Per questa ragione, diversamente da quanto insiste nel dire il Mise nel caso di specie, non rileva l’unicita’ della fonte contrattuale o meno – della responsabilita’, ma solo l’unitarieta’ del fatto dannoso come base dell’obbligazione risarcitoria.
L’aggregazione delle posizioni soggettive avviene per la semplice constatazione che unico e’ il danno patito dal creditore, e l’unicita’ del danno induce il legislatore a utilizzare in suo favore il mezzo della solidarieta’, in modo funzionale a perseguire l’interesse sotteso, che e’ quello del danneggiato a essere comunque risarcito.
Va quindi in generale condiviso, e confermato, il principio secondo cui, per il sorgere della responsabilita’ solidale dei danneggianti, l’articolo 2055 c.c., comma 1, richiede che sia accertato il nesso di causalita’ tra le condotte secondo il criterio di cui all’articolo 41 c.p., e quindi solo che il fatto dannoso sia in questo senso imputabile a piu’ soggetti, ancorche’ le condotte lesive siano fra loro autonome e pure se diversi siano i titoli di responsabilita’ di ciascuno, e anche nel caso in cui siano configurabili titoli di responsabilita’ contrattuale ed extracontrattuale, atteso che l’unicita’ del fatto dannoso – considerata normativamente – deve essere riferita unicamente al danneggiato e non va intesa come identita’ delle norme giuridiche violate.
XVII. – Ora, come piu’ sopra in certo qual modo anticipato, la conclusione, sebbene certamente in astratto correlata all’esegesi della domanda fatta valere in giudizio, non determina soverchie distinzioni ove si tratti del danno derivante dalla perdita dei capitali conferiti a societa’ fiduciarie ex Lege n. 1939 del 1966; e cio’ soprattutto se quelle societa’ siano state dichiarate insolventi e assoggettate a procedura concorsuale.
Va qui ricordato che le societa’ fiduciarie sono dalla legge regolate secondo lo schema invalso sotto il nome di “fiducia germanistica”.
Allorche’ sia svolta in forma di impresa, l’attivita’ sottostante presuppone, in base alla legge citata, che la societa’ assuma l’amministrazione di beni per conto di terzi e la rappresentanza dei portatori di azioni o di obbligazioni (articolo 1), si’ da rimanere destinataria della sola legittimazione all’esercizio dei diritti relativi ai beni o ai capitali conferiti, senza trasferimento effettivo di proprieta’.
Le societa’ fiduciarie sono soggette a vigilanza del Mise (articolo 2) in quanto strumento di costituzione di un patrimonio amministrato in forma anonima, senza trasferimento di proprieta’.
Cio’ comporta che le attivita’ tipiche prese in considerazione dalla L. n. 1966 del 1939, sono, in pratica, tutte sussumibili nel concetto di amministrazione di elementi patrimoniali altrui, mediante contratti che legittimano le societa’ a operare in nome proprio sui capitali affidati secondo lo schema del mandato senza rappresentanza.
Questa Corte ha da tempo riconosciuto la rilevanza di simile fenomeno, sempre sostanzialmente ripetendo che nella societa’ fiduciaria i fiducianti vanno identificati come gli effettivi proprietari dei beni da loro affidati alla fiduciaria e a questa strumentalmente intestati (v. Cass. Sez. 1 n. 736418). Cosa che, per esempio, ha condotto a precisare che il mandato dei fiducianti a investire danaro, anche quando rimetta alla discrezione professionale della societa’ fiduciaria l’opzione tra le diverse ipotesi di investimento considerate nel mandato, volge a costituire patrimoni separati da quello della societa’ stessa e intangibili dai creditori di quest’ultima; tanto che l’eventuale mala gestio dei beni dei fiducianti, da parte degli amministratori e dei sindaci della societa’, non comporta una lesione all’integrita’ del patrimonio sociale, di modo che, ancora per esempio, i commissari liquidatori sono normalmente ritenuti privi di legittimazione ad agire per far valere la responsabilita’ degli amministratori e dei sindaci, visto che questa si compone nei confronti non della generalita’ dei creditori (per avere compromesso la funzione di generica garanzia del patrimonio sociale, ledendone l’integrita’), bensi’ dei fiducianti medesimi; ai quali in vero (come ai terzi danneggiati) spetta la legittimazione in ordine all’azione individuale di cui all’articolo 2395 c.c. (v. Cass. Sez. 1 n. 4943-99, e v. pure per le diverse situazioni possibili Cass. Sez. 1 n. 22099-13, Cass. Sez. 1 n. 23560-08, Cass. n. 29410-20).
La conseguenza fondamentale e’ duplice: da un lato lo strumento giuridico utilizzato per l’adempimento e’, quanto alle societa’ di cui alla citata L. n. 1966 del 1939, quello del mandato fiduciario senza rappresentanza finalizzato alla mera amministrazione dei beni conferiti, salva rimanendo la proprieta’ effettiva di questi in capo ai mandanti; dall’altro e conseguentemente la societa’ fiduciaria che abbia gestito malamente il capitale conferito, e che non sia quindi in grado di riversarlo ai mandanti perche’ divenuta insolvente, risponde essa stessa del danno correlato all’inadempimento del mandato e alla violazione del patto fiduciario.
Cosi’ che la relativa obbligazione, quando azionata mediante l’insinuazione concorsuale, se anche parametrata all’ammontare del capitale conferito e perduto, e’ sempre un’obbligazione risarcitoria da inadempimento del mandato.
Non e’ giustificato distinguere, allora, da questo punto di vista, come in parte e’ fatto in alcune delle richiamate decisioni di questa Corte e come in generale e’ preteso dall’avvocatura ricorrente, a riguardo dell’essere azionato, nella sede dell’insinuazione concorsuale, un diritto restitutorio, anziche’ risarcitorio, quanto ai capitali conferiti in amministrazione fiduciaria alla societa’ sottoposta a l.c.a., cosi’ da impedire nel terzo (il Mise) l’assunzione della veste del coobbligato solidale – con il consequenziale venir meno dell’effetto interruttivo della prescrizione derivante dall’ammissione al passivo.
La domanda di restituzione dei capitali andati in fumo e’ in ogni caso, per l’investitore, il presidio della reintegrazione patrimoniale, e quindi (sotto questo profilo) del danno da inadempimento del mandato fiduciariamente conferito.
Ne’ rileva, per la risposta all’interrogativo di fondo circa l’estensione dell’effetto interruttivo della prescrizione nei riguardi del terzo, quale sia (e se vi sia), in base a un giudizio volto in prognosi, la prospettiva di recupero del credito in base all’insinuazione concorsuale.
Questo problema non interessa per la configurabilita’ del fatto dannoso imputabile (anche) al terzo.
E’ in grado di incidere solo sull’assetto quantitativo della fattispecie, vale a dire sulla possibile determinazione dell’entita’ patrimoniale ancora esigibile nei confronti del terzo corresponsabile ove vi sia stato – aliunde – un recupero anche parziale; cosa che peraltro, nella specie, l’impugnata sentenza ha escluso.
XVIII. – Trattandosi, nel senso dianzi sottolineato, dell’unico fatto dannoso imputabile sia alla societa’ inadempiente al mandato fiduciario, sia al Mise quale organo di vigilanza, in dipendenza dell’asserito omesso esercizio dei poteri di controllo, l’effetto interruttivo permanente derivato dall’ammissione dei creditori al passivo si estende secondo il disposto dell’articolo 1310 c.c., comma 1.
E’ da questo punto di vista infondata pure la seconda obiezione svolta dall’avvocatura erariale a conclusione del primo motivo di ricorso.
Si assume che l’articolo 1310 c.c., comma 2, osterebbe quanto meno a estendere l’effetto sospensivo della prescrizione, essendo il Mise semplicemente terzo condebitore solidale, non a conoscenza dell’atto interruttivo e non in grado di influire sulla durata degli eventi sospensivi connaturati alla procedura concorsuale.
In contrario e’ sufficiente osservare che il richiamato articolo 1310, comma 2, e’ riferito all’istituto della sospensione della prescrizione, che, ove rilevante nei rapporti di uno dei debitori o di uno dei creditori in solido, non ha effetto riguardo agli altri.
Viceversa, nel caso concreto non si discute di sospensione ma solo di interruzione della prescrizione, seppure con effetto permanente e non soltanto istantaneo.
Viene cioe’ in considerazione unicamente l’articolo 1310 c.c., comma 1.
In ordine alla rilevanza dell’effetto permanente, quanto alla sfera del condebitore non evocato, e’ utile riprendere le considerazioni gia’ accennate, e ricordare che il principio di propagazione all’intera obbligazione soggettivamente complessa degli effetti di ogni atto interruttivo della prescrizione e’ stata affermata come conforme a costituzione.
Difatti la questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 1310 c.c., comma 1, “nella parte in cui dispone che l’interruzione della prescrizione nei confronti di un condebitore abbia effetto anche nei confronti di altri debitori solidali”, in riferimento all’articolo 3 Cost., comma 1 e articolo 24 Cost., comma 2, e’ stata ritenuta non fondata dalla Corte costituzionale merce’ il decisivo rilievo che la regola giuridica enunciata dell’articolo 1310, comma 1, si rinviene nell’effetto tipico ed essenziale dell’atto considerato dalla legge (v. C. Cost. n. 8 del 1975).
In sostanza per le obbligazioni solidali, di qualsivoglia tipo esse siano, il legislatore ha specificato che se il creditore compie un atto di esercizio del diritto nei confronti di un condebitore solidale si producono gli effetti tipici essenziali (interruttivi) di quel medesimo atto.
Tali effetti hanno portata conservativa e incidono direttamente sulla posizione del creditore nell’ambito dell’obbligazione solidale, e cioe’ sul diritto del creditore a una data prestazione nei confronti di tutti i condebitori solidali.
Sicche’ si riflettono automaticamente e inevitabilmente (“per necessita’ logica e in mancanza di una regola in senso contrario”, affermo’ C. Cost. n. 8 del 1975 cit.) sulla posizione di tutti i condebitori solidali e di ciascuno di essi.
In altre e piu’ semplici parole, l’effetto, data la sua natura, coinvolge l’intero rapporto obbligatorio. E lo coinvolge conformemente all’unita’ di scopo in ragione della quale il legislatore considera unitariamente le singole obbligazioni dei condebitori verso i creditori, secondo uno schema concettuale gia’ noto al codice civile del 1865; il cui regime (articolo 2131 c.c. abr.) e’ stato in vero per questa parte (vale a dire per l’interruzione della prescrizione) sostanzialmente riprodotto con indicazione di diversita’ rispetto al criterio “personale” accolto per la sospensione; la quale, come noto, non era disciplinata nel codice civile del 1865 quanto alla solidarieta’ passiva, sebbene solo dal lato del rapporto (attivo) con uno dei concreditori solidali (articolo 2122 c.c. abr.).
Dunque, perche’ l’effetto interruttivo si produca non e’ richiesto che dell’atto che lo fa sorgere sia a conoscenza il destinatario, esattamente come accade, del resto, per l’intimazione di cui all’articolo 1219 c.c., stante quanto previsto dall’articolo 1308, in relazione giustappunto all’articolo 1310: la costituzione in mora di tutti i condebitori solidali si determina solo se a ognuno di questi l’atto venga notificato o comunicato, mentre il ripetuto effetto interruttivo si produce, invece, nei confronti di tutti sol che l’atto sia portato a conoscenza di uno di essi.
Da questa angolazione l’effetto e’ lo stesso quale che sia il tipo di atto interruttivo, sia esso a efficacia istantanea, sia esso a efficacia permanente (come la domanda).
Tutto cio’ ha una sua logica, e si giustifica per il fatto che, a differenza degli altri effetti tipici essenziali, quello comunemente chiamato “conservativo” tocca direttamente il rapporto, e non immediatamente ed esclusivamente la sfera giuridica del (singolo) condebitore solidale.
Il condebitore solidale, che non sia a conoscenza dell’atto interruttivo, in dipendenza dell’estensione nei suoi confronti del relativo effetto (conservativo) non viene a perdere (immediatamente) alcun diritto e non viene inciso in una qualsiasi situazione giuridica soggettiva di cui sia titolare; donde, come ampiamente osservato dalla Corte costituzionale nella richiamata sentenza n. 8 del 1975, nessuna disparita’ ingiustificata di trattamento puo’ esser ravvisata tra il condebitore solidale a cui non sia rivolto l’atto interruttivo e l’eventuale altro condebitore solidale che invece riceva quell’atto: il principio di eguaglianza non risulta violato ove si mettano a raffronto i detti condebitori solidali, perche’ l’essere o meno a conoscenza dell’atto interruttivo, ai fini della produzione del ripetuto effetto conservativo, e’, per le ragioni sopra dette, ininfluente; l’articolo 24 Cost., non risulta violato, perche’ l’effetto conservativo di cui si tratta e’ operativo sul terreno del diritto sostanziale e quindi si muove su una base non coperta dalla detta garanzia costituzionale.
XIX. – A conclusione del discorso e’ quindi possibile enunciare i seguenti principi di diritto, tutti quanti astretti dal fine di risolvere il contrasto di giurisprudenza nei suoi vari aspetti.
(i) Ai fini della responsabilita’ solidale di cui all’articolo 2055 c.c., comma 1, che e’ norma sulla causalita’ materiale integrata nel senso dell’articolo 41 c.p., e’ richiesto solo che il fatto dannoso sia imputabile a piu’ persone, ancorche’ le condotte lesive siano fra loro autonome e pure se diversi siano i titoli di responsabilita’ (contrattuale ed extracontrattuale), in quanto la norma considera essenzialmente l’unicita’ del fatto dannoso, e tale unicita’ riferisce unicamente al danneggiato, senza intenderla come identita’ di norme giuridiche violate; la fattispecie di responsabilita’ implica che sia accertato il nesso di causalita’ tra le condotte caso per caso, per modo da potersi escludere se a uno degli antecedenti causali possa essere riconosciuta efficienza determinante e assorbente tale da escludere il nesso tra l’evento dannoso e gli altri fatti ridotti al semplice rango di occasioni.
(ii) In caso di capitali conferiti a societa’ fiduciarie di cui alla L. n. 1966 del 1939, lo strumento giuridico utilizzato per l’adempimento e’ quello del mandato fiduciario senza rappresentanza finalizzato alla mera amministrazione dei capitali medesimi, salva rimanendo la proprieta’ effettiva di questi in capo ai mandanti; conseguentemente la societa’ fiduciaria che abbia mal gestito il capitale conferito, e che non sia quindi in grado di riversarlo ai mandanti perche’ divenuta insolvente, risponde sempre ed essenzialmente del danno correlato all’inadempimento del mandato e alla violazione del patto fiduciario, e la relativa obbligazione, quand’anche azionata mediante l’insinuazione concorsuale, e quand’anche parametrata all’ammontare del capitale conferito e perduto, e’ sempre un’obbligazione risarcitoria da inadempimento del mandato, la quale concorre, ai sensi dell’articolo 2055 c.c., con quella eventuale dell’organo (il Mise) chiamato a esercitare l’attivita’ di vigilanza.
(iii) Nel caso di societa’ fiduciaria posta in l.c.a., l’ammissione allo stato passivo determina, sia per i creditori ammessi direttamente a seguito della comunicazione inviata dal commissario liquidatore ai sensi della L. Fall., articolo 207, comma 1, sia per i creditori ammessi a domanda ai sensi dell’articolo 208 stessa Legge, l’interruzione della prescrizione con effetto permanente per tutta la durata della procedura, a far data dal deposito dell’elenco dei creditori ammessi, ove si tratti di ammissione d’ufficio, o a far data dalla domanda rivolta al commissario liquidatore per l’inclusione del credito al passivo, nel caso previsto dalla L. Fall., articolo 208; tale effetto, ai sensi dell’articolo 1310, comma 1, c.c., si estende anche al Mise, ove coobbligato solidale per il risarcimento del danno da perdita dei capitali fiduciariamente conferiti nella societa’ soggetta a vigilanza divenuta insolvente.
XX. – Il primo motivo di ricorso e’ rigettato.
I restanti motivi possono essere affidati al vaglio della sezione semplice rimettente.
P.Q.M.
La Corte, a sezioni unite, rigetta il primo motivo di ricorso e ordina la restituzione degli atti alla terza sezione per l’esame dei rimanenti.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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