Il pubblico dipendente e l’immodificabilità della carriera

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 27 giugno 2019, n. 4440.

La massima estrapolata:

Il pubblico dipendente non ha alcun diritto quesito o legittima aspettativa all’immodificabilità della carriera, atteso che la disciplina del rapporto di pubblico impiego è improntata al preminente interesse pubblico.

Sentenza 27 giugno 2019, n. 4440

Data udienza 30 ottobre 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4722 del 2011, proposto da
Bi. El., rappresentata e difesa dall’avvocato Be. Gr., con domicilio eletto presso lo studio Al. Pl. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis) (Ra), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Al. Fe., con domicilio eletto presso lo studio Al. Pl. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna Sezione Seconda n. 08036/2010, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 30 ottobre 2018 il Cons. Stefano Fantini e uditi per le parti gli avvocati Be. Gr. e Gi. Al. Fe.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.- L’avvocato Bi. El. ha interposto appello nei confronti della sentenza 15 novembre 2010, n. 8036 del Tribunale amministrativo regionale per la Emilia Romagna, sez. II, che ha respinto il suo ricorso avverso i provvedimenti, consiliari e di Giunta del Comune di (omissis), intervenuti tra l’aprile ed il maggio 1997, di revisione organizzativa dei servizi comunali ed in particolare di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale ai sensi dell’art. 1, comma 58, della legge n. 662 del 1996.
L’esponente, dipendente del Comune di (omissis) (RA) dal 1983 con la qualifica di Vice-Segretario generale-Capo Settore Affari Generali, legale e contenzioso (VIII q.f.), ha diretto i servizi del Personale, di Segreteria, delle Attività Produttive e Polizia amministrativa, della Programmazione, Organizzazione e Metodo, nonché di quello Legale.
Nel febbraio 1997 l’avvocato Bi. ha presentato domanda di trasformazione del proprio rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale; l’Amministrazione comunale ha accolto in data 6 marzo 1997 l’istanza pur differendone all’1 giugno la decorrenza, ed al contempo ha provveduto ad una profonda revisione della propria pianta organica disarticolando il Settore Affari Generali e Legale nel Settore Legale, privo di servizi e personale, e nel Settore Affari Generali, dotato del servizio Segreteria, mentre gli altri servizi sono stati accorpati ad altri Settori dell’organizzazione comunale; all’esito ha assegnato l’esponente al Settore legale e contenzioso, con un orario di lavoro di diciotto ore settimanali.
Con il ricorso in primo grado l’avvocato Bi. ha impugnato le delibere di Consiglio e di Giunta comunale deducendo la violazione degli artt. 3, 7 e 8 della legge n. 241 del 1990, la violazione dei diritti acquisiti, la violazione dell’art. 7 del C.C.N.L. del 1995, la violazione dell’art. 53 dell’allora vigente legge n. 142 del 1990, dell’art. 1, comma 58, della legge n. 662 del 1996, nonché la sussistenza di molteplici figure sintomatiche dell’eccesso di potere, lamentando in particolare la privazione delle figure vicarie del Segretario generale, fortemente incidente sul trattamento retributivo, oltre che sulle aspettative di carriera.
2. – La sentenza appellata ha respinto il ricorso, ritenendo l’infondatezza di tutti i motivi, sia di ordine formale che sostanziale.
3.- Con il ricorso in appello l’avvocato Bi. ha dedotto l’erroneità della sentenza reiterando, alla stregua di critica alla sentenza, i motivi di primo grado relativi alla violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, alla tutela dei diritti quesiti, alla violazione dell’obbligo di motivazione, nonché dell’art. 1, comma 58, della legge n. 662 del 1996.
4. – Si è costituito in resistenza il Comune di (omissis) puntualmente controdeducendo ai motivi di appello e chiedendone la reiezione.
5. – All’udienza pubblica del 30 ottobre 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.- Occorre anzitutto precisare che la circostanza dell’intervenuto trasferimento per mobilità dell’appellante al Comune di Faenza con decorrenza 1 aprile 1998 non comporta l’improcedibilità del presente ricorso in appello, permanendo l’interesse quanto meno nella prospettiva del risarcimento del danno.
2. – Con il primo motivo di appello si censura la statuizione di primo grado che ha affermato l’inesistenza dell’obbligo della comunicazione di avvio del procedimento in relazione agli atti di approvazione delle dotazioni organiche, in quanto atti generali, senza tenere conto delle specifiche caratteristiche del caso, per cui la riorganizzazione dei servizi comunali ha comportato una profonda incisione, sia dal punto di vista economico che di carriera, della posizione individuale della ricorrente.
Il motivo è infondato.
La sentenza prende in esame i singoli atti impugnati, e cioè l’approvazione della nuova dotazione organica di servizi comunali di cui alla deliberazione consiliare n. 38 del 17 aprile 1997, la deliberazione di Giunta n. 285 del 29 maggio 1997, di attuazione della precedente, con l’assegnazione dei posti in organico e l’assegnazione dell’appellante alla direzione del Settore legale e contenzioso, nonché la deliberazione di Giunta n. 219 del 29 aprile 1997 in ordine alla decorrenza del part-time, rilevando, con riguardo alla prima, che la partecipazione procedimentale non è dovuta trattandosi di atto generale (art. 13 della legge n. 241 del 1990), con riguardo alla seconda che l’avvocato Bi. ha potuto formulare le proprie osservazioni con la nota in data 29 maggio 1997, ed aggiungendo che il differimento della conversione del rapporto di lavoro accede al procedimento di trasformazione del rapporto di impiego avviato su istanza di parte.
Si tratta di un percorso motivazionale coerente con la regola generale secondo cui la titolarità di un ufficio pubblico, se è idonea ad abilitare il titolare ad impugnare gli atti di organizzazione che incidono negativamente sull’assetto e sulle funzioni dell’ufficio rivestito, non implica per ciò solo anche il suo diritto di partecipare, ai sensi della generale previsione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, al procedimento volto all’adozione degli atti organizzatori stessi, dovendo l’eventuale apporto collaborativo anche del titolare dell’ufficio interessato dalle modifiche organizzative essere strutturato all’interno della disciplina posta dall’ordinamento generale o da fonti interne all’ente, che prevede e regola il procedimento stesso (in termini Cons. Stato, III, 30 aprile 2014, n. 2280).
3. – Con il secondo motivo l’appellante deduce poi la violazione del principio generale di conservazione dei diritti quesiti, nell’assunto che con la scissione dei due profili di Vicesegretario Settore Affari legali e di Capo Settore Legale e contenzioso e con la sua assegnazione alla guida del secondo settore ha subito un grave vulnus anzitutto al diritto di scegliere quale profilo lavorativo conservare (tenendo anche conto del fatto che ella aveva superato proprio il concorso pubblico per la posizione di Vicesegretario), e poi anche sotto il profilo retributivo, avendo perso gli emolumenti economici connessi alla sostituzione del Segretario Generale; lamenta altresì l’omessa pronuncia sulla censura di irragionevolezza svolta nei confronti della determinazione di allocare il Servizio Attività Produttive e Polizia Amministrativa all’interno del Settore Pianificazione e programmazione del territorio.
Anche tale motivo è infondato.
E’ costante la giurisprudenza nell’affermare che il pubblico dipendente non ha alcun diritto quesito o legittima aspettativa all’immodificabilità della carriera, atteso che la disciplina del rapporto di pubblico impiego è improntata al preminente interesse pubblico; parallelamente, a fronte dell’esercizio del potere organizzatorio dell’Amministrazione, non può neppure postularsi la lesione del diritto di opzione, di incerto fondamento normativo (salvo che per il personale delle Aziende U.S.L. alla stregua di quanto espressamente previsto dall’art. 29, comma 4, del d.P.R. n. 761 del 1979) e comunque in presenza di un’istanza di modifica del rapporto, purchè non si verifichi un demansionamento effettivo.
Né appare irragionevole la disarticolazione di un settore unitario (Affari Generali, Legale e Contenzioso) con creazione di un autonomo Settore Legale e Contenzioso, del quale l’appellante è stata posta a capo, il cui fondamento di razionalità appare adeguatamente illustrato dalla delibera n. 38 del 1997 e rinvenibile nell’obiettivo di valorizzare le funzioni di consulenza legale, attribuendole al dipendente con maggiori competenze.
Obietta peraltro l’Amministrazione comunale nei propri scritti difensivi come in realtà non sia neppure ravvisabile un pregiudizio economico, potendo l’appellante, nella qualità di preposta al Settore Legale, fruire del trattamento accessorio di cui all’art. 69 del d.P.R. n. 268 del 1987; in ogni caso evidenzia l’Amministrazione come le funzioni di Vicesegretario generale non siano compatibili, in ragione delle modalità di svolgimento, richiedente una continuativa presenza in servizio, con il regime del part-time scelto dall’avvocato Bi..
Quanto all’omessa pronuncia in ordine alla contestata scelta di accorpare il Servizio Attività Produttive e Polizia Amministrativa all’interno del Settore Pianificazione e programmazione del territorio, si tratta di una censura comunque inammissibile, che impinge nel merito di scelte riservate all’Amministrazione, in difetto, peraltro, della dimostrazione di un’irragionevolezza, al contrario smentita dalla connessione intercorrente tra programmazione commerciale e produttiva e pianificazione territoriale.
4. – Il terzo ed ultimo motivo di appello, con riguardo alla delibera di Giunta n. 219 del 26 aprile 1997, deduce poi la violazione dell’art. 1, comma 58, della legge n. 662 del 1996, nella prospettiva dell’illegittimo differimento della concessione del part-time dal marzo al giugno 1997, asseritamente sprovvisto peraltro di adeguata motivazione.
Anche tale motivo è infondato.
L’art. 1, comma 58, della legge n. 662 del 1996 si limita a prevedere che “la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale può essere concessa dall’amministrazione entro sessanta giorni dalla domanda”, ma non esclude affatto la possibilità del differimento dell’esercizio di tale facoltà, nel caso di specie disposto peraltro nell’ambito di tale spatium deliberandi, come appare chiaro considerando che l’istanza di trasformazione risale al 28 febbraio 1997 e la delibera di differimento è del 26 aprile 1997.
5. – Alla stregua di quanto esposto, l’appello deve essere respinto in ragione dell’infondatezza dei motivi dedotti.
La peculiarità della controversia integra le ragioni che per legge consentono la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa tra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 ottobre 2018 con l’intervento dei magistrati:
Roberto Giovagnoli – Presidente FF
Fabio Franconiero – Consigliere
Raffaele Prosperi – Consigliere
Angela Rotondano – Consigliere
Stefano Fantini – Consigliere, Estensore

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