Gli eventuali vizi della fase amministrativa del procedimento disciplinare ove dedotti come motivi di ricorso per cassazione

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|17 gennaio 2023| n. 1172.

Gli eventuali vizi della fase amministrativa del procedimento disciplinare ove dedotti come motivi di ricorso per cassazione

Gli eventuali vizi della fase amministrativa – e non giurisdizionale – del procedimento disciplinare ove dedotti come motivi di ricorso per cassazione, non possono qualificarsi come “errores in procedendo”, di talchè non è consentito alla Corte l’esame diretto degli atti, né a tale fase sono applicabili, in tutto e per tutto, le norme e i principi propri della fase giurisdizionale. (In applicazione di detto principio, la S.C. ha rigettato la censura proposta da un professionista, esercente la professione medico-chirurgica, con la quale si lamentava la comunicazione del solo dispositivo del provvedimento disciplinare con omissione della motivazione dello stesso).

Sentenza|17 gennaio 2023| n. 1172. Gli eventuali vizi della fase amministrativa del procedimento disciplinare ove dedotti come motivi di ricorso per cassazione

Data udienza 28 settembre 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Professioni sanitarie – Medico – Disciplinare professionisti – Silenzio sul mantenimento del suo contratto a tempo come dirigente – Svolgimento per tre mesi la continuità assistenziale alla Asl – Sospensione per 6 mesi dalla professione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere

Dott. POLETTI Dianora – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 5924-2020 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
ORDINE DEI MEDICI CHIRURGHI E ODONTOIATRI PROVINCIA TERNI, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
e contro
PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO TRIBUNALE TERNI, MINISTERO DELLA SALUTE;
– intimati –
avverso la decisione n. 38/2019 della COMM. CENTR. ESERC. PROFESSIONI SANITARIE di ROMA, depositata il 27/11/2019;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/09/2022 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dottoressa ROSA MARIA DELL’ERBA, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
Lette le memorie delle parti.

Gli eventuali vizi della fase amministrativa del procedimento disciplinare ove dedotti come motivi di ricorso per cassazione

RAGIONI IN FATTO DELLA DECISIONE

La Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie (CCEPS), con decisione depositata il 16 aprile 2015, respinse il ricorso proposto dalla dottoressa (OMISSIS) avverso la Delib. dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Terni 22 aprile 2013, con la quale le era stata applicata la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione per sei mesi, essendole stato addebitato di avere colposamente taciuto, dichiarando il falso, di avere mantenuto incarico a tempo determinato di dirigente medico presso la ASL di Viterbo fino a tutto il 31 dicembre 2009 nel mentre svolgeva, con incarico trimestrale, servizio di continuita’ assistenziale per la ASL di Rieti.
Avverso la predetta statuizione l’interessata propose ricorso per cassazione, affidato a sei motivi di censura, cui resistette l’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Terni con controricorso.
Questa Corte con la sentenza n. 30061/2017 ha accolto il primo motivo di ricorso, e assorbiti i restanti, ha cassato la decisione impugnata con rinvio alla Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie, rilevando che la sentenza della Corte Costituzionale n. 215/2016 aveva dichiarato illegittime le norme in materia di composizione della Commissione stessa, con la conseguente invalidita’ della decisione in quanto emessa con la partecipazione di soggetti che non potevano farne parte.
Riassunto il giudizio, la CCEPS, con la decisione n. 38 depositata il 27 novembre 2019, ha nuovamente respinto il ricorso della (OMISSIS).
Evidenziava che l’organo di disciplina aveva in realta’ comunicato solo il dispositivo della decisione adottata, riservandosi di depositare in un secondo momento la motivazione, come poi avvenuto.
Era da disattendere anche il motivo di opposizione con il quale si lamentava la violazione del principio del ne bis in idem, in quanto, in disparte la questione circa l’applicabilita’ del medesimo al solo processo penale, era evidente che il presente procedimento concerneva un addebito diverso da quello per il quale era intervenuta altra sanzione disciplinare, ma correlata alla segnalazione da parte dell’INPS di anomalie comportamentali della (OMISSIS), in occasione della redazione di alcuni verbali.
La decisione disattendeva anche il motivo che investiva la determinazione della sanzione, e cio’ essendo la stessa adeguata al disvalore arrecato dal comportamento della parte che aveva reso una dichiarazione mendace in vista dell’assunzione di un incarico pubblico, in danno anche di altri colleghi potenzialmente in grado di ricoprire il medesmo incarico conseguito con il mendacio.
Infine, era da rigettare anche il quarto motivo di opposizione, in quanto innanzi alla CCEPS non trovavano applicazione le norme di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957, articoli 107 e ss..
Per la cassazione della decisione emessa in sede di rinvio ha proposto ricorso (OMISSIS) sulla base di cinque motivi. L’Ordine Provinciale dei medici chirurghi ed odontoiatri di Terni ha resistito con controricorso.
Gli altri intimati non hanno svolto difese in questa fase.
La ricorrente ha depositato memorie in prossimita’ dell’udienza.

Gli eventuali vizi della fase amministrativa del procedimento disciplinare ove dedotti come motivi di ricorso per cassazione

RAGIONI IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’articolo 2909 c.c. e articolo 324 c.p.c., circa la mancata rilevazione del giudicato formatosi sull’esaurimento della sanzione da scontare.
Si rileva che con la decisione della CCEPS n. 43/2018, sarebbe intervenuta una pronuncia definitiva sui medesimi fatti, oggetto del procedimento sanzionatorio in esame, e con la medesima sarebbe stata dichiarata la cessazione della materia del contendere sul presupposto che la ricorrente avesse gia’ scontato la sanzione irrogatale con la decisione n. 17/2013, poi cassata da questa Corte con la sentenza n. 30061/2017.
In fatto, occorre evidenziare che, come riportato nello stesso ricorso, una volta emessa la decisione n. 8/2015 della CCEPS, che aveva confermato la sospensione di mesi sei per la ricorrente, il Presidente dell’Ordine dei medici e degli odontoiatri di Treni aveva disposto l’esecuzione della decisione a decorrere dal giorno successivo al ricevimento della propria missiva del 22 maggio 2015, e per l’effetto l’ASL di Viterbo l’aveva sospesa dall’incarico in precedenza conferitole.
Entrambi i provvedimenti erano oggetto di impugnazione da parte della (OMISSIS) dinanzi alla CCEPS che, con la decisione n. 43/2018 del 16 gennaio 2019, dichiarava l’inammissibilita’ del ricorso per la cessazione della materia del contendere, reputando che le parti concordassero sul fatto che la ricorrente avesse gia’ scontato il periodo di sospensione.
E’ stato altresi’ dato atto che la richiesta di correzione dell’errore materiale asseritamente presente nella decisione n. 43/2018, avanzata sul presupposto che in realta’ la sospensione non era stata interamente scontata, era stata respinta dalla CCEPS che aveva del pari rigettato la richiesta di revocazione avanzata sempre dal Consiglio dell’Ordine, in quanto con la medesima erano denunciati non gia’ errori di fatto, ma di diritto, emendabili con il rimedio del ricorso per cassazione.
Rileva la Corte che deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilita’ del motivo sollevata dal controricorrente sul presupposto che la doglianza non fosse stata avanzata nel corso del giudizio di rinvio, e cio’ occorrendo tenere conto che la formazione del preteso giudicato, avuto riguardo alla data in cui e’ stata pronunciata la decisione n. 43/2018 (16/01/2019) ed a quella in cui e’ intervenuta la decisione sulla richiesta di revocazione (decisione n. 1/2019 del 26/6/2019), sarebbe successiva alla data in cui risulta deliberata la decisione oggi gravata (15/5/2019), il che non permetteva di poter invocare l’efficacia di giudicato esterno in quella sede (Cass. n. 14883/2019; Cass. n. 15380/2022).

Gli eventuali vizi della fase amministrativa del procedimento disciplinare ove dedotti come motivi di ricorso per cassazione

Il motivo e’ comunque infondato.
Occorre a tal fine evidenziare che, in relazione ai provvedimenti disciplinari adottati nei confronti degli esercenti le professioni sanitarie, la proposizione del ricorso alla Commissione centrale ha effetto sospensivo degli stessi quando sia proposto avverso i provvedimenti di cancellazione dall’albo o avverso i provvedimenti disciplinari (ad eccezione di quelli previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica 5 aprile 1950, n. 221, articoli 42 e 43); qualora sia proposto ricorso per cassazione contro la decisione della Commissione centrale, l’esecutivita’ della decisione della commissione non e’ di per se’ sospesa, ne’ essa puo’ essere sospesa in applicazione dell’articolo 373 c.p.c., ed appare manifestamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale per disparita’ di trattamento rispetto alla possibilita’ di chiedere la sospensione prevista, in riferimento alle decisioni del Consiglio nazionale forense, nei confronti degli avvocati, dal R.Decreto Legge 27 novembre 1933, n. 1578, articolo 56, comma 4, che e’ norma eccezionale; tuttavia, in caso di cassazione della decisione della Commissione centrale, rivive l’effetto sospensivo conseguente alla proposizione del ricorso dinanzi ad essa (Cass. n. 13427/2004).
Ne consegue che, l’esecuzione della misura disciplinare della sospensione disposta dal Presidente dell’Ordine dei medici di Terni, dopo la decisione n. 8/2015 della CCEPS era doverosa, in assenza di un meccanismo di sospensione correlato anche all’eventuale proposizione del ricorso per cassazione, e che l’oggetto della decisione assunta dalla stessa Commissione Centrale con la pronuncia n. 43/2018 ha investito unicamente la legittimita’ dei provvedimenti con i quali si intendeva dare esecuzione alla misura della sospensione disciplinare come confermata con la prima decisione del 2015.
La mera circostanza, che peraltro e’ oggetto di contestazione della difesa del controricorrente, che il periodo di sospensione scontato dalla (OMISSIS) sia effettivamente corrispondente all’entita’ della sanzione irrogata, essendo peraltro frutto di un automatismo correlato alla assenza di sospensione degli effetti della decisione adottata dalla CCEPS, ove anche corrispondente al vero, non determina il venir meno dell’interesse alla prosecuzione del presente giudizio, ne’ implica l’illegittimita’ della decisione oggi gravata.
In primo luogo, come sottolineato, trattasi di decisione, quella assunta come giudicato esterno, che non ha deciso sui medesimi fatti oggetto del presente procedimento, ma solo sulla legittimita’ della provvisoria esecuzione della misura della sospensione disposta da parte dell’autorita’ amministrativa.
Ancora, ove si ritenga che quella decisione abbia portata assorbente e preclusiva anche nel presente giudizio, cio’ determinerebbe l’inammissibilita’ dell’intero ricorso avanzato dalla (OMISSIS), con la sostanziale definitivita’ della applicazione della sanzione disciplinare, sol perche’ nella sostanza gia’ scontata, e cio’ in contrasto con la complessiva formulazione del ricorso che in ogni caso mira a contestare la correttezza della pronunzia disciplinare emessa a suo carico.
Inoltre, ove anche si reputi che la sanzione sia stata gia’ interamente eseguita, per effetto dell’efficacia provvisoria della precedente decisione, poi cassata, la cessazione della materia del contendere in ordine ai provvedimenti volti a dare attuazione alla prima decisione, non rende la ricorrente priva di interesse ad una decisione del presente ricorso, attesa la finalita’ di elidere ogni effetto pregiudizievole derivante dalla condanna disciplinare, a prescindere dalla sua gia’ intervenuta esecuzione, posto che gli effetti di quest’ultima, ove si addivenisse all’accoglimento del ricorso, potrebbero legittimare la proposizione di una diversa domanda risarcitoria in correlazione al periodo di sospensione indebitamente subito.
Il motivo deve quindi essere rigettato.
2. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 221 del 1950, articolo 47.
Si deduce che la Delib. Consiglio di Disciplina del CDO di Terni era stato, comunicato, alla ricorrente con nota del 18/6/2013, ma solo nel dispositivo, essendo mancata la notifica integrale della decisione.
Il provvedimento sanzionatorio che ha attinto la ricorrente si assume che sia del tutto privo di motivazione, ma tuttavia la decisione oggi impugnata ha rigettato l’analogo motivo di opposizione rilevando che rientrava tra le facolta’ del CDO anche quella di emettere solo il dispositivo, riservandosi di comunicare successivamente la motivazione integrale.
Tale risposta, a detta della ricorrente, ha pero’ eluso il reale contenuto del motivo di opposizione, con il quale si contestava che in realta’ era la Delib. del CDO, comprensiva anche della parte motiva, a risultare priva di una chiara esposizione dei fatti.
Il motivo deve essere rigettato.
Effettivamente, come si ricava dalla lettura del primo motivo del ricorso proposto dalla ricorrente innanzi alla CCEPS avverso la Delib. della Commissione di Disciplina del CDO di Terni n. 17 del 2013, la doglianza consisteva nella asserita mancanza della comunicazione anche del provvedimento in forma integrale, rispetto alla quale appare del tutto pertinente ed esaustiva la risposta offerta dalla decisione oggi impugnata, che ha sottolineato come sia consentito differire ad un momento successivo la stesura della motivazione, essendo lecita quindi l’immediata comunicazione del dispositivo della decisione assunta.
E’ pero’ pur vero che il motivo di opposizione evidenziava che la Delib. sanzionatoria palesava un contenuto del tutto generico, in quanto si esauriva nel solo recepimento delle segnalazioni dell’INPS e dell’ASL di Rieti, senza alcuna ulteriore valutazione, ma va rilevato l’evidente difetto di specificita’ del motivo, che omette di riportare il contenuto dell’originaria Delib. impugnata dinanzi alla CCEPS.
Rileva a tal fine la circostanza che, stante la natura amministrativa del provvedimento che si svolge dinanzi al CDO ed altresi’ dell’atto che la conclude, gli eventuali vizi della fase amministrativa – e non giurisdizionale – del procedimento disciplinare (nel caso di specie, nei confronti di un professionista esercente la professione medico-chirurgica), ove dedotti come motivi di ricorso per cassazione (nel caso in esame, quanto alla adeguatezza della motivazione), non possono qualificarsi come “errores in procedendo”, di talche’ non e’ consentito alla Corte l’esame diretto degli atti, ne’ a tale fase sono applicabili, in tutto e per tutto, le norme e i principi propri della fase giurisdizionale (Cass. n. 7765/2005).
La formulazione del motivo si palesa quindi in violazione del principio di specificita’ di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6.
Peraltro la censura si mostra destituita di fondamento, in quanto dalla lettura della decisione n. 17/2013, si rileva che la Commissione di disciplina presso il CDO, lungi dal limitarsi a recepire la segnalazione dell’ASL, ha rilevato (cfr. pag. 4) che la stessa trovava conferma nelle dichiarazioni rese in sede disciplinare dalla (OMISSIS) che aveva riferito di aver dichiarato una circostanza non veritiera al fine di ottenere un incarico dall’ASL di Rieti, sebbene titolare di un precedente incarico dalla omologa ASL di Viterbo, adducendo a giustificazione della sua condotta esclusivamente il timore circa il mancato rinnovo del precedente incarico.
La stessa decisione ha poi preso in esame la complessiva condotta tenuta dalla sanitaria, non solo nel corso del procedimento disciplinare, ma anche relativamente a pregresse situazioni che del pari l’avevano esposta ad altre sanzioni disciplinari, elementi questi ritenuti rilevanti ai fini della graduazione della sanzione applicata.
3. Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 221 del 1950, articoli 38 e ss. per violazione del principio generale del ne bis in idem.
Si deduce che analoga censura era stata formulata anche in sede di opposizione avverso la decisione della Commissione di disciplina del CDO, e cio’ sul presupposto che la medesima Commissione, dopo avere emesso, per i fatti oggetto di causa (dichiarazioni non veritiere rese all’ASL di Rieti), una prima Delib. n. 19 del 2011, con la quale le aveva applicato la sanzione della sospensione per mesi sei, aveva in via di autotutela annullato la decisione presa, rilevando un errore formale nella convocazione della ricorrente, riassumendo quindi il procedimento sanzionatorio per poi adottare la Delib. n. 17 del 2013.
Rileva la ricorrente che il CDO, con la prima Delib. n. 19 aveva esaurito il proprio potere decisionale, e che quindi la successiva Delib. n. 13 del 2013 sarebbe affetta da nullita’ insanabile in quanto emessa in violazione del principio del ne bis in idem.
La decisione oggi impugnata ha pero’ frainteso il reale contenuto della censura della ricorrente, osservando, in vista del suo rigetto, che la Delib. impugnata aveva ad oggetto fatti diversi da quelli del pressoche’ coevo procedimento disciplinare che aveva interessato la ricorrente a seguito della segnalazione da parte dell’INPS di anomalie nella redazione di alcuni verbali, procedimento conclusosi con la diversa Delib. n. 20 del 2011.
Il motivo deve essere rigettato, ancorche’ si imponga la correzione della motivazione della decisione gravata.
Effettivamente, la CCEPS ha equivocato circa l’effettivo senso della doglianza mossa in parte qua dalla ricorrente, ritenendo che la dedotta violazione del principio del ne bis in idem fosse riferita alla assunta identita’ tra i fatti oggetto del presente procedimento disciplinare e quelli invece relativi alla segnalazione da parte dell’INPS.
Come appunto si evince in maniera univoca dalla lettura anche del ricorso originario in opposizione alla Delib. n. 17 del 2013, la tesi della ricorrente si sostanzia nella convinzione che una volta revocata la prima Delib. applicativa della sanzione per i fatti oggetto di causa, fosse preclusa alla Commissione di disciplina una nuova valutazione sui fatti contestati.
Trattasi pero’ di tesi del tutto priva di fondamento.
Occorre a tal fine ribadire che il provvedimento irrogativo di una sanzione disciplinare, emesso dal consiglio provinciale dell’ordine dei medici, e’ un atto amministrativo e non giurisdizionale (Cass. n. 1763/2012), in quanto la giurisdizione interviene in un secondo momento con l’esame dell’atto che ha posto termine alla fase davanti all’ordine professionale locale, discendendo da cio’ che la violazione delle norme che regolano la fase procedimentale non comporta una nullita’ processuale rilevabile in ogni stato e grado anche d’ufficio ma una illegittimita’ amministrativa che puo’ essere fatta valere solo dal soggetto interessato mediante impugnazione davanti alla Commissione centrale (Cass. n. 835/2007; Cass. n. 10389/2001; Cass. Sez. U, n. 15404/2003).
Dalla natura amministrativa dell’atto assunto dal CDO deriva altresi’ che sussista anche la possibilita’ di esercitare il potere di annullamento in autotutela, soprattutto laddove, come nel caso in esame, si ritenga che la prima manifestazione di attivita’ provvedimentale sia affetta da vizi formali.
Ne consegue che, allorche’ l’autorita’ amministrativa titolare della potesta’ disciplinare ritenga di ritornare sui propri passi, e di disporre in autotutela la revoca ovvero l’annullamento della prima decisione, non e’ in alcun modo preclusa la possibilita’ di rieditare l’esercizio del potere disciplinare, e cio’ senza che tale seconda Delib. possa essere reputata affetta dalla violazione del principio del ne bis in idem, posto che l’elisione dell’efficacia del primo provvedimento scongiura in radice il pericolo che il soggetto interessato dal procedimento possa venire a subire una duplice sanzione per i medesimi fatti.
Ad esempio, ed in relazione a situazione che presenta evidenti profili di affinita’ con la vicenda in esame, e’ stato affermato che, in tema di sanzioni amministrative in base alla L. 24 novembre 1981, n. 689, il principio del “ne bis in idem” non e’ applicabile al potere di reiterare un provvedimento sanzionatorio nel caso in cui il provvedimento precedente sia stato annullato per un vizio attinente all'”iter” procedimentale che ha condotto all’emissione dell’ordinanza ingiunzione. Infatti, tale vizio ben puo’ essere emendato dallo stesso organo pubblico attraverso un nuovo procedimento correttamente svolto, a condizione che questo giunga a conclusione nel termine quinquennale di prescrizione della pretesa sanzionatoria previsto dalla suddetta L. 24 novembre 1981, n. 689, articolo 28 (nella fattispecie e’ stata ritenuta legittimamente emessa dal comune nuova ordinanza ingiunzione nel quinquennio, dopo che la precedente per lo stesso fatto era stata dal giudice annullata con sentenza, causa la mancata audizione in sede amministrativa dell’interessato; Cass. n. 2310/2008; Cass. n. 11582/2001; Cass. n. 4923/2005).
In senso analogo, in materia tributaria e’ stato anche di recente riaffermato (Cass. n. 27543/2022) il cd. “principio di perennita’” – che legittima a sostituire l’atto annullato con un nuovo atto, ancorche’ di contenuto identico a quello annullato, privo dei vizi originari dello stesso (Cass., Sez. V, 16 giugno 2021, n. 16996; Cass., Sez. VI, 18 maggio 2021, n. 13407; Cass., Sez. VI, 30 settembre 2020, n. 20705; Cass., Sez. VI, 6 luglio 2020, n. 13807; 9 giugno 2020, n. 10981; Cass., Sez. VI, 18 febbraio 2020, n. 4153; Cass., Sez. V, 20 marzo 2019, n. 7751). Ne deriva che “l’esercizio del potere di autotutela non implica consumazione del potere impositivo, sicche’, rimosso con effetto ex tunc l’atto di accertamento illegittimo od infondato, l’Amministrazione finanziaria conserva ed anzi e’ tenuta ad esercitare – nella permanenza dei presupposti di fatto e di diritto – la potesta’ impositiva – e’ riferito in generale all’azione amministrativa e trova fondamento nei principi espressi dagli articoli 53 e 97 Cost..
Tale principio consegue all’esigenza di continua e puntuale aderenza dell’azione amministrativa all’interesse pubblico, “non esaurendosi il potere dell’autorita’ che lo adotta unicamente nella verifica della legittimita’ dell’atto e nel suo doveroso annullamento se ne riscontra l’illegittimita’” (Corte Cost., 13 luglio 2017, n. 181) e tale principio e’ opposto al divieto del ne bis in idem e alla formazione del giudicato che, diversamente, e’ proprio dell’azione giurisdizionale. In virtu’ del principio in parola, il potere della Pubblica Amministrazione sopravvive al suo esercizio e puo’ essere nuovamente attuato, anche in relazione alla stessa fattispecie e persino in senso opposto alla precedente manifestazione del potere stesso; ne consegue che – in assenza di specifica norma di legge che preveda un piu’ limitato esercizio dell’autotutela a tutela del contribuente (quale, in linea generale per l’attivita’ amministrativa, la L. 7 agosto 1990, n. 241, articolo 21-novies come modificato dalla L. 7 agosto 2015, n. 124, articolo 6 e dal Decreto Legge 31 maggio 2021, n. 77, articolo 63) – l’esercizio del potere di autotutela non implica la consumazione del potere impositivo, ancorche’ l’atto originario venga rimosso con effetti ex tunc, rinnovando doverosamente l’amministrazione un proprio atto viziato con l’emanazione di un altro, corretto dai vizi del precedente e sostitutivo del medesimo.
Va quindi richiamato, con specifico riferimento alla materia disciplinare, il principio secondo cui l’annullamento in sede di autotutela si riferisce ad atti amministrativi invalidi, i cui effetti restano caducati “ab initio”, con la conseguenza che non e’ suscettibile di ricorso al Consiglio nazionale dell’Ordine degli architetti, per difetto d’interesse ad agire da parte dell’interessato, il provvedimento disciplinare a carico di un architetto adottato e poi annullato, in via di autotutela, per motivi di legittimita’, da parte del Consiglio provinciale dell’Ordine, in quanto l’indicato annullamento non ha potuto avere alcun effetto dannoso per il professionista originariamente incolpato (Cass. S.U. n. 11482/1996), dal quale e’ dato inferire la piana possibilita’ di annullamento in autotutela anche di provvedimenti amministrativi irrogativi di sanzioni disciplinari, e l’inidoneita’ dell’atto annullato a determinare alcun pregiudizio per l’interessato che dovra’ unicamente indirizzare le proprie doglianze nei confronti dell’atto successivamente adottato.
Ad analoghe conclusioni e’ peraltro pervenuta anche la giurisprudenza amministrativa che ha esplicitamente affermato che non viola il principio del “ne bis in idem” il provvedimento disciplinare emesso dall’amministrazione previo annullamento in autotutela del precedente atto sanzionatorio viziato da irregolarita’ procedurali (Cons. Giust. Amm. Sicilia, n. 469/2009).
4. Il quarto motivo di ricorso deduce la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 221 del 1950, articoli 40 e 41 nonche’ la carenza di motivazione e l’omesso esame di presupposti determinanti.
Si deduce che la ricorrente aveva lamentato l’eccessiva gravita’ della sanzione irrogatale, ma la doglianza e’ stata disattesa.
Non si e’ pero’ tenuto conto del fatto che e’ stata applicata la sospensione per mesi sei che e’ la misura massima prevista per la sospensione, nonche’ delle difese spiegate in sede di contestazione, e precisamente delle ragioni che l’avevano indotta a tacere del proprio precedente e perdurante rapporto di servizio con I’ASL di Viterbo.
La censura e’ inammissibile in quanto attinge un apprezzamento esclusivamente rimesso al giudice di merito circa la determinazione della sanzione disciplinare applicabile, e che non e’ suscettibile di critica in sede di legittimita’, ove la stessa resti contenuta nei limiti edittali di legge (si veda Cass. S.U. n. 18302/2020 circa le sanzioni disciplinari dei magistrati; Cass. S.U. n. 20344/2018; Cass. S.U. n. 24647/2016; Cass. n. 2122/1964 per le sanzioni disciplinari degli avvocati).
Del tutto inconferente e’ poi il richiamo alle previsioni dall’Accordo Nazionale Collettivo di Categoria del 23 maggio 2005, che non concerne l’applicazione della sanzione disciplinare oggetto di causa, ma attiene al diverso rapporto intercorrente tra la struttura sanitaria ed il medico.
Cosi’ come del tutto erroneo e’ il richiamo alla circostanza che, essendo stata la (OMISSIS) sanzionata quasi coevamente dal CDO in relazione ai fatti oggetto di causa ed a quelli scaturenti dalla segnalazione dell’INPS, con due diverse delibere, ognuna delle quali ha inflitto la sanzione della sospensione per mesi sei, alla stessa in realta’ sarebbe stata inflitta una sospensione pari ad un anno, in violazione del limite edittale di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 221 del 1950, articolo 40 e cio’ in quanto deve aversi riguardo, in vista del rispetto dei limiti previsti dalla norma sanzionatoria, alla condanna emessa in relazione al singolo procedimento per il quale risulta irrogata.
La ricorrente opera un’indebita sovrapposizione fra due diverse vicende, scaturenti da diversi fatti ritenuti avere rilievo sul piano disciplinare, potendosi osservare, al fine di sottolineare l’erroneita’ del ragionamento sostenuto dalla ricorrente come, ove si dovesse necessariamente prendere in esame tutte le eventuali condanne emesse in sede disciplinare, una volta applicata la sanzione della sospensione per mesi sei, ogni ulteriore condotta illecita sul piano disciplinare, e per la quale si reputi del pari congrua la sanzione della sospensione, rimarrebbe insuscettibile di condanna, per essere stato gia’ raggiunto il tetto massimo previsto per la sospensione.
5. Il quinto motivo lamenta la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 221 del 1950, articolo 45 in relazione al principio della celerita’ del procedimento e dell’immediatezza del giudizio disciplinare.
Si deduce che la decisione gravata si e’ limitata a riferire dell’inapplicabilita’ al procedimento in esame delle previsioni di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957, articoli 107 e ss. non avvedendosi che in realta’ la ricorrente aveva si’ richiamato tali norme, ma al fine di ricavare dalle stesse un principio di carattere generale per il quale il procedimento dinanzi alla CCEPS deve svolgersi in maniera sollecita, cosa invece non avvenuta a causa dei ritardi nella definizione del giudizio dinanzi alla Commissione del CDO, dopo l’annullamento della prima decisione in sede di autotutela.
Anche tale motivo deve essere disatteso, in quanto correttamente la decisione gravata ha rilevato come per il giudizio dinanzi alla CCEPS non sia dettata una norma che determini l’invalidita’ della decisione non emessa con celerita’.
A tal fine deve poi rilevarsi che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di procedimento disciplinare a carico degli esercenti le professioni sanitarie, il termine quinquennale di prescrizione, cui e’ soggetta l’azione disciplinare, e’ interrotto con effetto istantaneo dal promovimento dell’azione disciplinare in sede amministrativa, mentre durante lo svolgimento della fase giurisdizionale davanti alla Commissione Centrale si produce, ai sensi dell’articolo 2945 c.c., comma 2, l’effetto permanente dell’interruzione (cfr. da ultimo Cass. n. 23131/2019).
Inoltre, a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 221 del 1950, articolo 51 la previsione di un termine quinquennale di prescrizione, mentre delimita nel tempo l’inizio dell’azione disciplinare, vale anche ad assicurare il rispetto dell’esigenza che il tempo dell’applicazione della sanzione non sia protratto in modo indefinito, perche’ al procedimento amministrativo di applicazione della sanzione e’ da ritenere applicabile non gia’ la regola dell’effetto interruttivo permanente della prescrizione sancito dall’articolo 2945 c.c., comma 2, bensi’ quella dell’interruzione ad effetto istantaneo (Cass. S.U. n. 4909/1997).
Ne consegue che in relazione alla fase amministrativa del procedimento disciplinare per gli esercenti la professione sanitaria, solo il decorso del termine quinquennale di prescrizione, senza che sia intervenuta la relativa decisione, comporta l’estinzione della potesta’ sanzionatoria, il che non risulta essere avvenuto nella fattispecie, atteso che, come si evince dallo stesso ricorso, il promovimento dell’azione disciplinare deve farsi risalire alla data del 30/11/2009 (ricorso pag. 3, punto 3), e la decisione emessa dalla Commissione di disciplina del CDO n. 17/2013 e’ stata depositata in data 18/6/2013, nel rispetto del termine quinquennale di cui al citato articolo 51.
6. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, dovendosi regolare le spese del presente procedimento in base al principio della soccombenza, come da dispositivo che segue.
7. Poiche’ il ricorso e’ rigettato, sussistono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, che ha aggiunto al testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, il comma 1-quater della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali sostenute dall’Ordine Provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Terni, che liquida in complessivi Euro 4.200,00 per compensi, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15% sui compensi ed accessori di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis se dovuto.

 

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