Sentenza  94/2015
Giudizio
Presidente CRISCUOLO – Redattore FRIGO
Camera di Consiglio del 11/02/2015    Decisione  del 11/02/2015
Deposito del 28/05/2015   Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate: Art. 1, c. 198°, 199°, 200°, 201°, 202°, 203°, 204°, 205° e 206°, della legge 24/12/2012, n. 228.
Massime:
Atti decisi: ord. 132/2014

 

SENTENZA N. 94

ANNO 2015

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alessandro CRISCUOLO; Giudici : Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Nicolò ZANON,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi da 198 a 206, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)», promosso dal Tribunale ordinario di Caltanissetta sulla istanza proposta da C.P. ed altri, con ordinanza del 5 marzo 2014, iscritta al n. 132 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Udito nella camera di consiglio dell’11 febbraio 2015 il Giudice relatore Giuseppe Frigo.

Ritenuto in fatto

Con ordinanza del 5 marzo 2014, il Tribunale ordinario di Caltanissetta, sezione misure di prevenzione, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 36 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi da 198 a 206, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)», nella parte in cui non include tra i soggetti legittimati a valersi della speciale procedura di accertamento dei crediti, ivi disciplinata, anche «i creditori privilegiati (ed in particolare i lavoratori dipendenti)».

Il giudice a quo premette di doversi pronunciare sulle istanze di alcuni lavoratori subordinati, intese ad ottenere il pagamento del credito per trattamento di fine rapporto vantato nei confronti di una società a responsabilità limitata, loro datrice di lavoro, le cui quote e il cui intero patrimonio erano stati confiscati, in esito a procedimento di prevenzione, con provvedimento del 23 novembre 2012, divenuto definitivo il 5 febbraio 2013. Tre degli istanti avevano in precedenza adito, al medesimo fine, il Tribunale di Caltanissetta in funzione di giudice del lavoro, il quale si era dichiarato incompetente, ritenendo trattarsi di materia disciplinata dall’art. 52 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136).

Osserva il giudice a quo che il citato art. 52 è, in realtà, inapplicabile nei casi in esame, in quanto la proposta di applicazione della misura di prevenzione è stata, nella specie, formulata il 15 aprile 2011 e, dunque, prima della data di entrata in vigore del d.lgs. n. 159 del 2011 (13 ottobre 2011): sicché, in forza della disposizione transitoria di cui all’art. 117 del medesimo decreto, il procedimento resta regolato dalle norme previgenti.

Emergerebbe, di conseguenza, in relazione alle istanze dei ricorrenti, il problema del difetto di tutela dei creditori privilegiati – e, in particolare, dei titolari di crediti da lavoro dipendente – nelle ipotesi di confisca in esito a procedimento di prevenzione del patrimonio del debitore.

Il Tribunale nisseno si dichiara consapevole del fatto che la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di costituzionalità volta a denunciare l’assenza di strumenti di tutela giurisdizionale che, in caso di confisca a favore dello Stato di beni dell’indiziato mafioso, consentano ai creditori ? per titoli anteriori al procedimento di prevenzione e per la parte di crediti che non trovino capienza sugli altri beni del prevenuto – di conservare sui beni confiscati la garanzia patrimoniale dei loro crediti. La Corte ha, infatti, rilevato che detta questione mirava ad ottenere «una pronuncia additiva cui non corrisponde una soluzione obbligata, ma una pluralità di possibili interventi variamente articolati», la scelta fra i quali restava rimessa alla discrezionalità del legislatore (sentenza n. 190 del 1994).

Ad avviso del giudice a quo, la conclusione andrebbe, tuttavia, riconsiderata alla luce dei successivi, profondi mutamenti del quadro normativo di riferimento.

Nell’assenza di una organica disciplina della materia, la ricerca di uno strumento processuale che consentisse di salvaguardare le ragioni dei creditori, contemperandole con l’interesse pubblico a privare il proposto delle ricchezze illecitamente accumulate, era rimasto, in effetti, per lungo tempo affidato agli sforzi interpretativi della giurisprudenza.

Facendosi carico delle predette esigenze, il legislatore ha peraltro introdotto, con gli artt. 52 e seguenti del d.lgs. n. 159 del 2011, una speciale procedura incidentale volta alla tutela dei creditori in buona fede, applicabile nei procedimenti di prevenzione instaurati dopo l’entrata in vigore del citato decreto legislativo.

L’art. 52 stabilisce, in particolare, che «La confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi che risultano da atti aventi data certa anteriore al sequestro, nonché i diritti reali di garanzia costituiti in epoca anteriore al sequestro», purché ricorrano le seguenti condizioni: «a) che l’escussione del restante patrimonio del proposto sia risultata insufficiente al soddisfacimento del credito, salvo per i crediti assistiti da cause legittime di prelazione sui beni sequestrati; b) che il credito non sia strumentale all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, a meno che il creditore dimostri di aver ignorato in buona fede il nesso di strumentalità; c) nel caso di promessa di pagamento o di ricognizione di debito, che sia provato il rapporto fondamentale; d) nel caso di titoli di credito, che il portatore provi il rapporto fondamentale e quello che ne legittima il possesso».

Con riguardo ai procedimenti già pendenti alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 159 del 2011, l’art. 1, comma 198, della legge n. 228 del 2012 ha successivamente previsto che i creditori muniti di ipoteca iscritta prima della trascrizione del sequestro di prevenzione «sono soddisfatti nei limiti e con le modalità di cui ai commi da 194 a 206», e che nello stesso modo sono soddisfatti i creditori che abbiano trascritto un pignoramento anteriormente alla trascrizione del sequestro o che siano intervenuti nell’esecuzione iniziata con detto pignoramento prima dell’entrata in vigore della legge n. 228 del 2012.

A tal fine, i suddetti creditori debbono proporre, entro i termini perentori indicati, domanda di ammissione del credito, ai sensi dell’art. 58, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011, al giudice dell’esecuzione presso il tribunale che ha disposto la confisca, il quale – accertata la sussistenza e l’ammontare del credito, nonché la sussistenza delle condizioni di cui all’art. 52 del d.lgs. n. 159 del 2011 – lo ammette al pagamento, dandone immediata comunicazione all’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (art. 1, commi 199 e 200, della legge n. 228 del 2012).

Pur ampliando il novero dei soggetti «legittimati all’azione» (in precedenza individuati nei soli titolari di diritti reali di garanzia), l’art. 1, comma 198, della legge n. 228 del 2012 non ricomprende, tuttavia, tra essi – diversamente da quanto avviene per i procedimenti iniziati nel vigore del d.lgs. n. 159 del 2011 – i creditori privilegiati e, segnatamente, i titolari di crediti da lavoro dipendente che non siano anche ipotecari, pignoranti o intervenuti nell’esecuzione. Rispetto a tali creditori si potrebbe fare ricorso, quindi, unicamente alla normativa di cui agli artt. 2-ter e seguenti della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere): normativa che, peraltro, non regolando compiutamente i rapporti tra lo Stato e i terzi nel caso di confisca, non offrirebbe adeguati strumenti di tutela.

Per questo verso, i commi da 198 a 206 dell’art. 1 della legge n. 228 del 2012 si porrebbero – a parere del giudice a quo – in contrasto con l’art. 3 Cost., sottoponendo ad un diverso trattamento posizioni creditorie identiche, in ragione della mera variabile temporale rappresentata dal momento di avvio del procedimento di prevenzione. La rilevata disparità di trattamento apparirebbe irragionevole anche alla luce della considerazione che, ai sensi dell’art. 2745 del codice civile, il privilegio è accordato dalla legge a crediti reputati meritevoli di maggiore tutela, per la loro rilevanza sociale e giuridica: considerazione valevole tanto più in rapporto ai crediti da lavoro dipendente, relativamente ai quali la Corte costituzionale ha già reputato ingiustificata la disparità di trattamento rispetto ai crediti ipotecari, insita nella previsione dell’art. 54, terzo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa) (sentenza n. 204 del 1989).

La sperequazione denunciata comporterebbe, inoltre, un vulnus del diritto di difesa dei creditori privilegiati, ai quali non verrebbe offerta «alcuna possibilità di dimostrare il proprio affidamento incolpevole nella regolarità del rapporto di lavoro»: con conseguente creazione di un ostacolo all’effettivo accesso alla tutela giurisdizionale, contrastante con la garanzia prevista dall’art. 24 Cost.

Sarebbe violato, infine, l’art. 36 Cost., che garantisce inderogabilmente al lavoratore una retribuzione proporzionata al lavoro svolto e sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa: precetto riferibile anche al trattamento di fine rapporto, in quanto avente natura di retribuzione differita. La mancata estensione della «procedura di riconoscimento» anche al lavoratore che vanti un credito per tale titolo comporterebbe, quindi, nel caso di confisca dell’azienda del datore di lavoro, una grave lesione del diritto alla retribuzione già maturato: lesione che, stante la rilevanza costituzionale del diritto stesso, non potrebbe essere giustificata dalle finalità di sicurezza pubblica sottese alla misura di prevenzione patrimoniale.

La questione risulterebbe, altresì, rilevante nel giudizio a quo, giacché il suo accoglimento consentirebbe al rimettente «di attivare il procedimento disciplinato dalla L. n. 228/2012 per la tutela dei suesposti diritti di credito».

Considerato in diritto

1.? Il Tribunale ordinario di Caltanissetta, sezione misure di prevenzione, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 1, commi da 198 a 206, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)», nella parte in cui – nei casi di confisca disposta all’esito di procedimenti di prevenzione per i quali non si applica la disciplina dettata dal Libro I del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136) – non include tra i soggetti legittimati a proporre domanda di ammissione del credito, ai sensi dell’art. 58, comma 2, del medesimo decreto legislativo, anche «i creditori privilegiati (ed in particolare i lavoratori dipendenti)».

Ad avviso del Tribunale rimettente, le disposizioni censurate violerebbero l’art. 3 della Costituzione, determinando una irragionevole disparità di trattamento di situazioni analoghe, in correlazione alla mera variabile temporale rappresentata dalla data di inizio del procedimento di prevenzione. Nei procedimenti instaurati dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 159 del 2011 trovano, infatti, applicazione le disposizioni di cui agli artt. 52 e seguenti del suddetto decreto legislativo, che apprestano «un organico sistema di tutela delle ragioni di tutti i creditori, compresi i privilegiati, e segnatamente i lavoratori dipendenti».

Non consentendo a detti creditori di dimostrare «il proprio affidamento incolpevole nella regolarità del rapporto di lavoro», le norme censurate creerebbero, altresì, un ostacolo all’effettivo accesso alla tutela giurisdizionale, in contrasto con l’art. 24 Cost.

Sarebbe violato, infine, l’art. 36 Cost., giacché la mancata estensione della procedura di accertamento anche ai titolari di crediti da lavoro dipendente comporterebbe, nel caso di confisca dell’azienda del datore di lavoro, una grave lesione del diritto alla retribuzione, non giustificabile alla luce delle finalità di sicurezza pubblica sottese alla misura di prevenzione patrimoniale.

2.– In via preliminare, va rilevato come il giudice a quo, tanto nel dispositivo che nella motivazione dell’ordinanza di rimessione, identifichi i beneficiari dell’invocata pronuncia additiva nei «creditori privilegiati» e, «in particolare», nei «lavoratori dipendenti»: locuzione che potrebbe far pensare alla proposizione di due distinte questioni di legittimità costituzionale, in rapporto di subordinazione tra loro (la prima più ampia, riferita al genus dei creditori privilegiati; la seconda più ristretta, concernente la species dei titolari di crediti privilegiati da lavoro subordinato).

In fatto, tuttavia, le censure sottoposte all’esame di questa Corte risultano calibrate in modo specifico sulla posizione dei titolari di crediti da lavoro. Solo a questi ultimi è riferibile, in effetti, l’evocata garanzia costituzionale del diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata e sufficiente (art. 36 Cost.). Ma anche la violazione dei restanti parametri costituzionali (artt. 3 e 24 Cost.) è dedotta dal Tribunale rimettente con argomenti “ritagliati” sulla predetta figura soggettiva: rispettivamente, il richiamo alla sentenza n. 204 del 1989 di questa Corte (concernente il trattamento dei crediti privilegiati da lavoro nel fallimento) e l’asserito impedimento posto dalle norme censurate alla dimostrazione dell’«affidamento incolpevole [del creditore] nella regolarità del rapporto di lavoro».

Se ne deve dedurre che l’oggetto della questione è in realtà unitario, rimanendo circoscritto, nella prospettiva del rimettente, a quanto segue alla locuzione «in particolare», ossia ai crediti da lavoro dipendente: e ciò in assonanza con l’oggetto del giudizio principale, concernente istanze di lavoratori subordinati intese a conseguire il pagamento di crediti per trattamento di fine rapporto.

3.– Tanto puntualizzato, in riferimento all’art. 36 Cost. la questione è fondata, nei termini di seguito specificati.

Il dubbio di costituzionalità prospettato dal rimettente evoca la complessa problematica relativa alla tutela dei terzi creditori di fronte alle misure di prevenzione patrimoniali (sequestro e successiva confisca): misure introdotte nell’ordinamento, con riferimento alle persone indiziate di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso, dalla legge 13 settembre 1982, n. 646 (Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazioni alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423, 10 febbraio 1962, n. 57 e 31 maggio 1965, n. 575. Istituzione di una commissione parlamentare sul fenomeno della mafia), tramite l’aggiunta degli artt. 2-ter e seguenti alla legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere), al precipuo fine di sottrarre alle organizzazioni criminali le risorse materiali necessarie per la loro esistenza e le ricchezze da esse illecitamente accumulate.

Nella sua versione originaria, l’art. 2-ter della legge n. 575 del 1965 si limitava a prevedere, al quinto comma, una forma di tutela interna al procedimento di prevenzione a favore dei terzi cui risultassero appartenere i beni sequestrati. Costoro dovevano essere chiamati dal tribunale ad intervenire nel procedimento, nell’ambito del quale potevano svolgere, anche con l’assistenza di un difensore, le loro deduzioni e chiedere l’acquisizione di ogni elemento utile ai fini della decisione sulla confisca.

Nessun riferimento era, per converso, operato ai terzi creditori, pure suscettibili di essere pregiudicati dalla confisca, in quanto depauperativa della garanzia, generica o specifica, offerta dal patrimonio del proposto, e pertanto esposti al rischio di veder sfumare, a seguito di essa, le loro aspettative di soddisfacimento.

In tale cornice normativa, l’assenza di strumenti di tutela giurisdizionale che consentissero ai creditori – per titoli anteriori al procedimento di prevenzione e per la parte di crediti che non trovasse capienza sugli altri beni dell’indiziato mafioso – di soddisfarsi sui beni assoggettati a confisca, formò oggetto di denuncia a questa Corte, in riferimento agli artt. 24, primo comma, 25, terzo comma, e 27, primo comma, Cost. La questione fu dichiarata, tuttavia, inammissibile, in quanto diretta a conseguire un intervento di tipo additivo eccedente i limiti del sindacato di legittimità costituzionale. Si rilevò, infatti, che il risultato auspicato sarebbe stato realizzabile, non tramite un’unica soluzione obbligata, ma attraverso una pluralità di possibili interventi variamente articolati, tanto sul piano processuale (con la previsione di meccanismi di tutela interni o esterni al procedimento di prevenzione) che su quello sostanziale (essendo ipotizzabili varie forme di inopponibilità o inefficacia della confisca rispetto ai creditori e differenti configurazioni del «fatto giuridico» da contrapporre ad essa). Con la conseguenza che il conseguimento dell’obiettivo avrebbe implicato scelte discrezionali, rimesse in via esclusiva al legislatore (sentenza n. 190 del 1994).

Nella perdurante assenza di interventi legislativi sul punto, il compito di individuare possibili meccanismi di salvaguardia dei creditori rimase quindi affidato, in via interpretativa, alla giurisprudenza ordinaria. In un panorama ermeneutico pure solcato da significative divergenze di opinioni, emerse comunque la tendenza a limitare la tutela ai crediti assistiti da diritti reali di garanzia sui beni oggetto del provvedimento ablativo: diritti ritenuti insensibili alla confisca, a condizione che risultassero iscritti o comunque costituiti in data certa anteriore al sequestro, e sempre che il loro titolare dimostrasse la sua buona fede e l’affidamento incolpevole, inteso come mancanza di collegamento del proprio diritto con l’attività illecita del proposto. A detti creditori la giurisprudenza riconobbe, in qualche caso, la legittimazione ad intervenire nel procedimento di prevenzione, sulla base di una lettura ampia del concetto di «appartenenza» dei beni, richiamato dall’art. 2-ter, quinto comma, della legge n. 575 del 1965; più spesso, e comunque, la possibilità di far valere le loro ragioni sui beni attinti dal provvedimento ablativo tramite la proposizione di un incidente di esecuzione. Tale indirizzo trovò una successiva eco normativa con il decreto-legge 4 febbraio 2010, n. 4 (Istituzione dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata), convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2010, n. 50, che estese espressamente ai titolari di diritti reali di garanzia (oltre che ai titolari di diritti reali di godimento o di quote indivise) sui beni immobili sequestrati la facoltà di intervenire nel procedimento di prevenzione, esigendo, al tempo stesso, la prova «della loro buona fede e dell’inconsapevole affidamento» nell’acquisizione di detti diritti.

Nessuna facoltà di intervento nel procedimento, o altra forma di tutela sui beni confiscati, era in genere riconosciuta, di contro, ai rimanenti creditori, chirografari e privilegiati. In caso di inadempimento, non rimaneva, dunque, a costoro che azionare il loro diritto nei confronti del soggetto passivo del rapporto obbligatorio, ma senza la possibilità di coinvolgere nell’azione esecutiva i cespiti ormai trasferiti allo Stato per effetto della confisca: e ciò neppure nel caso in cui il patrimonio residuo del proposto risultasse incapiente.

Nell’ipotesi in cui, tuttavia, la confisca investisse, non già singoli beni, ma un’azienda, parte della giurisprudenza riteneva applicabile – a salvaguardia dei creditori non assistiti da garanzie reali – la disciplina civilistica relativa alla responsabilità dell’acquirente per i debiti relativi all’azienda ceduta, di cui all’art. 2560, secondo comma, del codice civile. Sul piano operativo, si registravano, inoltre, prassi di pagamento in via transattiva di quote dei debiti aziendali pregressi da parte dell’amministratore giudiziario dei beni colpiti dalle misure, nell’ottica di evitare l’immediata paralisi dell’attività imprenditoriale conseguente all’interruzione traumatica dei rapporti con i fornitori e con gli altri creditori.

4.– Il panorama ora tratteggiato è stato profondamente innovato dal d.lgs. n. 159 del 2011, che – in attuazione dei criteri di delega dettati dalla legge 13 agosto 2010, n. 136 (Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia) e recependo suggerimenti da più parti formulati – ha introdotto un sistema organico di tutela esteso alla generalità dei creditori del proposto, imperniato su un procedimento incidentale di verifica dei crediti in contraddittorio e sulla successiva formazione di un «piano di pagamento», secondo cadenze mutuate in larga misura dai corrispondenti istituti previsti dalla legge fallimentare.

L’art. 52, comma 1, del d.lgs. n. 159 del 2011 stabilisce, in specie, che «La confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi che risultano da atti aventi data certa anteriore al sequestro, nonché i diritti reali di garanzia costituiti in epoca anteriore al sequestro», purché sussistano tre distinte condizioni. In primo luogo, «l’escussione del restante patrimonio del proposto» deve essere «risultata insufficiente al soddisfacimento del credito, salvo per i crediti assistiti da cause legittime di prelazione sui beni sequestrati» (lettera a). In secondo luogo, non deve trattarsi di un credito «strumentale all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, a meno che il creditore dimostri di avere ignorato in buona fede il nesso di strumentalità» (lettera b): buona fede da valutare alla luce dei parametri indicati nel comma 3 dello stesso art. 52. In terzo luogo e da ultimo, nel caso in cui il titolo genetico o rappresentativo del credito sia astratto (promessa di pagamento o ricognizione di debito, titoli di credito), l’interessato deve provare il rapporto fondamentale, nonché, nel caso del portatore di titoli di credito, quello che ne legittima il possesso (lettere c e d).

L’art. 55 del d.lgs. n. 159 del 2011 vieta, in ogni caso, di iniziare o proseguire azioni esecutive sui beni sequestrati, stabilendo, altresì, che in caso di confisca definitiva le esecuzioni si estinguono. Al fine di conseguire il soddisfacimento del loro diritto, i creditori legittimati devono presentare al giudice «domanda di ammissione» del loro credito nei termini e con le modalità indicate dall’art. 58. Le domande formano oggetto di verifica in contraddittorio, all’esito della quale si procede alla formazione dello stato passivo della procedura (art. 59).

I crediti ammessi sono quindi soddisfatti dallo Stato, sulla base di apposito piano di pagamento (art. 61), nel limite del settanta per cento del valore dei beni sequestrati o confiscati, risultante dalla stima redatta dall’amministratore o dalla minor somma eventualmente ricavata dalla vendita degli stessi (art. 53): percentuale successivamente ridotta al sessanta per cento dall’art. 1, comma 443, lettera b), della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)».

Come appare evidente, la disciplina ora ricordata rappresenta il frutto del bilanciamento legislativo tra i due interessi che in materia si contrappongono: da un lato, l’interesse dei creditori del proposto a non veder improvvisamente svanire la garanzia patrimoniale sulla cui base avevano concesso credito o effettuato prestazioni; dall’altro, l’interesse pubblico ad assicurare l’effettività della misura di prevenzione patrimoniale e il raggiungimento delle sue finalità, consistenti nel privare il destinatario dei risultati economici dell’attività illecita.

In particolare, i requisiti di legittimazione stabiliti dall’art. 52 del d.lgs. n. 159 del 2011 rivelano come il legislatore abbia inteso, per un verso, escludere dalla tutela i crediti scaturiti da prestazioni connesse all’attività illecita o a quella di reimpiego dei suoi proventi (requisito della non strumentalità del credito rispetto a quest’ultima, salva la dimostrazione dell’incolpevole ignoranza di tale nesso da parte del creditore); per altro verso, evitare che il proposto possa eludere gli effetti della confisca precostituendo delle posizioni creditorie di comodo o simulandone a posteriori l’esistenza (requisiti della “non astrattezza” del credito e della sua sicura anteriorità rispetto al sequestro); per altro verso ancora, impedire che la persona sottoposta al procedimento di prevenzione possa comunque giovarsi dei proventi delle attività illecite per “liberare” dai debiti il restante patrimonio personale (requisito della preventiva infruttuosa escussione degli altri beni del proposto).

5.– La disciplina ora ricordata opera, tuttavia, solo in rapporto ai procedimenti di prevenzione instaurati dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 159 del 2011 (13 ottobre 2011). L’art. 117, comma 1, del citato decreto legislativo stabilisce, infatti, che le disposizioni contenute nel Libro I – tra le quali sono comprese quelle degli artt. 52 e seguenti – non si applicano nei procedimenti nei quali, alla predetta data, «sia già stata formulata proposta di applicazione della misura di prevenzione», soggiungendo che «In tali casi, continuano ad applicarsi le norme previgenti».

Successivamente, peraltro, il legislatore ha ritenuto di dover dettare, con l’art. 1, commi da 194 a 206, della legge n. 228 del 2012, una specifica disciplina della materia anche per i procedimenti di prevenzione sottratti all’applicazione delle disposizioni del Libro I del d.lgs. n. 159 del 2011, in quanto già pendenti al momento dell’entrata in vigore di quest’ultimo: disciplina transitoria sulla quale verte l’odierno scrutinio di costituzionalità.

In parallelo al disposto dell’art. 55 del d.lgs. n. 159 del 2011, si prevede, in particolare, che a decorrere dalla data di entrata in vigore della citata legge n. 228 del 2012 (1° gennaio 2013) non possono essere iniziate o proseguite, a pena di nullità, azioni esecutive sui beni confiscati e che «gli oneri e pesi iscritti o trascritti» su detti beni anteriormente alla confisca «sono estinti di diritto» (commi 194 e 197 dell’art. 1 della legge n. 228 del 2012): ciò, fatta eccezione per i casi in cui il bene risulti già trasferito o aggiudicato, anche in via provvisoria, alla predetta data, o sia costituito da una quota indivisa già pignorata (comma 195).

In correlazione a tali previsioni, si prefigura, quindi, anche in questo caso, un meccanismo di tutela basato su un procedimento incidentale di verifica dei crediti e sulla predisposizione di un piano di pagamento dei creditori ammessi, secondo modalità distinte e semplificate rispetto a quelle delineate dalla normativa “a regime” (commi da 199 a 206): ma con una discrepanza di fondo, quanto ai destinatari della tutela.

Questi ultimi sono, infatti, identificati nei soli creditori muniti di ipoteca iscritta anteriormente al sequestro di prevenzione, nonché nei creditori che, prima della trascrizione del sequestro, abbiano trascritto un pignoramento sul bene, ovvero che, alla data di entrata in vigore della legge n. 228 del 2012, siano intervenuti nell’esecuzione iniziata con il predetto pignoramento (art. 1, comma 198). Solo costoro sono legittimati a proporre – entro i termini perentori normativamente indicati (centottanta giorni dall’entrata in vigore della legge o dal successivo momento in cui la confisca è divenuta definitiva: commi 198 e 205) – domanda di ammissione del credito, ai sensi dell’art. 58, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011, «al giudice dell’esecuzione presso il tribunale che ha disposto la confisca» (e cioè, secondo la corrente lettura, allo stesso tribunale che ha adottato il provvedimento ablativo): domanda che, in caso di positivo scrutinio – esteso anche alla verifica delle condizioni di cui all’art. 52 del d.lgs. n. 159 del 2011 e condotto con l’applicazione delle disposizioni sul procedimento di esecuzione (comma 200 dell’art. 1 della legge n. 228 del 2012) – consente ai creditori ammessi di conseguire il pagamento del loro credito.

Al pagamento – effettuato tramite la liquidazione di beni dal valore di mercato complessivo non inferiore al doppio dell’ammontare dei crediti ammessi (comma 201) – si procede sulla base del piano formato dall’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (piano suscettibile di opposizione da parte dei creditori). Anche nel frangente, è stabilito un limite alla garanzia patrimoniale, non potendo il piano «prevedere pagamenti complessivi superiori al minor importo tra il 70 per cento del valore del bene e il ricavato dall’eventuale liquidazione dello stesso» (comma 203).

6.– In sostanza, dunque, mentre per i procedimenti di prevenzione iniziati successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 159 del 2011 la legittimazione ad avvalersi della speciale procedura incidentale di verifica è estesa a tutti i creditori – siano essi chirografari, privilegiati o titolari di diritti di garanzia reale – per i procedimenti pendenti (quale quello cui si riferisce il giudizio a quo) la legittimazione è circoscritta ai soli creditori ipotecari, pignoranti o intervenuti nell’esecuzione (i secondi e i terzi, peraltro, indipendentemente dal rango del loro credito e, quindi, anche se chirografari).

Restano esclusi, in tal modo, dalla tutela i crediti dei prestatori di lavoro subordinato, che non siano ipotecari, pignoranti o intervenuti nell’esecuzione, ma comunque assistiti da privilegio generale sui beni mobili, ai sensi dell’art. 2751-bis, numero 1), cod. civ., e con diritto alla collocazione sussidiaria sul prezzo degli immobili, ai sensi dell’art. 2776 cod. civ. Per questo verso, la disciplina in esame si pone, tuttavia, in contrasto con l’art. 36 Cost., in quanto idonea a pregiudicare il diritto, riconosciuto al lavoratore dal primo comma della citata norma costituzionale, «ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa».

Stante il generale divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive sui beni confiscati, enunciato dall’art. 1, comma 194, della legge n. 228 del 2012, la misura patrimoniale rischia, infatti, di privare ex abrupto il lavoratore della possibilità di agire utilmente in executivis per il pagamento delle proprie spettanze. Ciò avviene segnatamente allorché la confisca renda i residui beni del debitore insufficienti a soddisfare le sue ragioni, e massimamente nell’ipotesi di confisca “totalizzante”, la quale investa, cioè – come nel caso oggetto del giudizio a quo – l’intero patrimonio del datore di lavoro (nella specie, una società di capitali nella quale erano stati convogliati i proventi dell’attività illecita). In simili evenienze, il lavoratore perde, in pratica, ogni prospettiva di ottenere il pagamento dei propri crediti tanto dal debitore (che non ha più mezzi), quanto dallo Stato, cui sono devoluti i beni confiscati: sicché la sua tutela resta affidata al solo eventuale intervento sostitutivo del Fondo di garanzia istituito presso l’Istituto nazionale della previdenza sociale, ai sensi dell’art. 2 della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica), subordinato, peraltro, a particolari presupposti e circoscritto, comunque, ad una limitata porzione dei crediti derivanti dal rapporto di lavoro subordinato.

La disciplina di cui ai commi 198 e seguenti dell’art. 1 della legge n. 228 del 2012 assume, in effetti, una chiara valenza ad excludendum, rispetto a pagamenti da parte degli organi di gestione dei beni confiscati in favore di creditori diversi da quelli ivi considerati. Non è, infatti, pensabile che creditori particolarmente qualificati – quali, in specie, gli ipotecari, muniti di diritto reale di garanzia – possano conseguire il pagamento dei loro crediti solo alle rigorose condizioni, anche procedimentali, ed entro i limiti quantitativi stabiliti dalle predette disposizioni, mentre creditori di diverso tipo possano essere liberamente soddisfatti tramite i beni assoggettati al provvedimento ablativo.

7.– La disciplina censurata non può essere, d’altra parte, giustificata in una prospettiva di bilanciamento con l’interesse sotteso alle misure di prevenzione patrimoniali, ricollegabile ad esigenze di ordine e sicurezza pubblica anch’esse costituzionalmente rilevanti.

Nella specie, in effetti, non di bilanciamento si tratta, «ma di un sacrificio puro e semplice» dell’interesse contrapposto (sentenza n. 317 del 2009). Il bilanciamento – come detto – è quello espresso, nell’ambito della normativa “a regime”, dalle previsioni limitative recate dall’art. 52 del d.lgs. n. 159 del 2011, volte ad impedire che la tutela si estenda a soggetti lato sensu “conniventi” con l’attività illecita del proposto o di reimpiego dei suoi proventi, o a crediti simulati o artificiosamente creati, ovvero ancora a casi nei quali è possibile aggredire utilmente il residuo patrimonio del debitore: previsioni peraltro valevoli – in virtù dello specifico richiamo operato dall’art. 1, comma 200, primo periodo, della legge n. 228 del 2012 (da ritenere comprensivo del requisito della certa anteriorità del credito rispetto al sequestro) – anche nell’ambito della disciplina transitoria relativa ai procedimenti di prevenzione pendenti, che qui interessa.

In quest’ottica, la mancata inclusione dei titolari di crediti da lavoro subordinato tra i soggetti abilitati ad avvalersi della procedura in questione si rivela, dunque, priva di giustificazione adeguata sul piano costituzionale.

Nelle notazioni che precedono è, d’altra parte, già insita l’insussistenza, nell’attuale cornice normativa, dell’impedimento ad un intervento di questa Corte in materia, precedentemente rilevato dalla sentenza n. 190 del 1994. Il legislatore ha già provveduto, infatti, a delineare, tanto sul piano sostanziale che su quello processuale, un meccanismo di salvaguardia dei creditori di fronte ai provvedimenti di confisca. La Corte non è, pertanto, chiamata oggi ad operare alcuna scelta discrezionale tra un ventaglio di possibili soluzioni alternative – operazione che esorbiterebbe dai limiti del proprio potere decisorio – ma soltanto ad implementare, nei sensi imposti dall’art. 36 Cost., il catalogo dei creditori che possono valersi di quel meccanismo.

8.– Al fine di rimuovere il vulnus riscontrato non è, peraltro, necessario coinvolgere nella declaratoria di illegittimità costituzionale – come chiede il rimettente – tutte le disposizioni di cui ai commi da 198 a 206 dell’art. 1 della legge n. 228 del 2012. È sufficiente, per converso, incidere sul comma 198, trattandosi della previsione normativa che regge quelle dei commi successivi, identificando i creditori cui esse si riferiscono.

Il citato comma 198 dell’art. 1 della legge n. 228 del 2012 va dichiarato, quindi, costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non include tra i creditori che sono soddisfatti nei limiti e con le modalità ivi indicati anche i titolari di crediti da lavoro subordinato.

9.– Le censure relative agli artt. 3 e 24 Cost. restano assorbite.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 198, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)», nella parte in cui non include tra i creditori che sono soddisfatti nei limiti e con le modalità ivi indicati anche i titolari di crediti da lavoro subordinato.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 febbraio 2015.

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Giuseppe FRIGO, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 28 maggio 2015.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Gabriella Paola MELATTI

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