Corte di Cassazione, sezione prima civile, Sentenza 11 giugno 2019, n. 15712.
La massima estrapolata:
Il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notificazione, di copia della decisione impugnata priva della certificazione di conformità all’originale non determina l’improcedibilità del ricorso per cassazione ove il ricorrente produca la predetta certificazione con la nota di deposito ex art. 372 c.p.c.
Sentenza 11 giugno 2019, n. 15712
Data udienza 14 marzo 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente
Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere
Dott. SCALIA Laura – Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 1093/2017 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Garante per la Protezione dei Dati Personali, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 10631/2016 del TRIBUNALE di ROMA, pubblicata il 25/05/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/03/2019 dal cons. DI MARZIO MAURO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale DE RENZIS Luisa, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, in subordine rimessione alla rimessione alla Corte Europea di Giustizia;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto l’accoglimento.
FATTI DI CAUSA
1. – Con sentenza del 25 maggio 2016 il Tribunale di Roma ha respinto il ricorso proposto da (OMISSIS) nei confronti del Garante per la protezione di dati personali e della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense contro il provvedimento con cui lo stesso Garante aveva dichiarato non luogo a provvedere su un ricorso ivi proposto dallo stesso (OMISSIS), compensando in parte le spese di lite e ponendole a carico della Cassa per il solo ammontare di Euro 150,00.
Il Tribunale, a fronte del ricorso con cui il (OMISSIS) aveva censurato la compensazione delle spese, ha osservato che la disposizione dettata dall’articolo 92 c.p.c. non trova applicazione nei procedimenti destinati a svolgersi dinanzi al Garante, come si desume dalla stessa lettera dell’articolo 149, comma 2, del codice della privacy, che fa riferimento alla possibilita’ di una compensazione delle spese per giusti motivi (valutazione in se’ difficilmente sindacabile), evenienza invece esclusa nel processo civile, sulla base del testo vigente del citato articolo 92.
2. – Per la cassazione della sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso affidato ad un motivo ed ha depositato documenti e prodotto memoria.
Il Garante per la protezione di dati personali ha resistito con controricorso.
La Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense non ha spiegato difese.
3. – Il ricorso, avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c., sulla base della proposta del relatore di dichiarazione di improcedibilita’ per mancato deposito della copia autentica della sentenza impugnata, e’ stato rimesso poi alla pubblica udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il ricorso denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’articolo 92 c.p.c., del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 149, comma 2, e della L. n. 241 del 1990, articolo 3, censurando la sentenza impugnata per aver omesso di considerare che il Garante non aveva indicato quali fossero i giusti motivi tali da legittimare la disposta parziale compensazione.
2. – Il ricorso, diversamente da quanto gia’ indicato nella proposta del relatore a seguito della quale era stata fissata udienza camerale di cui all’articolo 380 bis c.p.c., non e’ improcedibile, pur avendo il ricorrente violato la previsione dell’articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 2, in forza del quale, insieme col ricorso, deve essere depositata a pena di improcedibilita’ copia autentica della sentenza impugnata, mentre, nel caso in esame, il deposito ha avuto ad oggetto una stampa della sentenza mancante della prescritta certificazione di conformita’, sia ad opera del cancelliere, sia ad opera del difensore in applicazione del Decreto Legge n. 179 del 2012, articolo 16-bis, comma 9-bis convertito con modificazioni nella L. n. 221 del 2012 (introdotto dal Decreto Legge 24 giugno 2014, n. 90, articolo 52, comma 1, lettera a), convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 114).
Tale ultima certificazione il ricorrente ha ritenuto di depositare soltanto con la nota di deposito ex articolo 372 c.p.c. in vista dell’udienza del 5 luglio 2018.
Nondimeno, ritiene il Collegio che, anche con riguardo alla sentenza impugnata debba farsi applicazione del principio gia’ affermato dalle Sezioni Unite, secondo cui: “Il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo PEC, senza attestazione di conformita’ del difensore ex articolo 9, commi 1 bis e 1 ter, della L. n. 53 del 1994 o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta l’improcedibilita’ ove il controricorrente (anche tardivamente costituitosi) depositi copia analogica del ricorso ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformita’ della copia informale all’originale notificatogli Decreto Legislativo n. 82 del 2005, ex articolo 23, comma 2. Viceversa, ove il destinatario della notificazione a mezzo PEC del ricorso nativo digitale rimanga solo intimato (cosi’ come nel caso in cui non tutti i destinatari della notifica depositino controricorso) ovvero disconosca la conformita’ all’originale della copia analogica non autenticata del ricorso tempestivamente depositata, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilita’ sara’ onere del ricorrente depositare l’asseverazione di conformita’ all’originale della copia analogica sino all’udienza di discussione o all’adunanza in camera di consiglio” (Cass., Sez. Un., 24 settembre 2018, n. 22438).
Sicche’ e’ parimenti da ritenere che possa essere depositata nei predetti termini la certificazione di conformita’ del provvedimento impungato (in effetti v. poi Cass., Sez. Un., 25 marzo 2019, n. 8312).
3. – Il ricorso e’ infondato, corretta come segue la motivazione posta dal Tribunale a sostegno della decisione.
Vale anzitutto osservare che il ricorrente non ha richiamato a proposito l’articolo 92 c.p.c., che non trova nella specie applicazione, giacche’ il Garante ha provveduto sulle spese in applicazione non di detta norma – la quale piu’ non contempla la compensazione sic et simpliciter per giusti motivi fin da quando la L. 28 dicembre 2005, n. 263, articolo 2, comma 1, lettera a), ha stabilito che i “giusti motivi” dovessero essere “esplicitamente indicati nella motivazione” -, bensi’ del Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, articolo 152, oggi abrogato dal Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 101, articolo 15, comma 1, lettera c), n. 1), il quale stabiliva che: “In caso di adesione spontanea e’ dichiarato non luogo a provvedere. Se il ricorrente lo richiede, e’ determinato in misura forfettaria l’ammontare delle spese e dei diritti inerenti al ricorso, posti a carico della controparte o compensati per giusti motivi anche parzialmente”.
Avuto riguardo alla formulazione letterale del citato articolo 152, laddove si riferisce alla compensazione per “giusti motivi”, senza ulteriore specificazione, merita allora rammentare l’evoluzione giurisprudenziale manifestatasi con riguardo alla nozione di “giusti motivi” accolta illo tempore dall’articolo 92 c.p.c., nel testo antecedente alla novella di cui si e’ detto ed a quelle successive che hanno condotto all’attuale testo della disposizione – peraltro emendato da Corte Cost. 19 aprile 2018, n. 77 -, che consente la compensazione “nel caso di assoluta novita’ della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti”.
Ebbene, l’interpretazione giurisprudenziale della norma riconosceva originariamente al giudice un amplissimo ed insindacabile potere discrezionale: e cio’ stava a significare che egli, nel disporre la compensazione per giusti motivi, non era sottoposto a nessun obbligo di motivazione, sicche’ neppure era tenuto ad indicare quali fossero i motivi giustificativi adottati a fondamento della compensazione. L’esigenza di evitare che la discrezionalita’ potesse sconfinare nell’arbitrio aveva poi indotto parte della giurisprudenza ad ammettere la sindacabilita’ della statuizione sulle spese quando il giudice avesse esplicitato i giusti motivi di compensazione ed essi fossero risultati illogici od incongrui. In seguito, l’atteggiamento della giurisprudenza e’ mutato. Questa Corte e’ giunta cosi’ ad affermare che solo il diniego di compensazione puo’ non essere motivato: viceversa, l’esercizio del potere di compensazione, per non risolversi in mero arbitrio, deve essere necessariamente motivato, nel senso che le ragioni in base alle quali il giudice abbia accertato e valutato la sussistenza dei presupposti di legge devono emergere, se non da una motivazione esplicitamente “specifica”, quantomeno da quella complessivamente adottata a fondamento dell’intera pronuncia, cui la decisione di compensazione delle spese accede.
Questo il principio: “Nel regime anteriore a quello introdotto dal L. 28 dicembre 2005, n. 263, articolo 2, comma 1, lettera a), il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese “per giusti motivi” deve trovare un adeguato supporto motivazionale, anche se, a tal fine, non e’ necessaria l’adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento purche’, tuttavia, le ragioni giustificatrici dello stesso siano chiaramente e inequivocamente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito (o di rito). Ne consegue che deve ritenersi assolto l’obbligo del giudice anche allorche’ le argomentazioni svolte per la statuizione di merito (o di rito) contengano in se’ considerazioni giuridiche o di fatto idonee a giustificare la regolazione delle spese adottata, come – a titolo meramente esemplificativo – nel caso in cui si da’ atto, nella motivazione del provvedimento, di oscillazioni giurisprudenziali sulla questione decisiva, ovvero di oggettive difficolta’ di accertamenti in fatto, idonee a incidere sulla esatta conoscibilita’ a priori delle rispettive ragioni delle parti, o di una palese sproporzione tra l’interesse concreto realizzato dalla parte vittoriosa e il costo delle attivita’ processuali richieste, ovvero, ancora, di un comportamento processuale ingiustificatamente restio a proposte conciliative plausibili in relazione alle concrete risultanze processuali” (Cass., Sez. Un., 30 luglio 2008, n. 20598).
Nel caso di specie il garante ha osservato che il titolare del trattamento aveva “fornito idoneo riscontro alle richieste del ricorrente, seppur solo nel corso del procedimento”, il che rende del tutto manifesto come la parziale compensazione sia stata disposta in ragione della condotta processuale della Cassa, adesiva alla domanda spiegata, sicche’, come riconosce lo stesso ricorrente a pagina 4 del ricorso, la liquidazione e’ stata effettuata “solo dell’importo documentato, quindi solo Euro 150,00, pari ai diritti di segreteria versati dal ricorrente con la presentazione del ricorso al Garante”.
E dunque la motivazione complessiva del provvedimento rende manifesta la ragione della disposta compensazione.
E’ assorbita la censura concernente la violazione della L. n. 241 del 1990, articolo 3.
Resta da dire che non vanno esaminate le istanze di rinvio pregiudiziale svolte dal ricorrente nella memoria del 28 giugno 2018, giacche’ svolte sul presupposto della trattazione camerate del ricorso, che, come si e’ visto, e’ stato invece rimesso alla pubblica udienza.
3. – Le spese meritano di essere compensate in ragione dell’assenza di specifici precedenti in termini. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
rigetta il ricorso, dichiarando, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
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