Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 12131.
Convalida di sfratto e successivo mutamento del rito con domanda con una causa petendi diversa da quella originariamente formulata
Nel procedimento per convalida di sfratto, l’opposizione dell’intimato ai sensi dell’articolo 665 del Cpc determina la conclusione del procedimento a carattere sommario e l’instaurazione di un nuovo e autonomo procedimento con rito ordinario, nel quale le parti possono esercitare tutte le facoltà connesse alle rispettive posizioni, ivi compresa, per il locatore, la possibilità di porre a fondamento della domanda una causa petendi diversa da quella originariamente formulata e, per il conduttore, la possibilità di dedurre nuove eccezioni e di spiegare domanda riconvenzionale.
È configurabile la decisione implicita di una questione (connessa a una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di nullità (ritualmente sollevata o rilevabile d’ufficio) quando queste risultino superate e travolte, benché non espressamente trattate, dalla incompatibile soluzione di un’altra questione, il cui solo esame presupponga e comporti, come necessario antecedente logico-giuridico, la loro irrilevanza o infondatezza; ne consegue che la reiezione implicita di una tesi difensiva o di una eccezione è censurabile mediante ricorso per cassazione non per omessa pronunzia (e, dunque, per la violazione di una norma sul procedimento), bensì come violazione di legge e come difetto di motivazione, sempreché la soluzione implicitamente data dal giudice di merito si riveli erronea e censurabile oltre che utilmente censurata, in modo tale, cioè, da portare il controllo di legittimità sulla decisione inespressa e sulla sua decisività. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di rigetto dell’appello, affermando che il giudizio di irrilevanza della questione attinente alla tardività della domanda di risoluzione ex art. 1456 c.c. doveva reputarsi implicito nella pronuncia di primo grado, che aveva risolto la locazione ex art. 1453 c.c. per gravità dell’inadempimento della conduttrice, non già in applicazione della clausola risolutiva espressa convenuta tra le parti).
Ordinanza|| n. 12131. Convalida di sfratto e successivo mutamento del rito con domanda con una causa petendi diversa da quella originariamente formulata
Data udienza 30 marzo 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Locazione ad uso diverso – Inadempimento per mancato pagamento dei canoni – Procedimento per convalida di sfratto – Opposizione dell’intimato ai sensi dell’art. 665 c.p.c. – Conclusione del procedimento a carattere sommario e instaurazione di un nuovo e autonomo procedimento con rito ordinario – Domanda con una causa petendi diversa da quella originariamente formulata Ammissibilità – Nuove eccezioni e domanda riconvenzionale del conduttore – Ammissibilità
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere
Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere
Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere
Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22321/2019 proposto da:
(OMISSIS) S.R.L., in persona del legale rappresentante, elett.te domiciliata in ROMA, presso lo studio dell’avv.to (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avv.to (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), in qualita’ di custode giudiziario della procedura esecutiva avviata, presso il Tribunale di Verona, nei confronti della proprietaria, originaria locatrice dell’immobile locato, (OMISSIS), elett.te domiciliato in ROMA, presso lo studio dell’avv.to (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avv.to (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 602/2019 della CORTE D’APPELLO DI VENEZIA depositata il 5/03/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/03/2023 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.
Convalida di sfratto e successivo mutamento del rito con domanda con una causa petendi diversa da quella originariamente formulata
RILEVATO
che, con sentenza resa in data 5/3/2019, la Corte d’appello di Venezia ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha pronunciato la risoluzione del contratto di locazione intercorso tra l’ (OMISSIS) s.r.l. (in qualita’ di conduttrice) e (OMISSIS) (quale custode giudiziario della procedura esecutiva avviata, presso il Tribunale di Verona, nei confronti della proprietaria, originaria locatrice dell’immobile locato, (OMISSIS)), per inadempimento della societa’ conduttrice;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato la tempestivita’ e legittimita’ della domanda di risoluzione per inadempimento proposta dal custode giudiziario nei confronti della societa’ conduttrice e l’effettiva sussistenza del requisito della “non scarsa importanza” dell’inadempimento in cui era incorsa la societa’ conduttrice; inadempimento nella specie consistito nella reiterata tardivita’ con la quale la conduttrice aveva provveduto al pagamento di taluni canoni dovuti;
avverso la sentenza d’appello, la (OMISSIS) s.r.l. propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi d’impugnazione;
(OMISSIS), nella qualita’ spiegata, resiste con controricorso;
la (OMISSIS) s.r.l. ha depositato memoria.
Convalida di sfratto e successivo mutamento del rito con domanda con una causa petendi diversa da quella originariamente formulata
CONSIDERATO
che, con il primo motivo, la societa’ ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli articoli 113 e 115 c.p.c., nonche’ della L. n. 392 del 1978, articolo 55 (in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto pacifica la natura del contratto di locazione oggetto di causa quale locazione ad uso commerciale, anziche’ ad uso di abitazione, ritenendo illegittimamente di poter conferire rilievo al difetto di contestazione della qualificazione giuridica di un rapporto (anziche’ delle sole circostanze di fatto), omettendo cosi’ di procedere all’esatta qualificazione del rapporto secondo il principio iura novit curia e trascurando, conseguentemente, di riconoscere la decisivita’ dell’avvenuta sanatoria giudiziale del ritardo nel pagamento dei canoni dovuti, ai sensi della L. n. 392 del 1978, articolo 55;
il motivo e’ inammissibile;
osserva il Collegio come, secondo quanto riferito dalla medesima societa’ ricorrente (cfr. pag. 11 del ricorso, in cui appare testualmente riprodotto un passo della sentenza di primo grado), il giudice di primo grado avesse gia’ deciso, in modo espresso, sulla qualificazione del contratto di locazione in esame, evidenziandone la natura di contratto di locazione a uso diverso da quello di abitazione;
in forza di tale premessa, al fine di impedire l’eventuale formazione del giudicato interno sul punto, la societa’ ricorrente avrebbe dovuto proporre impugnazione avverso la decisione di primo grado, segnatamente sul punto concernente l’avvenuta qualificazione del contratto concluso tra le parti come contratto di locazione ad uso diverso di abitazione;
l’omessa proposizione di alcun gravame su tale specifico punto ha quindi determinato la formazione del corrispondente giudicato interno, con la conseguente inevitabile attestazione dell’inammissibilita’ della censura in esame;
con il secondo motivo, la ricorrente si duole della nullita’ della sentenza impugnata per violazione dell’articolo 112 c.p.c. e del principio dispositivo sostanziale e processuale di cui agli articoli 99-115 c.p.c. (in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4), per essersi la corte territoriale sottratta alla pronuncia sul motivo di appello avanzato dall’odierna ricorrente con riguardo alla tardivita’ della domanda di risoluzione ex articolo 1456 c.c., avendo il custode giudiziario proposto tale domanda solo tardivamente con la nota integrativa ex articolo 426 c.c.;
il motivo e’ inammissibile;
osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, non ricorre il vizio di omesso esame di un punto decisivo della controversia se l’omissione riguarda una tesi difensiva o un’eccezione che, anche se non espressamente esaminata, risulti incompatibile con la statuizione di accoglimento della pretesa dell’attore, deponendo per l’implicita pronunzia di rigetto della tesi o dell’eccezione, sicche’ il relativo mancato esame puo’ farsi valere non gia’ quale omessa pronunzia, e, dunque, violazione di una norma sul procedimento (articolo 112 c.p.c.), bensi’ come violazione di legge e come difetto di motivazione, in modo da portare il controllo di legittimita’ sulla conformita’ a legge della decisione implicita e sulla decisivita’ del punto (Sez. 3, Sentenza n. 14486 del 29/07/2004, Rv. 575700 – 01; conf. Sez. 3, Ordinanza n. 24953 del 06/11/2020, Rv. 659772 – 01; Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 6174 del 14/03/2018, Rv. 648218 – 02);
la giurisprudenza di legittimita’ ha infatti avuto cura di sottolineare come il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale non e’ suscettibile di dar luogo a vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, potendo profilarsi, invece, al riguardo, un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’articolo 112 c.p.c. se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data da detto giudice alla problematica prospettata dalla parte (Sez. 3, Sentenza n. 24808 del 24/11/2005, Rv. 585579 – 01);
in breve, deve ritenersi inconfigurabile il vizio di omesso esame di una questione (connessa a una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di nullita’ (ritualmente sollevata o rilevabile d’ufficio), quando debba ritenersi che tali questioni od eccezioni siano state esaminate e decise – sia pure con una pronuncia implicita della loro irrilevanza o di infondatezza – in quanto superate e travolte, anche se non espressamente trattate, dalla incompatibile soluzione di altra questione, il cui solo esame comporti e presupponga, come necessario antecedente logico-giuridico, la detta irrilevanza o infondatezza (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 13649 del 24/06/2005, Rv. 582099 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 11844 del 19/05/2006, Rv. 589393 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 7406 del 28/03/2014, Rv. 630315 – 01);
nel caso di specie, l’implicita decisione costituente il necessario antecedente logico-giuridico dell’accoglimento dell’appello del Nardi dev’essere individuato nella (implicita) ritenuta mancanza della proposizione di alcuna domanda nuova o (come esplicitamente avvenuto nel caso di specie: cfr. pag. 7 della sentenza impugnata) nell’implicito giudizio di irrilevanza della questione per avere il giudice di primo grado pronunciato la risoluzione della locazione ai sensi dell’articolo 1453 c.c. per gravita’ dell’inadempimento della conduttrice, e non gia’ in applicazione della clausola risolutiva espressa convenuta tra le parti;
e’ peraltro appena il caso di sottolineare come, secondo l’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, nel procedimento per convalida di sfratto, l’opposizione dell’intimato ai sensi dell’articolo 665 c.p.c. determina la conclusione del procedimento a carattere sommario e l’instaurazione di un nuovo e autonomo procedimento con rito ordinario, nel quale le parti possono esercitare tutte le facolta’ connesse alle rispettive posizioni, ivi compresa, per il locatore, la possibilita’ di porre a fondamento della domanda una causa petendi diversa da quella originariamente formulata e, per il conduttore, la possibilita’ di dedurre nuove eccezioni e di spiegare domanda riconvenzionale (cfr. Sez. 3, Ordinanza n. 17955 del 23/06/2021, Rv. 661747 – 01);
in forza di tale ultimo rilievo, il motivo in esame deve dunque ritenersi inammissibile anche per aver dedotto una questione di omessa pronuncia priva di decisivita’;
con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli articoli 1453 e 1455 c.c., nonche’ degli articoli 1362 e segg. c.c. (in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto caratterizzato da “gravita’” (“non scarsa importanza”) l’inadempimento contestato a carico della conduttrice, si’ da giustificare la risoluzione del contratto, in contrasto con tutte le circostanze di fatto analiticamente richiamate in ricorso, e per avere, sotto altro profilo, erroneamente interpretato i contenuti del contratto di locazione dai quali era emersa l’insussistenza di alcun termine rigoroso fissato dalle parti ai fini del pagamento dei canoni di locazione dovuti, tale da non consentire un giudizio di ragionevole tollerabilita’ dei ritardi nell’adempimento delle obbligazioni gravanti sulla conduttrice;
il motivo e’ inammissibile;
osserva il Collegio come, attraverso la proposizione della censura in esame, la societa’ ricorrente pretenda inammissibilmente di rileggere i fatti di causa (peraltro, neppure adeguatamente indicati e precisati, nel rispetto dell’articolo 366 c.p.c., n. 6) al fine di individuare l’insussistenza dei requisiti di non scarsa importanza (o di gravita’) degli inadempimenti contestati a carico della conduttrice;
allo stesso modo, la stessa ricorrente pretende di rileggere l’interpretazione del contratto di locazione in esame, sostenendone una lettura piu’ favorevole ai propri interessi, rispetto a quella fatta propria dei giudici del merito;
si tratta, con riguardo ad entrambe le prospettive, di proposte critiche non consentite in sede di legittimita’, trattandosi, in tutti e due i casi, di una proposta di rilettura nel merito dei fatti di causa, come tale non consentita in questa sede;
con particolare riguardo alla contestata interpretazione del contratto in esame, varra’ considerare come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimita’, l’interpretazione degli atti negoziali deve ritenersi indefettibilmente riservata al giudice di merito ed e’ censurabile in sede di legittimita’ unicamente nei limiti consentiti dal testo dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, ovvero nei casi di violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 3;
in tale ultimo caso, peraltro, la violazione denunciata chiede d’essere necessariamente dedotta con la specifica indicazione, nel ricorso per cassazione, del modo in cui il ragionamento del giudice di merito si sia discostato dai suddetti canoni, traducendosi altrimenti, la ricostruzione del contenuto della volonta’ delle parti, in una mera proposta reinterpretativa in dissenso rispetto all’interpretazione censurata; operazione, come tale, inammissibile in sede di legittimita’ (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 17427 del 18/11/2003, Rv. 568253);
nel caso di specie, l’odierna societa’ ricorrente si e’ limitata ad affermare, in modo inammissibilmente apodittico, la violazione dei canoni legali di ermeneutica negoziale richiamati in ricorso, orientando l’argomentazione critica rivolta nei confronti dell’interpretazione della corte territoriale, non gia’ attraverso la prospettazione di un’obiettiva e inaccettabile contrarieta’, a tali canoni, della lettura fornita dal giudice a quo, bensi’ attraverso l’indicazione degli aspetti della ritenuta non condivisibilita’ della lettura interpretativa criticata, rispetto a quella ritenuta preferibile, in tal modo travalicando i limiti propri del vizio della violazione di legge (ex articolo 360 c.p.c., n. 3) attraverso la sollecitazione della corte di legittimita’ alla rinnovazione di una non consentita valutazione di merito;
con il quarto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’articolo 92 c.p.c., comma 2, (in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4), per avere la corte territoriale erroneamente omesso di procedere alla compensazione delle spese di lite relative al grado di appello, dettando in tal modo una decisione palesemente contraddittoria rispetto a quanto viceversa ritenuto, dalla stessa corte d’appello, attraverso il rigetto del corrispondente motivo dell’appello incidentale proposto dalla controparte con riguardo all’avvenuta compensazione delle spese del primo grado del giudizio;
il motivo e’ inammissibile;
osserva il Collegio come, in relazione alla censura in esame, debba trovare applicazione il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale in tema di spese processuali, la facolta’ di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non e’ tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facolta’, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualita’ di una compensazione, non puo’ essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (cfr., per tutte, Sez. U, Sentenza n. 14989 del 15/07/2005, Rv. 582306 – 01);
sulla base di tali premesse, dev’essere definitivamente dato atto dell’inammissibilita’ del ricorso, con la conseguente condanna della societa’ ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimita’, secondo la liquidazione di cui al dispositivo;
dev’essere infine attestata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 4.100,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Le sentenze sono di pubblico dominio.
La diffusione dei provvedimenti giurisdizionali “costituisce fonte preziosa per lo studio e l’accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell’esercizio del potere giurisdizionale”.
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